martedì 9 marzo 2021

Quando cedono le rimembranze ..


Le case abbattute

【Gianni Spagnolo © 21III7】

Il paese uscì semidistrutto dalla Prima Guerra Mondiale e si avviò alla fase di ricostruzione, dalla quale uscì con un aspetto urbanistico più moderno e rapportato alla sua crescita demografica. La chiesa fu forse l’unico edificio a rimanere sostanzialmente integro, ma risultava ormai  angusta per l’accresciuta popolazione.   

Le riparazioni di guerra destinate alla ricostruzione postbellica consentirono una rinascita piuttosto rapida del paese, dando per qualche anno l’illusione di un effimero benessere e occasioni di lavoro per molti. Fu una contingenza che creò molte aspettative, unitamente ad una forte spinta inflattiva e qualche inedito scialo, ma che ben presto svanì, spingendo molti paesani a riprendere le vie dell’emigrazione con in più l’ennesima delusione per le speranze frustrate. 
San Pietro a fine conflitto

Molti di quegli uomini avevano alle spalle anni di guerra durissima o di profugato e avevano trovato il paese, i terreni e i boschi distrutti al loro rientro. L'abitato era stato così ricostruito, ampliato e ammodernato, ma passata l’euforia iniziale per la vittoria e le sorti magnifiche e progressive, si ritrovarono inviluppati nei problemi di sempre e nella vuota retorica di una dittatura. Fu comunque nel progetto di ricostruzione della comunità che s’inserì quello della nuova chiesa, complice un parroco solerte e proattivo come don Antonio Fontana, che già prima del conflitto aveva dato buona prova di sé costruendo l’Asilo (1900) e il Ricreatorio (1910).

Situazione nel 1832


La Parrocchia dovette perciò acquistare gli edifici che costituivano il borghetto allora raccolto attorno alla corte dietro alla chiesa, forse il più antico del paese. Due case appartenevano agli eredi dei fratelli Lucca fu Paolo, una a quelli di Cristiano Serafini, una casa  con stalla e fienile a quelli di Natale Toldo, una a Pietro Righele e un'altra stalla con fienile era di Innocente Toldo, padre della Maria Contessina. Il sesto edificio della contra’ era già proprietà della Chiesa e forse un tempo abitazione del cappellano. All’epoca quelle costruzioni erano piuttosto malandate e gli abitanti s'erano già dislocati in altri luoghi del paese, complice la ricostruzione postbellica. 

La facciata in costruzione
L’operazione doveva condursi mantenendo in funzione la vecchia chiesa, cosa che fu possibile in quanto la nuova si posizionava sostanzialmente dietro l’abside di quella esistente. Una volta demolite le case retrostanti, la navata del nuovo tempio si trovò a poggiare sulla roccia sommitale, mentre la zona del coro dovette reggersi su un muro ciclopico che abbracciasse il pendio, creando così il seminterrato del sottochiesa accessibile dall’Arco dei Cimbri. 
L’unica cosa di cui San Pietro non mancava erano i sassi, per cui l’erezione delle murature perimetrali avvenne utilizzando materiali locali e con la calce auto-prodotta nelle calcare situate in fondo alla Pontara e in Scalòn. Fu un lungo lavoro portato avanti con ampio concorso di popolo, nel senso che tutta la comunità fu coinvolta e ciascuno prestò la sua opera nei limiti delle forze e delle possibilità. Contribuirono pure i ragazzi nel trasporto dei materiali più minuti.

La chiesa fu costruita sul progetto di quella di Velo d’Astico, soltanto che la sua mole finale appariva spropositata per il paesello, particolarmente dalla prospettiva della valle. Soprattutto per il campanile settecentesco che si trovava al fianco che ne certificava la stridente sproporzione. Nella chiesa, come nelle coppie ben assortite, non era infatti buona cosa che l’elemento femminile sovrastasse o pareggiassse quello maschile. Vabbe', certamente avranno pensato che un domàn avrebbero costruito anche un campanile proporzionato, o magari era proprio per egualitarismo ante litteram. Pa intanto jera da incontentarse. Ancamassa! 

Quando si trattò di demolire la parte restante della vecchia chiesa e di spianare il promontorio roccioso su cui si ergeva per ricavare la piazza, ci si rese conto che bisognava rimuovere un sacco di pietrame e calcinacci. Andò trarli? Portarli ai margini del paese con carìti e carióle sarìa stà na gran struma e anche un po’ irrispettoso per i sacri detriti, per cui venne la bella pensata di ammassarli dietro la chiesa, contornando il restante pendìo verso il Ricreatorio con una muraglia in pietrame e riempendo il vano così ottenuto con gli inerti della demolizione. Una volta completata l’operazione ne risultò così una una spianata panoramica che si pensò bene di adibire a ricordo dei caduti nella Grande Guerra. Il perimetro a valle venne perciò dotato di un’artistica balaustrata in pietra tenera e l’area piantumata con 24 cipressi, uno per ogni caduto. Ecco dunque combinato il “Parco della Rimembranza”. Per ultima dovette essere completata la facciata della chiesa, alla quale si pensò di dare veste monumentale erigendola a "Monumento ai Caduti per la Patria". Questo fu fatto per volontà di popolo, come racconta la retorica di allora, ma anche e soprattutto per ripartire le ingenti spese fra il sacro e il profano. Con questa operazione, gli eroici caduti migrarono all'onor della Piazza, relegando un po' nell'ombra quelle rimembranze improvvisate sul retro; che infatti si vendicarono. 

Negli anni Cinquanta il sotto-chiesa, non ancora occupato dall'impianto di riscaldamento, era adibito a falegnameria da Chéco Mistro e suo figlio Ugo, prima di trasferirsi in Campagna. Allora la zona era assai frequentata, complice il Cinema e perché costituiva un discreto e veloce accesso alla Piazza da chi abitava sul lato settentrionale del paese e non voleva incomararse lungo il tragitto. 

Ma, si sa, che il diavoletto si nasconde nei dettagli. Nessuno all'inizio forse pensò che quella massa incoerente, magari rigonfia d’acqua per l’impermeabilità della roccia sottostante avrebbe premuto sul muraglione, né della necessità di ancorarlo alla roccia con qualche tirante. Fatto sta che di lì a qualche tempo iniziarono a vedersi minacciose crepe e cedimenti nel muro di sostegno. Così, pianpianélo, il parco divenne pericoloso; vennero tagliati i cipressi e l’area variamente usata come refugium peccatorum e infine interdetta. Intanto sparivano le artistiche balaustre della recinzione, per finire magari a decorare le pertinenze di inguaribili patrioti. 

Nel frattempo cambiavano i tempi e anche il Cinema poteva andarsene ingloriosamente a remengo nel disinteresse di tutti. Ben pochi bazzicavano ancora gli Slìsseghi o praticavano le impervie scalette del Cinema, per cui si affacciò alla mente di qualcuno l’ennesima geniale pensata: chiudere il passaggio e lasciare la forza di gravità libera di esprimersi. I sanpieroti, usi obbedir tacendo e tacendo morir, se ne saranno fatti una ragione.

Rajonamento da pandoloto:

La casa del Capelàn, a remengo da sinquanta ani, la xe del Comune; el Ricreatorio el xe dela Parochia, come la Cesa, però erte su a brasso dai paesani, mia dal Vescovo. I Slìsseghi i sarà del demonio, vista l’anda. Ognimodo, de rife o de rafe la xe tuta roba dela comunità, che te la vardi da on ocio o da l’altro. Granfati che no se rive a tórghe la volta na volta par tute?


27 commenti:

  1. Grazie Gianni per il tuo scrivere, sempre molto interessante

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    1. Grazie Giorgio, fedele lettore. A volte uso un po' d'ironia per rappresentare le cose, ma forse, per quelle più moderne, ci vorrebbe un sano sdegno.

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  2. Se c'è la volontà popolare, allora anche l'amministrazione comunale dovrà prenderne atto.

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  3. parlando del cinema penso che la volonta popolare e l"ammistrazione comunale possono fare ben poco quando si tratta di beni della chiesa

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  4. Credo se c'è questa volontà, anche la curia è ben felice di vedere, ormai il terreno, all'amministrazione per un lavoro di sicurezza e decoro.

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  5. Se la zona è della Curia una bella ordinanza di ripristino dei luoghi e messa in sicurezza a spese della Curia. Anzi dovrebbe essere d'obbligo impegnare la curia se proprietaria. Se qualcuno rimane sotto non ce la possiamo cavare con tre pater ave gloria. Come sarebbe per tutti.

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  6. bene,l"argomento vedo suscita interesse adesso vi do alcune cifre che ho raccolto con una breve ricerca sull"argomento immobili di proprieta della chiesa.secondo una stima dell"associazione laica,(uaar,tra fondi pubblici,esenziali(vedi anche l"ici) e privilegi vari,la chiesa cattolica ogni anno ci costa qualcosa come 6 miliardi di euro.fanpage ha analizzato le principali cifre che pagano credenti e non credenti che si potrebbero invece destinare alla ricerca medica / scientifica e alla rivalutazione del territorio italiano. ecco alcune voci che in influiscono in maniera determinante a questo risultato. 8x mille - oltre un miliardo di euro ,insegnamento della religione cattolica-1 miliardo e mezzo di euro, contributi alle scuole e alle universita cattoliche- 714 milioni di euro,e ciliegina sulla torta esenzione ici 500 milioni di euro

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    1. Credo sia fuorviante generalizzare, Amelio. L'uso dei beni della parrocchia riguarda la comunità che la forma, al di là della titolarità della proprietà. Se c'è la volontà di farle, le cose si fanno. Per finire la chiesa don Fontana cedette l'asilo al comune, tanto per capirci, come pure la casa del cappellano.

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    2. Gianni Non concordo sull’affermazione “al di là della titolarità della proprietà”, penso invece che sia la cosa più importante da tenere presente nel caso, spero che mai si realizzi, di danni a persone dovuti al crollo dell’area e del cinema. Un reato penale come il danno fisico ad una persona fa sempre capo ad un nome ed un cognome e mai ad una comunità. Come dici tu ci sarà stato uno scambio di piaceri e favori fra comune e chiesa ma son carte ormai impolverate di nessun valore nel caso si rendessero necessarie davanti ad un tribunale. Eppoi se come puoi vedere nella realtà attuale le colpe sono sempre delle passate amministrazioni sia degli organi di amministrazione territoriali che centrali, pensa a risalire a don Fontana!

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    3. L'aspetto della sicurezza mi pare sia già stato usato ampiamente come pretesto per non fare niente. Infatti, chiudendo gli accessi non ci si può far male, salvo non lo si voglia di proposito. Io mi riferivo alle cose che vanno messe a posto, non per evitare improbabili incidenti, ma per carità di patria.

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    4. Più o meno d’accordo sul tema della sicurezza. Ma in capo a chi sarebbero le cose da mettere a posto?

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  7. vista la sensibilita che a questa amministrazione comunale per la messa in sicurezza del territorio io proporrei di partire con una raccolta firme e portarle al sindaco e provare a sboccare questa diatriba tra comune e parrocchia per la messa in sicurezza del cinema parrocchiale e della stradina comunale se qualcuno e interessato mi contatti

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  8. Anche il Consiglio Pastorale potrebbe dire la sua in questo argomento, logicamente nel luogo consono, non in questo blog

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  9. Nel tuo racconto caro Gianni manca il comportamento tenuto dall'allora parroco Don Emilio Garbin (se non erro) il quale vendette la funzionale macchina cinematografica, che trasmetteva i film, per un catorcio che rompeva la pellicola. Un vanto all'operatore che prontamente aggiustava e permetteva la ripresa del film.

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    1. Non sono al corrente della cosa e comunque non vedo cosa c'entri col contesto. Mi sembra che i commenti non considerino una cosa per me è fondamentale: sia la Parrocchia che il Comune, sono espressioni della comunità dei cittadini, anche indipendentemente dal fatto che siano osservanti o meno. É una faccenda che riguarda la comunità nel suo complesso e va affrontata con responsabilità da chi, per un verso o per l'altro, questa comunità rappresenta. Sempre che, ovviamente, questo sia considerato un problema degno di nota; altrimenti liberi di mettere le transenne dall'Argenta e un cancello sul buco del campanile e così la sicurezza sarà garantita anche se viene giù la chiesa.

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    2. Era solo per dimostrare che il reverendo pensava più a ricavare pecunia che effettuare manutenzioni allo stabile.

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    3. Mi ricordo che don Emilio fu costretto a cambiare la macchina cinematografica perché il circuito che forniva le bobine richiedeva una macchina diversa e più economica e non era assolutamente economico per un cinema parrocchiale rifornirsi delle pellicole più costose. Inoltre mi schifa pensare che qualche anonimo (peraltro come il sottoscritto e me ne faccio ammenda) accusi una persona che non può più difendersi. Se hai documentazioni o tangibili riscontri fatti avanti io ci sono.

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    4. scelta obbligata. la curia impose di passare da 32 mm a 16 mm delle pellicole. le case di distribuzione s paolo e antoniana spinsero le curie al cambio di macchina tutte le parrocchie lo fecero....

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    5. Caro Anonimo delle 18,09 e penso 17,14 potrebbe succedere un giorno che qualcuno dica che hai avuto comportamenti scorretti o fuorilegge facendo il tuo nome e cognome, e più tardi aggiunga tra parentesi (se non erro). Ti piacerebbe?

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  10. Potremmo regalare l’area ai cavatori. Loro troverebbero il consenso e tutte le autorizzazioni. Una bella spianata e tutti contenti!

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  11. anche l"amministrazione separata potrebbe dire la sua

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  12. una cosa e certa anche noi comunita siamo colpevoli di avere messo nel dimenticatoio certe cose che i nostri predecessori che con grande sacrificio e sudore ci hanno lasciato in eredita e che non siamo capaci di gestire e addirittura di distruggere e davvero incredibile

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  13. Credo che la curia sia ben felice di sbarazzarsi di questo edificio. Sta all'amministrazione mettere in atto un progetto, che sia solo do abbattimento per sicurezza e decoro, o per il ricavo di un parcheggio, visto che c'è tanto bisogno. I soldi ci sono con i fondi di confine. Solo che bisogna darsi una mossa, perché questi fondi hanno le ore contate.

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