【Gianni Spagnolo © 21I7】
Siamo abituati ad associare i pantaloni corti all’estate, al caldo e al tempo libero, perché è ovviamente un indumento confacente alla bella stagione e alla libertà di movimento. Ma non è sempre stato così. Forse la nostra è stata la prima generazione a viverli in questo modo, mentre per le precedenti i calzoni corti obbedivano più ad altri criteri, molto più pratici e concreti.
Pantaloni corti robusti e un po’ abbondanti consentivano infatti di seguire la crescita dei ragazzi, da quando ballavano come un sacco sostenuti dalle bretelle, finché non diventavano tuti ciucià; i durava na vita. Si prestavano ad essere passati da un fratello all’altro, o fra cugini, finché noi se fruava dal tuto deventando tuti slìndese. Si potevano lavare e riparare con maggiore facilità dei pantaloni lunghi, sparagnando stofa, laoro e schei. Poi c’era un particolare che rendeva le braghe curte particolarmente pratiche, considerata l’esuberanza dei ragazzi e la vita spericolata all’aria aperta che li esponeva a frequenti sbucciature: la pele se rangiava da sola, le braghe invesse no.
La temperatura o la stagione non c’entravano niente, tanto c’erano i calzettoni grossi, quelli in lana balistica riciclata da generazioni e dai colori indefinibili, che proteggevano dal freddo e una volta infeltriti bloccavano anche i proiettili d'artiglieria. Quelli erano anche facili da riparare, bastava trarghe rento l’ovo da calsa e rimagliare i buchi.
Deputate a rangiare, repessare, slargare, strendare e sistemare erano generalmente le nonne. Éle le ghéa tenpo, passiensa e sata par ste robe e chiedevano ai beneficiari solo un modestissimo aiuto: ingaxiarghe via el filo intela la gucia. Si, perché questa era un’operazione che richiedeva quella vista acuta che difettava alle nonnette e che naltri lora ghin’ivimu anca pai pai. Ancamassa!
Eco lora che con on fià de spuo, se fava torno la ponta del filo e se la passava intela buseta dela gucia, vardando la finestra o la luce par instradarla pulito.
Alle volte, per carenza di ricambi o per urgenze inderogabili, capitava che si provvedesse al repessamento direttamente on-line, confidando nell’abilità della nonna, come mostra la foto d’apertura.
L’operazione non seguiva sempre i dettami evangelici di Lc 5,36-39, ma se se rabatava con cuélo che se ghéa, vecio o novo chel fusse. Ogni massaia che si rispetti aveva infatti un suo campionario di pesse, scanpuli e retaji da usare alla bisogna; e po’, par derénto no vedéa nissuni. Il rinforzo veniva infatti cucito all’interno, lasciando alla vista solo le cuciture che irrigidivano il capo.
L’aspetto più fastidioso era che allora le braghe erano di lana per tutte le età: da popo cuéle fate a feri e pi vanti cuéle de pessa che le becava tute. Solo le braghe da festa le ghéa la fòdara, ma le jera tute sténche, longhe fin sui denoci, col risvolto e de cuéi culuri insulsi chij doparava alora.
Pecà che da naltri no se costumasse mia le braghe de corame fa in Tirolo, cuéle si che le durava na vita sensa mai lavarle o repessarle. Però biognava tegnerle da conto doparando el gronbiale blu de coton e a no me vedaria mia a còrare intei prà col gronbialeto de picolòn e gnaca ingropà fa i murari.
P.S. Varè chel bocia intela foto a non son mia mi. Eh no, ciò, mi a son dele nove generassion!
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