Circa
tre italiani su quattro abitano in una casa di proprietà, e ci sono
altri nove milioni di “seconde case” tra abitazioni di vacanza, immobili
in affitto o sfitti. Che l’Italia ami il mattone alla follia è un
dato di fatto, soprattutto se confrontiamo la percentuale di
proprietari italiani (73%) con quella dei francesi (65%), dei tedeschi
(52%) o degli svizzeri (44%). La casa, prima o seconda che sia, viene
tuttora considerata un ottimo investimento: ecco così
che l’87% dei beni reali detenuti dalle famiglie della Penisola è
rappresentato da immobili che hanno un valore totale di circa cinquemila
miliardi di euro, più del doppio del debito pubblico nazionale.
Ma investire nel mattone rappresenta davvero una scelta intelligente?
Lo è stata senza dubbio nell’era dell’iperinflazione. Come nota
l’economista Nicola Zanella in un’approfondita analisi su YouInvest.org,
nei dodici anni in cui l’inflazione in Italia è stata almeno superiore
al 10% la rivalutazione nominale media annuale degli immobili è stata
pari al 21,3%, mentre i BoT, i titoli di Stato a lungo termine e le
azioni hanno segnato un rendimento totale (tra
capital gain, cedole o dividendi) medio rispettivamente del 13,2%,
11,3% e del 15,1%. In quel periodo, dunque, gli immobili hanno fatto
registrare l’unico rendimento reale medio positivo, pari al 4,73% al
netto dell’inflazione.
Alla vera ripartenza del mercato manca ancora la spinta dei redditi
Alla vera ripartenza del mercato manca ancora la spinta dei redditi
Oggi però lo scenario è completamente diverso.
Per due motivi principali. In primo luogo perché, dati alla mano, con
un’inflazione bassa l’investimento nel mattone dà risultati deludenti.
«In Italia
a partire dal 1992, ossia da quando l’inflazione annuale è scesa
stabilmente sotto al livello del 5%, la crescita annuale media dei
prezzi immobiliari è stata del 2,6% - spiega Zanella - . Il rendimento
annuale medio, sempre nominale, di BoT, titoli di Stato
a lungo termine e azioni è stato pari, rispettivamente, a 3,2%, 8,9% e
7,8%. Al netto dell’inflazione, i prezzi degli immobili sono cresciuti
in media dello 0,4%».
Questo è il caso dell'Italia, ma anche all’estero i rendimenti reali
sono rimasti bassi: tra il 1900 e il 2011 si calcola che il valore
delle case sia aumentato annualmente al netto dell’inflazione
appena dell’1,3% in Gran Bretagna, dell’1,2% in Francia e dello 0,1%
negli Stati Uniti, Paese dove l’indice azionario Dow Jones dal 1921 ha
peraltro guadagnato in media oltre il 7,7% annuo.
In secondo luogo bisogna riflettere sull’errata convinzione
che il prezzo delle case sia sempre in crescita: nessuno dimenticherà
facilmente il crollo del valore degli immobili che si è verificato
negli ultimi dieci anni in Italia e all’estero. Il tutto su un mercato
fortemente illiquido, a differenza di quelli finanziari, e con rischi
ben difficilmente diversificabili. Il risultato è una grande
vulnerabilità alle recessioni, poiché tutti i risparmi
presenti e futuri vengono destinati a un unico investimento illiquido e
rischioso.
Ma torniamo alla domanda di base: meglio l’acquisto o l’affitto?
Nicola Zanella ha provato a ipotizzare il caso di una famiglia tipica
con un reddito netto di circa 3.400 euro, che spende per l’affitto
431 euro (media italiana) e risparmia ogni mese 833 euro. Ha in banca
60mila euro ed è interessata all’acquisto di un immobile da 180mila euro
accendendo un mutuo. Dopo 22 anni quale sarà la situazione, secondo il
modello di prevedibilità dei rendimenti pubblicato
nel 2015 da Zanella nel Journal of Wealth Management?
Se si sceglie l’acquisto, dopo 22 anni la ricchezza
immobiliare finale attesa è pari a 238.057 euro, con un valore
finale minimo di 166.099 euro e un valore massimo di 329.161 euro.
Se invece si opta per l’affitto e l’investimento in azioni italiane, la ricchezza finanziaria finale che ci si può attendere è pari a 407.093 euro, con un valore finale minimo di 72.653 euro e un
valore massimo di 1.176.891 euro.
Qualora si scelga affitto e investimento in titoli di Stato italiani a lungo termine, la ricchezza finanziaria finale che ci si può attendere è pari a 217.778 euro, con una “forbice” tra un minimo
di 104.017 euro e un massimo di 395.737 euro.
Certo, si tratta di stime. E la decisione finale sulla casa
è assolutamente personale, anche perché sulla scelta pesano
fattori affettivi e di status socio-economico difficilmente misurabili.
Ma se dovessimo restare alla logica di un’educazione finanziaria di
base, per chi ha un’elevata capacità di risparmio
«l’affitto rappresenta un costo più che controbilanciato dal fatto che
questa scelta permette di mantenere una più alta capacità di risparmio -
conclude Zanella - e di investire i risparmi in beni con un profilo
rischio/rendimento differenti da quelli degli
immobili. Magari migliori».
Nemmeno venderla è una scelta logica...una scelta obbligata!!!
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