Le nostre esperienze di vita hanno
ormai perso ogni riferimento alla civiltà agro-pastorale da cui pure proveniamo e ai
suoi riti, rimanendo questa evocata soltanto dalla religione e dai suoi simboli
e tradizioni.
Quand’ero bambino, uno degli eventi topici era
la supervisione della macellazione delle bestie da parte dei due becàri allora
attivi in paese: i Nicola e i Mori. La notizia che qualche toro o vacca comparisse
legato a uno dei due stazionamenti deputati allo scopo, cioè nella corte dei Badùni,
all’anello fissato alla parete del macello dei Nicola, o all’inizio della salita delle Giare, per quello dei Mori, attivava tutta la tépa in circolazione, che accorreva immediatamente a valutare
l’animale, nonché a molestarlo.
Io ero stato preso a benvolere dal
vecchio Toni Nicola, che mi lasciava accompagnarlo nel prelievo del bestiame
nei paesi intorno e sugli Altopiani, nella loro cura, ma soprattutto assistere
alla macellazione degli animali.
Non che fosse una novità: copàre animali da cortile, conigli e far sù maiali allora era prassi comune in ogni casa, e senza particolari ansie metafisiche.
Nei confronti di questa pratica non
ho perciò quella schifata repulsione che oggi è sentimento prevalente; anche se sono quasi vegetariano: non già per ragioni filosofiche o per essere cool, ma più prosaicamente perché mi piace poco la carne.
A quel tempo la morte, degli animali come degli uomini, era esperienza di vita, non evento relegato a
non-luoghi e a non-pensieri come oggi.
Queste ricordi mi sono tornati alla mente trovandomi ad assistere ad uno dei riti più importanti per
i fedeli musulmani: l’Aid-el-Kebir, meglio
noto nell’Africa Occidentale con l’espressione berbera di Tabaski, dove
l’evento focale è il sacrificio rituale di un montone. La sua data è fissata
secondo il calendario lunare e di conseguenza la certezza del giorno si ha solo
con poco anticipo o addirittura il giorno prima, quando le guide religiose
informano la popolazione dopo aver consultato il cielo.
Qualche anno fa mi trovavo infatti in Senegal, a Pikine, popoloso satellite della capitale Dakar, ospite di una famiglia del luogo e proprio in occasione
di questa festa, che scatena nel mondo musulmano una follia consumistica paragonabile
a quella del nostro Natale. Una miriade di montoni, pronti per essere sacrificati, invadono le vie delle città, mentre
intorno impazza la corsa per il loro acquisto e per i preparativi
della festa.
Il sacrificio dell'ariete vuole ricordare
il gesto di Abramo, cui Dio aveva ordinato di immolare il figlio per
verificarne la fedeltà. All’ultimo momento però, Dio dispose la sostituzione
del fanciullo con un montone apparso misteriosamente allo scopo.
Rappresenta
dunque la celebrazione della fede, della totale sottomissione a Dio, cardine dell'Islam. Costituisce
l’archetipo anche per noi cristiani, che celebriamo, come culmine delle nostre
feste, il momento in cui Dio lasciò invece immolare il suo Figlio per la
rinnovata alleanza.
Per questo, secondo la tradizione
islamica, ogni uomo maggiorenne, se ne ha i mezzi, deve provvedere all’acquisto
di almeno un montone maschio. Se però non se ne ha la possibilità finanziaria,
potrà sacrificare una pecora, altrimenti una capra, una vacca o, infine, un
pollo, ma in tal caso è una vergogna e nessuno vorrà mai scendere a questo livello,
a costo di indebitarsi fino al collo.
Per passare la festa con la
propria famiglia, i senegalesi rientrano nei villaggi d’origine, svuotando la
città per la gioia di tassisti e autisti. Per l’occasione gli uomini si fanno fare dal
sarto un vestito nuovo. La follia consumistica coinvolge soprattutto l’universo
femminile: ogni padre di famiglia deve infatti assicurare, oltre all’acquisto
dei capi di bestiame, agli ingredienti per la cucina e al proprio bubu (la
tradizionale tunica locale) anche quello dell’abito, dell’acconciatura, delle
scarpe e quant’altro per moglie e figli; e le famiglie sono spesso più d’una,
vigendo la poligamia.
A vendere gli arieti sono i
pastori fulani che raggiungono
la capitale con i loro greggi, ma anche i cittadini stessi che, per guadagnare qualche soldo in
poco tempo, si recano nelle aree rurali per acquistare un certo numero di capi di bestiame e tornare
a rivenderli nella capitale trasportandoli in ogni modo tecnicamente possibile: dentro in macchina, sopra il tetto, nei sacchi, al guinzaglio, a spalle, ecc.,
secondo diponibilità ed inventiva.
La giornata inizia con la
preghiera delle due rakkas (genuflessioni). Uomini e bambini, ben abbigliati
nei loro bubu colorati e con il tappetino della preghiera in mano, accorrono
nelle varie moschee della zona. Una volta rientrati in casa, eseguiranno il rito centrale della Tabaski. Di fronte ad ogni casa, un gruppetto
di uomini si dispone intorno a un montone bloccato a terra da un altro paio. Il padre di famiglia o il figlio maggiore bisbiglia «Bismillahi,
Allahou Akbar », (In nome di Dio, Dio è grande) e poi affonda la lama nella
gola dell’animale, con un movimento rituale semicircolare che recide la carotide
insieme ai legamenti del collo, prima uno e dopo l'altro. Per chi
non se la sentisse di farlo, ci sono gli anziani del quartiere che si prestano
alla bisogna. Una volta che il sangue è totalmente colato nella buca
sottostante scavata appositamente, l’animale viene lavato e trasportato in
casa.
Ora, mentre le donne iniziano a preparare le verdure con cui verrà
preparato il montone, tutti gli uomini della casa partecipano a scuoiarlo e
macellarlo. Finita l’operazione, si prendono alcuni pezzi di carne e la si
porta ai vicini, che ricambieranno il gesto, in un susseguirsi infinito di: Assalamu aleikum / Aleikum salam.
A questo punto, alcune donne procedono alla preparazione del pranzo, mentre altre si dedicano a grigliare alcuni pezzetti di fegato da degustare subito, come vuole la tradizione. Una volta pronto il pranzo, tutta la famiglia si riunisce intorno a due grandi piatti, una per le donne e l’altra per gli uomini, e si consuma il pasto, ben contenti di mangiare tanta carne almeno una volta all’anno. Il pranzo continuerà per tutta la giornata, essendo quasi obbligati a mangiare in ogni casa in cui si entra.
A questo punto, alcune donne procedono alla preparazione del pranzo, mentre altre si dedicano a grigliare alcuni pezzetti di fegato da degustare subito, come vuole la tradizione. Una volta pronto il pranzo, tutta la famiglia si riunisce intorno a due grandi piatti, una per le donne e l’altra per gli uomini, e si consuma il pasto, ben contenti di mangiare tanta carne almeno una volta all’anno. Il pranzo continuerà per tutta la giornata, essendo quasi obbligati a mangiare in ogni casa in cui si entra.
Questa è grossomodo la tradizione,
a cui mi sono assoggettato anch’io in quanto ospite di quella famiglia
allargata. Allo scopo sono stato pure provvisto di un bubu nuovo fiammante,
confezionatomi espressamente dalla sorella del mio ospite la sera prima.
Per le dimensioni della famiglia
si è dovuto procedere al sacrificio di ben 3 bestie, che fino al giorno prima erano
legate fuori alle sbarre delle finestre, così come gli altri circa
ottocentomila animali presenti in città, con effetti spesso esilaranti per uno straniero. Fortunatamente qui le strade sono
quasi tutte sterrate e costituite da sabbia sottile,
perciò scavare una buca per colare il sangue e poi seppellirvi le interiora, è impresa agevole.
Per lo sgozzamento rituale però,
un po’ di mano ci vuole, per non rischiare di imbrattarsi il bubu, come appunto
è successo al sottoscritto.
Per chi si ricorda, un animale
sgozzato può continuare a scalciare per ancora un pezzo per le contrazioni
muscolari, per cui è buona norma lasciare la carcassa rilassarsi prima di
procedere alla lavorazione.
Come dicevo sopra, non mi piace la
carne e quindi mi sono accontentato del pezzetto di fegato come aperitivo,
piluccando poi qua e là dall’immenso piatto degli uomini che ho condiviso nella
casa accovacciato a terra in bubu e a piedi nudi. Quindi la giornata è
proseguita in un continuo andirivieni di parenti e amici col corollario delle
inevitabili logorroiche chiacchiere e salemelecchi, che fra i wolof, sono il must
imprescindibile di ogni incontro.
Questi prescrizioni rituali valgono ovviamente anche per gli immigrati di religione musulmana che abitano da noi, che per adempierle devono trovare difficili compromessi con le nostre regole. Va da sé che il nostro sistema di vita non è più disposto ad accettare comportamenti che non siano assolutamente asettici, antibatterici, animalisti, panteisti, ecc. Politicamente corretti, insomma.
D'altra parte qualche problema igienico queste pratiche lo pongono. Finché ci sono strade sterrate dove scavare buche e modalità di vita essenziali, la cosa è gestibile. Un tantino più problematico sarebbe dalle nostre parti, in caso di conversione o immigrazione massiccia. Magari torneremo a vedere le bestie ala stciona fuori dalle case e l'Astico come il lago di Tovel ai tempi belli.
Giusto l'anno scorso mi trovavo proprio in Bangladesh, altro paese musulmano ma stavolta asiatico, dove il sacrificio si fa prevalentemente con le mucche, invece che con gli arieti. Il problema è che in una città come Dhaka, caoticissimo agglomerato dai venti e più milioni d'abitanti e sprovvisto di adeguati sistemi di drenaggio, l'evento ha coinciso con la stagione monsonica, trasformando la città in un maleodorante lago di sangue. Li probabilmente, dato anche il clima tropicale, i batteri si muovevano nelle acque grossi come balene. Per fortuna che non si vedevano, perché, si sa, i batteri sono invisibili, e allora noi ce ne facciamo un baffo.
Questi prescrizioni rituali valgono ovviamente anche per gli immigrati di religione musulmana che abitano da noi, che per adempierle devono trovare difficili compromessi con le nostre regole. Va da sé che il nostro sistema di vita non è più disposto ad accettare comportamenti che non siano assolutamente asettici, antibatterici, animalisti, panteisti, ecc. Politicamente corretti, insomma.
D'altra parte qualche problema igienico queste pratiche lo pongono. Finché ci sono strade sterrate dove scavare buche e modalità di vita essenziali, la cosa è gestibile. Un tantino più problematico sarebbe dalle nostre parti, in caso di conversione o immigrazione massiccia. Magari torneremo a vedere le bestie ala stciona fuori dalle case e l'Astico come il lago di Tovel ai tempi belli.
Giusto l'anno scorso mi trovavo proprio in Bangladesh, altro paese musulmano ma stavolta asiatico, dove il sacrificio si fa prevalentemente con le mucche, invece che con gli arieti. Il problema è che in una città come Dhaka, caoticissimo agglomerato dai venti e più milioni d'abitanti e sprovvisto di adeguati sistemi di drenaggio, l'evento ha coinciso con la stagione monsonica, trasformando la città in un maleodorante lago di sangue. Li probabilmente, dato anche il clima tropicale, i batteri si muovevano nelle acque grossi come balene. Per fortuna che non si vedevano, perché, si sa, i batteri sono invisibili, e allora noi ce ne facciamo un baffo.
Gianni
Spagnolo XXII-IV-MMXVII
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