sabato 18 settembre 2021

Muri che xola, muri che resta.

【Gianni Spagnolo © 21I9】

Capita il telegiornale ci mostri gli esiti di un uragano in qualche angolo del Midwest statunitense, con le case di legno sradicate, distrutte, con pareti e tetti che fluttuano e si accartocciano nel turbine di vento. Ammettiamo che un pensierino di commiserazione l’abbiamo fatto un po’ tutti dall’alto della nostra massiccia e cementizia cultura costruttiva. Robe che da noi non capitano, da un lato perché non abbiamo fortunatamente gli uragani, ma soprattutto perché siamo abituati a costruire case solide e indistruttibili, con ampio uso di pesanti materiali lapidei, laterizi e cemento. 

La casetta di legno o di suoi compositi, da noi non è di casa, anche se ultimamente sta diventando un po’ di moda. Peraltro da noi il legno è storicamente più raro che non i sassi e l’argilla e perciò ogni cultura costruttiva è legata alle risorse del territorio. Poi noi siamo gli eredi della monumentalità imperiale romana, dal Colosseo agli acquedotti millenari, alle strade eterne; vogliamo mettere?

Vabbé, sta di fatto che l’impatto sul territorio di queste scelte costruttive è decisamente diverso: da un lato costruzioni unifamiliari fatte con materiali deperibili, senza pesanti strutture di fondazione, che durano all’incirca una generazione e poi devono essere demolite o rifatte; dall’altro abitazioni con strutture in cemento armato e con interrati che le ancorano al suolo come i fittoni dei cipressi, con garage, scivoli e recinzioni monumentali. Fatte, queste ultime, per durare più vite, secondo una mentalità rurale radicata al territorio che ormai non ha più ragion d’essere per le mutate condizioni economiche e sociali, ma tuttora persistente. Case solide, fatte come castelli che devono affrontare i secoli e chissà quali avverse condizioni.

Finché s’usava il criterio costruttivo tradizionale, con l’impiego di murature in pietra o laterizio legati con malta di calce, solai, serramenti e tetti in legno, fondate a pelo terra su massicciate lapidee – come le nostre case vecchie, per intenderci – l’impatto a lungo andare sul territorio non sarebbe molto diverso. Se non manutenute, il cedimenti delle coperture comportavano il veloce deperimento della struttura e il ritorno ad uno stato di natura, ovvero un cumulo di sassi e/o di legname in disfacimento. Un processo solo un po’ più lungo che per le case in legno, ma non molto dissimile circa l’impatto ambientale. 

La differenza l’ha fatta l’avvento del cemento, un materiale assai duttile ed economico e perciò d’uso universale. Il problema è che quello che è costruito col cemento dura in eterno (un eterno ovviamente rapportato alle nostre effimere vite terrene) e noi col cemento ci siamo proprio sbizzarriti senza freni. Fra case, strade e capannoni abbiamo consumato gran parte del suolo, spingendoci ben oltre il ragionevole a andando ad erodere anche aree molto sensibili dal punto di vista geologico ed ambientale. E quel che è costruito col cemento resta li per sempre, che siano o meno efficienti e utilizzate le strutture. L’abbandono ne produrrebbe un lentissimo e inguardabile disfacimento, ma mai il ritorno allo stato di natura. Rimarranno indelebili monumenti alla nostra insipienza, perché bonificare il territorio comporterebbe oneri sproporzionati e perciò il segno che la nostra civiltà lascerà ai posteri è sostanzialmente indelebile e non particolarmente attraente. Lasceremo squallide macerie grigie, non certo colossei o anfiteatri.

Tralasciamo, per carità di patria, l’assurdità degli spessi cappotti in polistirolo finanziati dall’erario, le resine epossidiche impiegate a sigillare ogni anfratto e il legno snaturato da resine sintetiche che lo accomunano al cemento. Tutto fatto per durare in eterno, quando l’eternità sta ormai sparendo anche dai nostri orizzonti filosofici e si vive di vita effimera, fatta di un turbine di novità che si accavallano e si sostituiscono senza sosta. Mi chiedo e domando, perché nell’epoca dell'economia dello spreco, dell'usa-e-getta, con l'obsolescenza programmata ormai non solo degli elettrodomestici, ma anche delle nostre vite, si continua a costruire in questo modo? 


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