venerdì 16 dicembre 2016

I Viaggi di Marco Pollo (El schito)

Dopo due settimane di Pakistan eccomi arrivato in India, passando dagli islamici rigori al colorato coacervo che caratterizza  questo paese. Qui gli estremi  spesso si toccano e lusso e miseria convivono, in obbedienza al cliché che vasta letteratura ci ha trasmesso e sul quale non mi soffermo. 
Atterrare a Delhi nel fine settimana non è stata però un’idea geniale.

Dalla sera alla mattina del 10 novembre scorso, infatti, il governo indiano ha bandito la circolazione delle banconote da 500  e 1000 rupie (circa 7 – 14 Euro), provocando l’assalto a banche e bancomat e la crisi di contante in tutto il paese. Questo per combattere l’ampia diffusione di biglietti falsi di questi tagli e l’economia sommersa (immaginiamoci se l’avessero fatto da noi).  Dicono che ci siano degli sportelli aperti solo in centro e quindi mi appresto a recarmici un po’ con la metro e un po’ col rickshaw (sorta di Ape a 6 posti che qui fa da taxi). Così  colgo anche l’occasione per visitare questa metropoli di circa 22 milioni d’abitanti.
Abituato alla Cina, alla congestione di Dacca e di altri agglomerati consimili in giro per il mondo, la cosa non mi preoccupa più di tanto. Bado solo a tenermi ben stretto il mio zainetto frontale con tutti i documenti e le carte di credito utili alla bisogna, agguantandolo con energica e costante presa che mi farà anchilosare il pugno. Si sa che l’occasione…
Realizzo subito che anche qui non c’è verso di prelevare o cambiare moneta e le code ai pochi sportelli aperti in centro contano almeno un centinaio di persone in paziente attesa. Fra l’altro il massimo prelevabile è di 2500 rupie, pari a circa 35 Euro: un capitale!
Cosa facciano la domenica gli abitanti di Nuova Delhi, ci metto poco a capirlo. Fanno la stessa cosa che da noi: lo struscio in centro.  Soltanto che loro sono talmente tanti che la cosa assume proporzioni indescrivibili. Noi europei ci teniamo alla privacy e a mantenere una certa distanza con i nostri simili, un sorta di alone corporeo di almeno una decina di centimetri e ci sentiamo a disagio se qualcuno che non ci è familiare lo oltrepassa. Qui questo alone è lo stesso del cerotto e quando si è in coda si ha modo di apprezzare ogni protuberanza di quello che ti sta dietro. Considerato che gli indiani in genere non hanno la panza, non è che sia un gran bel stare.
Abbandonato quindi lo scopo principale, cerco con fatica di dedicarmi a quello sussidiario e faccio un giretto del centro. Gli occidentali presenti ora in quest'area, si possono contare sulle dita di una mano e perciò sono fatto oggetto di istanze ad ogni passo: mendicanti, tassisti, lustrascarpe, venditori di cibo, di cianfrusaglie, aspiranti guide turistiche, profittatori vari, ecc., una cosa fastidiosa.
Sto seriamente pensando di procurarmi una di quelle papaline bianche ricamate da mettermi in testa, magari, data la barba, passo per un kashmiro e mi lasciano stare. Attraverso una specie di parco, dove c’è un po’ meno ressa e mi apparto per rispondere al messaggio di un mio collega. 
Sto riponendo il telefono e riprendendo il cammino, quand'ecco che un gentilissimo signore mi ferma e mi fa notare che sulla mia scarpa destra c’è una schifosa, verde e puteolente cacca. Mi informa che mi aveva centrato uno schito d’uccello, ma che potevo stare contento: portava fortuna per l’intera giornata. Io sapevo che per ottenere questo invidiabile stato bisognava pestarla, non che cadesse dall’alto. Mah,… vedo che tutto il mondo è paese. Peraltro sapevo anche che in India le vacche fossero sacre, ma non che volassero.
L’istintivo schifo non riesce tuttavia a sedare del tutto la mia parte razionale che mi dice che è assai improbabile che quello sia il lascito di un volatile e che mi abbia centrato proprio nella posizione in cui mi trovavo. Il premuroso signore si offre insistentemente di aiutarmi e di accompagnarmi ad una vicina fontanella per pulire la calzatura. "Ahi.., qui si mette male, Gianni!" Mi sussurra il mio grillo parlante nascosto nello zainetto. 
Dopo aver ripetutamente declinato l’invito, mi faccio vincere dalla sua premura e lo seguo giù per un viottolo. Della fontana non c'è ovviamente neanche l'ombra, in compenso appare d’incanto un lustrascarpe, che si offre, con altrettanti salamelecchi, di risolvere l’incomodo. Vabbè, capìta l’antifona! Ma ormai è fatta e comunque pulirla devo, meglio dunque delegare il compito a questo solerte artigiano. Mal che vada non penso di dover aprire un mutuo per saldare l'operazione, anche perché ora le banche sono altrimenti affaccendate.
Il buon uomo fa un eccellente lavoro, anche se noto che la pezzuola con cui pulisce il grosso, porta ancora tracce di analoghi interventi. Mi sa che agli uccelli qui servirebbero dosi massicce di Imodium e una dieta meno pesante. La scarpa destra adesso sfavilla, mentre quella sinistra è tutta impolverata; chiedo quindi di effettuare anche su quest’ultima il medesimo  trattamento. La cosa non risulta però soddisfacente, perché il Maestro non adopera lo stesso zelo applicato alla prima, col risultato che ho una scarpa luccicante e l’altra opaca. Lascio perdere, che non ne val la pena e chiedo il prezzo: 1200 rupie, circa 17 Euro. Un ladrocinio da queste parti.
Ma ecco rispuntare l'affabile compare, che nel frattempo mi aveva lasciato in buone mani, il quale si offre di aiutarmi nella contrattazione, fissando il prezzo massimo a 400 rupie, non di più. Se non fosse che voglio allontanarmi in fretta da quel posto, la cosa sarebbe anche divertente, ma gliene butto lì 200 e me ne vado celere.
Non riesco neanche ad arrabbiarmi che quel tizio mi abbia rovinato le scarpe buttandoci sopra quella porcheria a bell’apposta. Questa è una terra in cui la povertà morde e loro non fanno altro che cercare metodi innovativi per sbarcare il lunario; mi viene in mente il nostro Totò e tutto sommato apprezzo l’inventiva. La storia però non finisce qui e lo scopro dopo pochi passi, quando un altro lustrascarpe mi fa notare che le mie calzature hanno un aspetto disdicevole e che anche la sinistra merita di essere pulita come la destra, perché non si confà a un gentiluomo come me girare in quelle condizioni.  Lo mando subito a scaricarsi, ma la cosa si ripete circa ogni venti metri, finché non riesco ad infilarmi nel bazar sotterraneo.
Non l’avessi mai fatto! Li la calca è così opprimente e l’assillo dei venditori così asfissiante che devo guadagnare con fatica l’uscita e infilarmi al più presto nella metropolitana. La metrò di Delhi è moderna e anche ben tenuta; si viaggia abbastanza bene, salvo alcune tratte e orari in cui sembra che ti misurino la pressione. 
Il bilancio del pomeriggio è stato tutto sommato ragionevole: unica perdita la key card dell’albergo e il fazzoletto: le sole cose che avevo in tasca. Poteva andar peggio!
Gianni Spagnolo
XI-XII-MMXVI

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