Chipilo è un pueblito messicano che si trova a una dozzina di
chilometri da Puebla che a sua volta dista da Città del Messico 130
chilometri. Uno dei tanti piccoli paesi del Messico, ma con una storia
che non ha eguali. Davvero unica e che merita di essere raccontata.
Chipilo, il cui nome significa luogo dei piccoli e deriva dalla lingua
nahuati, una micro-lingua azteca, fu fondato il 2 ottobre 1882 da un
gruppo di emigranti veneti, (c’era una piccolissima percentuale di
piemontesi e lombardi) originari di Segusino. Da quel giorno sono
passati 137 anni, il mondo è cambiato, il Messico pure, ma a Chipilo,
per certi versi, il tempo sembra essersi fermato. La zuppa qui è ancora
minestra e i fagioli sono ‘fasùi’ e quando ci si saluta la gente dice
‘se vedòn’. Per strada i cartelli parlano italiano e il veneto è la
lingua ‘ufficiale’ di questo angolo del Messico.
È incredibile come a Chipilo si parli ancora una lingua nemmeno riconosciuta nella penisola mediterranea:
la lingua degli avi è stata tramandata da padre in figlio, dal 1882 fino a oggi, nessuno è venuto meno a questa tradizione. Allora furono 38 famiglie, che sbarcarono in Messico e la storia racconta che una volta arrivati comprarono un po’ di terra e si misero a coltivarla, i campi, ma anche la produzione del formaggio, ecco cosa facevano.
Raccontano gli abitanti, non più di cinquemila, che a Chipilo, prima del castigliano, da piccoli si impara a parlare il dialetto dei nonni: gli abitanti, generalmente, si sposano tra di loro.
In questo piccolo paesino non lontano dalla capitale messicana, gli abitanti non sono veneti solo per la lingua che continuano a parlare, ma anche per i tratti somatici e soprattutto tutti mangiano la polenta e ovviamente giocano a bocce. Lì c’è anche una collinetta chiamata Monte Grappa, in onore ai caduti durante la Prima Guerra Mondiale. La statua di una Vergine e un pezzo originale di granito, regalo della terra veneta, vigilano il pueblito dall’alto della collina. C’è anche la targa, con scritto: ‘Intriso di nobile sangue italico simbolo della patria lontana testimone dell’eroismo…’.
È incredibile come a Chipilo si parli ancora una lingua nemmeno riconosciuta nella penisola mediterranea:
la lingua degli avi è stata tramandata da padre in figlio, dal 1882 fino a oggi, nessuno è venuto meno a questa tradizione. Allora furono 38 famiglie, che sbarcarono in Messico e la storia racconta che una volta arrivati comprarono un po’ di terra e si misero a coltivarla, i campi, ma anche la produzione del formaggio, ecco cosa facevano.
Raccontano gli abitanti, non più di cinquemila, che a Chipilo, prima del castigliano, da piccoli si impara a parlare il dialetto dei nonni: gli abitanti, generalmente, si sposano tra di loro.
In questo piccolo paesino non lontano dalla capitale messicana, gli abitanti non sono veneti solo per la lingua che continuano a parlare, ma anche per i tratti somatici e soprattutto tutti mangiano la polenta e ovviamente giocano a bocce. Lì c’è anche una collinetta chiamata Monte Grappa, in onore ai caduti durante la Prima Guerra Mondiale. La statua di una Vergine e un pezzo originale di granito, regalo della terra veneta, vigilano il pueblito dall’alto della collina. C’è anche la targa, con scritto: ‘Intriso di nobile sangue italico simbolo della patria lontana testimone dell’eroismo…’.
Ma la maggior parte degli abitanti veneti di
Chipilo, in Italia non ci sono mai stati. Fino al 1982, centenario della
fondazione di Chipilo, i veneti del Messico non avevano avuto nessun
contatto con la patria degli avi. Poi da quell’anno il comune di
Segusino ha cominciato a organizzare interscambi tra le famiglie dei due
paesi, lontani, ma uniti dalla medesima identità.
Veneto a 360°
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