MALINCONIA DI SETTEMBRE
da: “I nuovi racconti di nonna Giulia” di Dana Carmignani
La prima nebbiolina stamani aprendo l'uscio, e il primo brivido sulla pelle nuda di caldo.
“Già... ho detto fra me... è settembre”...
Si sente subito dai primi giorni che l'estate è finita. La luce filtra fra gli alberi carezzevolmente, l'aria è tersa, più pulita e il cielo ha una tonalità che solo settembre porta, insieme ad una sensazione di pioggia futura, che anche se ancora non avviene, come l'inverno, senti che c'è.
La malinconia mi invade, ma piacevolmente, in ricordi di altrettanti settembre passati, che, come ora, trascorrevo con quel senso di passaggio da una stagione ad un'altra che sempre mi faceva pensare ai passaggi della vita.
Sarà per questo che il mese è bellissimo e malinconico, forse proprio perchè, tanto quanto nella vita accade, precede una stagione rigida e fredda che anche per noi verrà.
Me lo faceva anche da bambina, nonostante i lavori campagnoli che continuavano alacremente, e sviavano l'intimità, io mi infilavo nei miei spazi mentali, tanto quanto mi infilavo nei piccoli spazi di un barroccio, fra una botte e l'altra, per procedere alla periodale vendemmia, che altrettanto se pur concreta, mi riportava a ben altre vendemmie del nostro cammino di persone.
Lì in quei viaggi, per me vere e proprie avventure... osservavo, sentivo, guardavo e non mi perdevo un momento di quegli attimi, di quei riti che capivo far parte non solo di quel mondo contadino, ma di noi stessi.
I paragoni con me stessa, con ciò che sentivo dentro e quel che vedevo fuori erano immediati. Immediate le constatazioni che è tutto tondo il mondo e non solo perchè ce lo dicevano a scuola. Tutto è un ciclo e tutto torna e ritorna, solo noi mi pareva e ancora non capivo bene, non saremmo tornati da un posto dove alla fine si andava.
Mi sembrava che la natura fosse infinita, che con quel suo rinascere e rinascere, quella giostra di giorni e mesi e stagioni e anni che si susseguivano, fosse molto più importante di noi che ad un certo punto non c'eravamo più.
Su quei barrocci, osservando la groppa delle bestie che arrancavano su strade sterrate e contemporaneamente il cielo del periodo azzurro come pochi, cercavo di mettere in relazione la nostra caducità con quel cielo. I nostri affanni, le disperazioni e le gioie anche, rispetto a ciò che mi invadeva di mistico, (perchè quello era pur se non me ne rendevo conto), mi sembravano improvvisamente poco importanti. Ma io non potevo stare lassù... la mia vita mi piaceva troppo... troppo mi piacevano i momenti di quel che mi circondava... mi piacevano anche le vespe che mi ronzavano intorno tanto quanto ronzavano intorno all'uva.
Cercavo di fondere i miei spazi mentali, i miei sogni, persino la tristezza che mi invadeva, con la realtà... ecco, cercavo di vedere il cielo in terra!
E forse ho cominciato da lì, in quelle avventure, in quei viaggi se non intorno al mondo tutto, intorno al mio di mondo, che ho imparato a capire che forse si può, si possono mettere insieme evanescenza e concretezza cercando sempre la verità al di fuori e dentro di noi... e pure lasciandoci invadere dalle emozioni di settembre e dalla sua malinconia.
Nessun commento:
Posta un commento