[Gianni Spagnolo © 22A31]
Non capitava spesso, anzi, era decisamente rara, quella che i nostri allora paesani di Rotzo chiamavano ancora Kuasnéa: la neve delle vacche.
Era infatti l’ultima neve dell’anno nella classifica delle possibilità e la più improbabile, dato che capitava forse un paio di volte per secolo. Sarà per questo che l’ultima volta che avvenne rimase nelle cronache paesane e nella memoria collettiva. Me la raccontava con stupore mia nonna Gusta, come d’un fatto eccezionale e irripetibile. Allora aveva 26 anni, s’era appena sposata e si apprestava ad emigrare in Francia col marito. Era di lunedì, quel giorno del 18 giugno 1923, festa di San Gregorio Barbarigo, vescovo patavino che ebbe modo di visitare anche il nostro ameno paesello qualche secolo prima.
Già la domenica antecedente era trascorsa in modo burrascoso, dato che agli antipodi della penisola aveva eruttato l’Etna e nientemeno che il Re e il Duce s’erano portati sul vulcano per valutare i disastri provocati. Da noi, nel nostro piccolo, gli eventi non erano così drammatici ed eclatanti da interessare cotante Personalità, ma qualche disagio certo lo crearono. Nella notte una burrasca estiva aveva causato proprio la Kuasnéa e ricoperto le malghe d’una effimera ma spessa coltre nevosa. Le numerose vacche al pascolo sui canpigoli, salite da poco all’alpeggio, si trovarono così prive di cibo e immerse in una situazione del tutto inedita per loro, che avevano appena lasciato il tepore delle anguste stalle di valle. Anche il variegato popolo delle malghe, formato da malghesi, vaccaretti, scottoni e famiglia vari, si trovò spiazzato e disarmato di fronte a questo scherzo della natura e non avevano di che alimentarle. Fu così che le bestie spaventate e affamate, borlando all’impazzata, discesero quei sentieri che avevano salito da neanche un paio di settimane, sciamando fino in paese e creando qualche bel scompiglio. Dovettero infatti essere rincorse, radunate e rifocillate attingendo alle poche riserve di fieno rimaste dall’inverno, sperando che alla burrasca subentrasse subito il caldo abbraccio di fine giugno a rendere i pascoli montani presto utilizzabili. Le vacche andavano infatti in malga quand'rano ormai esaurite le scorte di fieno e foglie, un evento del genere non era pertanto uno strano diversivo stagionale, ma creava grosse preoccupazione negli allevatori. Né si potevano lasciare le bestie a pascolare liberamente sui prati della valle, pregiudicando il raccolto di fieno dell’anno. Stiàni non era certo il cambiamento climatico a causare queste intemperanze meteorologiche, ma il più semplice fatto che il Tempo el gera restà màdego e lora el faséa cuél che ghe paréa élo. Fare il bello e cattivo tempo è sempre stata, infatti, una sua prerogativa. Non è ben chiaro quale sia lo stato civile del Tempo ai giorni nostri, cioè se ha almeno una fidanzata o una compagna fissa, ma è lecito dubitare; potrebbe anche aver cambiato genere.
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