mercoledì 1 settembre 2021

Racconti vari

 

Le sere più belle, nel borgo antico coperto di neve in inverno e di polvere di fate in primavera, erano quelle in cui l'estate si allontanava dal caldo dei pomeriggi. Quando il sole scendeva, sempre più indietro sulla collina, le rondini volavano lente, lasciandosi trasportare dal vento. Sembrava che non muovessero neppure le ali, proprio come al momento del loro arrivo, quando cercavano di abbracciare tutti i tetti visti dal cielo, felici di averli di nuovo sotto le ali. Gli abitanti immaginavano come doveva essere la loro prima notte di nuovo a casa, dopo la lunga traversata. Forse qualcuna restava sveglia ad ascoltare i primi grilli, oppure qualcun'altra guardava le stelle immobili che brillavano su una nuova estate tutta da immaginare. O ancora, qualcuna dormiva con il mare negli occhi, felice di essere al sicuro protetta. E chissà che, come accadeva per gli umani, qualcuna non immaginasse il volto dei proprio figli, in quelle ore che profumavano di gelsomino, interrotte dal canto dei galli prima dell'alba. E dopo quei mesi passati ad amare ed amarsi, a guardare la vita compiersi, il lavoro sotto il sole non fermarsi, volavano ancora lente, con nelle ali la malinconia di partire, di scegliere un giorno, una mattinata di nebbia sottile che aveva nel vento più freddo il profumo del vino, in cui il contadino avrebbe guardato il cielo e non le avrebbe trovate. Sono partite, avrebbe pensato. Avrebbe guardato il cielo per un po', che aveva un volto più scuro, più silenzioso e poi sarebbe tornato al suo lavoro, con la testa bassa, ad immaginarle sul mare a gruppi. Ed ora sul borgo volavano lentamente, a voler tenere sotto le loro ali ogni giorno, ogni nuovo nato umano ed animale, ogni ricamo, ogni sorriso ogni bacio. C'era sotto le loro ali spalancate e portate dal vento in ogni direzioni, il sospiro di pettegolezzi e dolori, di pomodori maturi, di feste di piazza, di mani sfiorate e di stelle cadute. Di sfruscii d'erba, di canto di galli nel cuore della notte e di giorno quando il tempo cambiava. Di cicale sotto il sole e di gufi che volavano da un albero all'altro, tra la superstizione del borgo, non appena il sole era andato via. Ogni anima vicina e lontana dei borghi della valle era accolta sotto quelle ali aperte, che passavano davanti alla luna piena bianca, che ancora non illuminava strade e colline perché nel vento c'era ancora il ricordo della luce del sole. C'erano il grano maturo e le farfalle che al tramonto si erano dileguate e si erano amate tutta la notte in mezzo alle foglie dell'edera finché al mattino non hanno ripreso il loro volo . C'era tanto amore sotto quelle ali ferme in mezzo al cielo, in alto, sopra la rocca ed il campanile, sopra il primo sonno dell'ultimo nato del paese e sopra il destino sconosciuto di tutti. C'era soprattutto l'ultima estate che pian piano scivolava via, portata lontano da tanti lacci in volo e poi riavvolta insieme alle altre passate dalle ali della rondine che, tornando al suo nido, sembrava, chiudendo le ali che tanto cuore e respiri avevano avvolto ed abbracciato, chiuderla nel cuore di tutti come un libro.

(da: racconti di campagna-l'odore del fieno di giugno)

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