Nel
mondo rurale in cui viveva una volta il nostro Paese, la solenne
celebrazione de "I SANTI" faceva parte di una delle tre o
quattro maggiori festività dell'anno liturgico. Si commemoravano
nello stesso giorno tutti i Santi e tutti i Defunti.
Con
il ritorno dai cantieri di montagna degli “emigranti”, il Paese
si trovava quasi al completo della sua popolazione. Per le vie del
Paese già al mattino presto, prima dell'alba, c'era un grande via
vai per le strade, sia a causa di quelli che portavano il latte
al “Casélo”
sia di quelli che si recavano alla prima Messa celebrata dal
Cappellano, don Antonio Rigoni, che morirà poi in campo di
concentramento a Mauthausen, alla fine della guerra del 1945.
La
Messa era frequentata principalmente dagli addetti ai lavori delle
stalle e dalle donne, madri di famiglia, soggette ai lavori
casalinghi.
Alle
sei e trenta, “in pompa magna”, si celebrava la Messa
Parrocchiale. Quando arrivavano davanti alla porta della Chiesa, le
coppie, composte la maggior parte, da Persone anziane, si
separavano.
Le
donne si nascondevano con il velo “obbligatorio” i cappelli ed
entravano per la porta maggiore accomodandosi nei banchi della prima
metà della chiesa. Gli uomini entravano dalle porte laterali e
occupavano i banchi davanti. Canti, prediche infinite e comunioni a
non finire...
Il
valore della Messa era calcolata dall'importanza del Predicatore ed
in base alla sua durata.
Alle
otto e trenta la “Messa del Fanciullo”. Bambine e Bambini con i
vestiti più belli cercavano di mettersi in mostra. Separati in
chiesa pure loro: i bambini davanti, le bambine dietro.
Al
mattino, il sommo della festività, era la Messa solenne delle dieci
e trenta . Tutto luci e ori, era spesso celebrata da un Prete
originario del Paese e cantata da una folta schiera di Cantori
locali, esclusivamente maschi, nascosti dietro l'Altare maggiore, che
con le loro voci, spesso stonate, facevano tremare il volto della
“nuova Chiesa.”
Finite
le lunghe celebrazioni, la folla festante si riversava nelle sei
osterie esistenti. Tra lo smog a bassa quota, un bicchiere di vino ed
una sigaretta di trinciato forte, si potevano allacciare vecchie
amicizie ed incontrare Parenti e conoscenti dimenticati.
Alcuni
uomini si scordavano anche il passare delle ore e si facevano
sgridare dalle loro mogli e figlie al ritorno a casa, perchè il
pranzo di mezzogiorno era importante come la Festività. Si mangiava
qualcosa di speciale e diverso dagli altri giorni ed era importante
mangiare con tutta la Famiglia riunita.
Ad
una splendida mattina primaverile, seguì un pomeriggio proprio da
primo novembre. Si era alzato un fresco venticello che penetrava e
bruciava la pelle. Oscure nubi nel cielo non promettevano nulla di
buono.
La
Commemorazione dei Morti iniziava alle due del pomeriggio con i
Vespri.
La
Chiesa, tutta luccicante il mattino, era diventata tutta scura e
strapiena da non poter contenere, seppur nuova, tutti i fedeli che si
erano radunati. Davano un po' di luce solo due candele accese
nell'Altare maggiore ed i grandi candelabri, posti attorno al grande catafalco, coperto da un drappo nero, dipinto con figure simboliche, quali:
angeli con la spada, lo scheletro della morte con la falce. Occupava
il centro della navata.
Finite le Funzioni, si partiva per la grande Processione. Le Campane si
Davanti,
la Croce portata da un chierichetto con a fianco altri due, con le
candele. Seguivano due per due i bambini, i giovani e gli uomini,
sotto la sorveglianza, non sempre amorevole, de “Camilòto” che
lasciava spesso partire la sua manaccia sulla testa del primo
malcapitato che sgarrava un po'. Seguivano "i Fabbrizieri",
i Mòcoli, il Prete con l'Ostensorio, protetto dal Baldacchino,
portato dai "Confratelli" tutti vestiti di rosso e dietro
le suore e le pie donne...
La
lunga processione si snodava giù giù, fino alla Cappella della
Santa Croce (ora Chiesetta dell'Emigrante). Non si andava fino al cimitero
che
Fece
presto il Prete a dare la benedizione, perchè il vento e una
pioggerellina fredda cominciarono a infastidire i Fedeli. Il ritorno
alla chiesa era molto più rapido, anche perché alla chetichella la
gente spariva.
Alla
sera, dopo una parca cena, (i resti del pasto di mezzogiorno) ed una
manciata di castagne, raccolte alla "spìgola" in Castana o
in Posina, nelle famiglie più credenti, si recitava il Rosario, con
tante, tante "giaculatorie". Ma la giornata non era finita.
Almeno
per i più sfortunati, per quelli che avevano perso di recente le
Persone più care che si possono avere al mondo.
Si
partiva da casa nell'oscurità, con vento e pioggerellina battente,
per recarsi al Cimitero, luogo irreale la notte. Non bisognava aver
paura. Ombre sfuggevoli ti passavano a fianco o ti venivano incontro.
Dovevi a naso trovare la tomba dei Tuoi.
E
mentre eri lì fermo, sentivi dei passi dietro di te. In certi posti
del cimitero l'oscurità era completa, solo qualche candela sulle
tombe dei Defunti benestanti emetteva una fioca luce. Ed ogni dieci
minuti, il rimbombo delle campane ti faceva venire la pelle d'oca. Si
cercava di passare velocemente per le varie tombe per ritornare a
casa, al caldo, il più presto possibile.
Erano
forse le tre o le quattro del mattino. Dormivamo tranquilli nel
letto, al quarto piano, quando una terribile bufera si scatenò sopra
la Valle. Lampi, tuoni, fulmini, saette solcavano il cielo ed il
suono intermittente delle campane, portato dal vento, sembrava
arrivasse da sotto il letto.
Ad
un certo punto una raffica di vento fece tremare la casa, spalancò i
balconi in legno che iniziarono a sbattere contro i muri. Qualche
istante dopo, un'altra raffica ancor più violenta spalancò le
deboli finestre portando una folata di vento ed acqua nel mezzo della
camera e l'orribile suono delle campane nelle nostre orecchie. Che
spavento!!!
Fu
un lampo balzare dal letto e correre nella stanza sotto, dove
dormivano altre Persone.
Ci
accovacciammo dalla parte dei piedi del letto e, beata giovinezza, ci
addormentammo.
Bello e interessante questo racconto Lino. Interessante anche il discorso che la processione finiva alla Cappella perchè non era il giorno dei morti. Io invece me la ricordo sempre fino al cimitero. Tutto cambia.
RispondiEliminaBravo Lino grazie per questo racconto. Stasera però non suonavano da morto, ma quasi a festa. Meglio una volta.
RispondiEliminaBello e struggente questo amarcord, Lino; fatti leggere più spesso.
RispondiEliminaLino, hai un talento di scrittore.
RispondiEliminaTutto cambia come dice Anonimo delle 19.07... Anche le nostre paure, da bambini o adulti. Oggi, con la globalizzazione, dobbiamo affrontare minacce più sofisticate, reali o no.
Come sempre Lino riesce ad emozionare, leggendo i suoi racconti sembra di vedere personaggi e luoghi come in un film, ricco di particolari ci fa vivere quei momenti come se fossimo lì presenti. A proposito chi sono i Fabbrizieri????? Floriana
RispondiEliminaFinalmente signor Lino. Dove era finito? Bello il racconto sempre grazie per queste testimonianze.
RispondiEliminaI " FABBRIZIERI" erano "Personalità eccellenti" per religiosità che gestivano
RispondiEliminaassieme al Parroco gli affari economici della Chiesa.Sono stati sopressi!!!!!
Gli stessi ora si chiamano:"Consiglieri per gli Affari Economici della Parrocchia !!!! Ringazio di cuore tutti i lettori che mi hanno onorato con i loro lusinghieri commenti.