I vecchi spot non servono più, i sondaggi fanno cilecca.
Ecco come oggi si condizionano consumi e voto
Ecco come oggi si condizionano consumi e voto
C’era una volta la pubblicità che cercava di orientare i
comportamenti di acquisto. C’erano una volta le campagne elettorali
fatte di volantini e manifesti che provavano a calamitare i consensi.
Oggi la pubblicità sta cambiando e i sondaggi politici fanno
cilecca. La gente mente, dicono.
Afferma una cosa ma ne pensa un’altra. Forse non sa davvero che cosa
vuole. Le decisioni d’acquisto o di voto obbediscono sempre meno a
fattori razionali ed è sempre più difficile analizzarle per ricavarne
trend attendibili. A meno che non si riesca a leggere
nel pensiero, a cogliere i meccanismi inconsci che governano i
comportamenti. Non è il futuro, è oggi. Si chiamano brainmarketing,
ovvero la neuroscienza applicata alle decisioni di spesa, e
neuropolitics se la si utilizza per la politica. Come ottenere risposte
sul comportamento dei consumatori e degli elettori senza fare domande
preventive; quali sono i processi emotivi e inconsci che stanno
all’origine di una scelta; che cosa scatta nel cervello vedendo una
pubblicità, un marchio, un certo modo di confezionare
i prodotti, un simbolo di partito, una faccia. La pubblicità è nata per
indirizzare le decisioni dei consumatori. Qui la prospettiva è
rovesciata: non convincere la massaia a comprare un certo prodotto o un
cittadino a preferire quel partito, ma capire ciò
che vogliono senza rendersene conto, prevedere gli orientamenti e
sottoporre l’oggetto giusto, confezionato su misura, e farglielo
prendere senza scegliere. Perché è esattamente ciò che il soggetto
cercava. Tre italiani su quattro hanno in tasca almeno una
tessera fedeltà per fare compere. Il 44 per cento ne possiede tra due e
cinque e il 17 per cento (un consumatore su sei) ) ne colleziona più di
sei. Lo dice una ricerca Nielsen, centro studi specializzato
nell’analisi degli acquisti. Consumatori attenti, consapevoli,
che non si lasciano sfuggire un 3x2, una raccolta punti, un servizio di
piatti in omaggio. Eppure chi ci guadagna veramente da questa
operazione sono gli uffici marketing delle catene di vendita. Senza
spendere troppo essi ottengono una massa di informazioni
preziosissime per capire gusti e abitudini dei clienti: quanto
spendono, che cosa comprano, con quale frequenza, quanto approfittano
delle offerte, quali etichette preferiscono e quali potrebbero
abbandonare a favore di altre, simili ma più convenienti. È
un modo per avvicinarsi sempre di più alle esigenze dei consumatori. In
verità, questa è una piccola parte di ciò che si può conoscere sui
comportamenti di acquisto. Chi compra su internet, per esempio, rivela
ai siti di e-commerce interessi, curiosità e oggetti
del desiderio che le tessere fedeltà non possono cogliere. Il mese
prossimo a Seattle sarà inaugurato il primo supermercato «reale» di
Amazon. Invece che ordinare sul web, si entra nel magazzino attrezzati
con un telefonino, una app e un carrello. Una rete
di sensori rileva i prodotti prelevati e all’uscita addebita il conto
direttamente sulla carta di credito. L’hanno già battezzato
l’ipermercato senza code e senza casse, ma è davvero molto di più: i
rilevatori segnalano dove ti fermi, che cosa ti attrae, per
quanto tempo soppesi l’acquisto, che cosa prendi per decisione
razionale e cosa per impulso.
COME IN UN FILM DI SPIELBERG Potrebbe essere l’inizio della fine dei
sondaggi, dei questionari, delle indagini di mercato condotti dopo
l’acquisto, soppiantati da modelli predittivi che colgono le intenzioni
prima che si trasformino in comportamenti. È l’avvicinarsi
di un mondo che sembrava fantascienza fino a non molti anni fa: nel
2002 uscì il film Minority report di Steven Spielberg che ipotizzava
(nel 2054) l’esistenza di un corpo di polizia «precrimine» che sventava i
reati prima che venissero commessi perché qualcuno
riusciva a prevedere i comportamenti delittuosi. Ma nel brainmarketing
non servono veggenti o «precog» con poteri extrasensoriali: le scelte
vengono anticipate grazie agli studi delle neuroscienze, della
psicologia comportamentale, della genetica. E in virtù
delle enormi banche dati che incrociando montagne di rilevazioni
elaborano algoritmi che riescono a individuare le tendenze. Di recente
un gruppo di giovani ricercatori dell’università «La Sapienza» ha
condotto una sperimentazione in un supermercato di Roma
in collaborazione con Agroter, società di consulenza per il settore
agroalimentare. Hanno messo sulla testa di alcuni clienti una fascia con
elettrodi per l’elettroencefalografia istantanea (che misura le onde
cerebrali e le relative reazioni), mentre un occhio
era monitorato da un eye tracker, un tracciatore che coglieva i più
impercettibili movimenti dello sguardo, l’impegno cognitivo e l’impatto
visivo. L’obiettivo era capire le abitudini di acquisto di prodotti
ortofrutticoli, i cui consumi sono in calo costante.
Sono stati monitorati tutti quei riflessi, anche irrazionali, a cui un
consumatore è soggetto in un punto vendita: gli acquisti d’impulso ormai
rappresentano tra il 70 e l’80 per cento della spesa. Il team ha
scoperto che si vende molto più facilmente quando
appare la figura del produttore, sia se è raffigurato sulla confezione e
tanto più se è presente fisicamente nel punto vendita.
IL POTERE DELLE EMOZIONI Il prodotto presentato dall’agricoltore ha
riscontrato tassi di interazione neuronale quattro volte più alti che
per gli altri prodotti. «L’incontro con l’agricoltore - sottolinea
Roberto Della Casa, managing director di Agroter
e docente di marketing all’Università di Bologna - ha favorito la
memorizzazione, l’attenzione, la piacevolezza e il cosiddetto workload,
cioè il carico di lavoro mentale, durante il processo di acquisto del
prodotto. Le tecniche di brainmarketing possono
essere molto utili per presentare prodotti o packaging a misura di
consumatore. E con l’avanzare delle tecnologie, i budget necessari sono
affrontabili non solo dalle multinazionali». La squadra de «La
Sapienza», chiamata Brainsigns, si era già occupata della
trasformazione di Telecom in Tim: «In quel caso – spiega il professor
Fabio Babiloni, docente di neuroscienze e neuromarketing e direttore
scientifico di Brainsigns - abbiamo impiegato in maniera estensiva le
tecniche di neuromarketing per misurare l’impatto
emozionale di diverse versioni del logo di Tim. Per il logo sono stati
scelti forma e colori risultati “emozionalmente più piacevoli” a un
campione rappresentativo di utenti». Analoghe tecniche sono state
impiegate nelle ultime campagne pubblicitarie Alfa
Romeo. Nel settore del vino il brainmarketing funziona da tempo. Al
recente Wine2wine svoltosi alla Fiera di Verona, una lunga serie di
ricerche è stata citata da Vincenzo Russo, direttore del centro di
ricerca Behavior and Brain Lap dello Iulm. Nel 2008 la
professoressa Hilke Plassmann, docente di neuroscienze alla Ecole
Normale Superieure di Parigi, sottopose tre assaggi di vino a un gruppo
di degustatori dicendo che erano prodotti rispettivamente da 5, 45 e 90
dollari.
I POSTER ELETTORALI CI GUARDANO In realtà la bottiglia era sempre la
stessa, ma le reazioni cerebrali inconsce erano diverse: a parità di
stimolazione sensoriale le persone provavano un’emozione maggiore con il
vino più caro. «Il mondo del vino è emozione
– ha spiegato il professor Russo – e la maggior parte dei consumatori
non sceglie per conoscenze e competenze, ma per forma della bottiglia,
etichetta, prezzo, presentazione. Il consumatore non è una macchina
pensante che si emoziona, ma una macchina emotiva
che pensa». Lo stesso principio vale in politica. Nel 2012 per la
campagna presidenziale in Messico il candidato Enrique Peña Nieto
utilizzò grandi database con monitoraggio di espressioni facciali,
frequenze cardiache, alterazioni epidermiche e onde cerebrali
dei suoi connazionali. I cartelloni pubblicitari elettronici non
facevano soltanto propaganda elettorale, ma fotografavano, analizzavano e
studiavano le facce di chi si fermava a osservare. Secondo un’inchiesta
del New York Times le tecniche della neuropolitica
sono state impiegate in Spagna, Russia, Turchia, Argentina, Brasile,
Colombia, Polonia. Qui la premier Ewa Kopacz alle ultime elezioni si è
fatta aiutare da una società di brainmarketing. Ma ha perso. Per i
neuromiracoli è ancora troppo presto.
Nessun commento:
Posta un commento