martedì 1 novembre 2016

Nel giorno de: "I SANTI" na volta... - by Lino Bonifaci


Nel mondo rurale in cui viveva una volta il nostro Paese, la solenne celebrazione de "I SANTI" faceva parte di una delle tre o quattro maggiori festività dell'anno liturgico. Si commemoravano nello stesso giorno tutti i Santi e tutti i Defunti. 
Con il ritorno dai cantieri di montagna degli “emigranti”, il Paese si trovava quasi al completo della sua popolazione. Per le vie del Paese già al mattino presto, prima dell'alba, c'era un grande via vai per le strade, sia a causa di quelli che portavano il latte al Casélo” sia di quelli che si recavano alla prima Messa celebrata dal Cappellano, don Antonio Rigoni, che morirà poi in campo di concentramento a Mauthausen, alla fine della guerra del 1945.
La Messa era frequentata principalmente dagli addetti ai lavori delle stalle e dalle donne, madri di famiglia, soggette ai lavori casalinghi.
Alle sei e trenta, “in pompa magna”, si celebrava la Messa Parrocchiale. Quando arrivavano davanti alla porta della Chiesa, le coppie, composte la maggior parte, da Persone anziane, si separavano. 

Le donne si nascondevano con il velo “obbligatorio” i cappelli ed entravano per la porta maggiore accomodandosi nei banchi della prima metà della chiesa. Gli uomini entravano dalle porte laterali e occupavano i banchi davanti. Canti, prediche infinite e comunioni a non finire...
Il valore della Messa era calcolata dall'importanza del Predicatore ed in base alla sua durata.
Alle otto e trenta la “Messa del Fanciullo”. Bambine e Bambini con i vestiti più belli cercavano di mettersi in mostra. Separati in chiesa pure loro: i bambini davanti, le bambine dietro.
Al mattino, il sommo della festività, era la Messa solenne delle dieci e trenta . Tutto luci e ori, era spesso celebrata da un Prete originario del Paese e cantata da una folta schiera di Cantori locali, esclusivamente maschi, nascosti dietro l'Altare maggiore, che con le loro voci, spesso stonate, facevano tremare il volto della “nuova Chiesa.”
Finite le lunghe celebrazioni, la folla festante si riversava nelle sei osterie esistenti. Tra lo smog a bassa quota, un bicchiere di vino ed una sigaretta di trinciato forte, si potevano allacciare vecchie amicizie ed incontrare Parenti e conoscenti dimenticati. 
Alcuni uomini si scordavano anche il passare delle ore e si facevano sgridare dalle loro mogli e figlie al ritorno a casa, perchè il pranzo di mezzogiorno era importante come la Festività. Si mangiava qualcosa di speciale e diverso dagli altri giorni ed era importante mangiare con tutta la Famiglia riunita.
Ad una splendida mattina primaverile, seguì un pomeriggio proprio da primo novembre. Si era alzato un fresco venticello che penetrava e bruciava la pelle. Oscure nubi nel cielo non promettevano nulla di buono.
La Commemorazione dei Morti iniziava alle due del pomeriggio con i Vespri. 
La Chiesa, tutta luccicante il mattino, era diventata tutta scura e strapiena da non poter contenere, seppur nuova, tutti i fedeli che si erano radunati. Davano un po' di luce solo due candele accese nell'Altare maggiore ed i grandi candelabri, posti attorno al grande catafalco, coperto da un drappo nero, dipinto con figure simboliche, quali: angeli con la spada, lo scheletro della morte con la falce. Occupava il centro della navata.

Finite le Funzioni, si partiva per la grande Processione. Le Campane si
mettevano a suonare in terzo  "da morto" ed avrebbero continuato così, arrestandosi tutti i dieci minuti, fino al mattino. 
Davanti, la Croce portata da un chierichetto con a fianco altri due, con le candele. Seguivano due per due i bambini, i giovani e gli uomini, sotto la sorveglianza, non sempre amorevole, de “Camilòto” che lasciava spesso partire la sua manaccia sulla testa del primo malcapitato che sgarrava un po'. Seguivano "i Fabbrizieri", i Mòcoli, il Prete con l'Ostensorio, protetto dal Baldacchino, portato dai "Confratelli" tutti vestiti di rosso e dietro le suore e le pie donne... 
La lunga processione si snodava giù giù, fino alla Cappella della Santa Croce (ora Chiesetta dell'Emigrante). Non si andava fino al cimitero che
era a due passi, no, perchè per la Chiesa era ancora la festa dei Santi. Solo il mattino dopo si sarebbe celebrata nella Cappellina del cimitero la Messa per tutti i fedeli Defunti.
Fece presto il Prete a dare la benedizione, perchè il vento e una pioggerellina fredda cominciarono a infastidire i Fedeli. Il ritorno alla chiesa era molto più rapido, anche perché alla chetichella la gente spariva.
Alla sera, dopo una parca cena, (i resti del pasto di mezzogiorno) ed una manciata di castagne, raccolte alla "spìgola" in Castana o in Posina, nelle famiglie più credenti, si recitava il Rosario, con tante, tante "giaculatorie". Ma la giornata non era finita.
Almeno per i più sfortunati, per quelli che avevano perso di recente le Persone più care che si possono avere al mondo. 
Si partiva da casa nell'oscurità, con vento e pioggerellina battente, per recarsi al Cimitero, luogo irreale la notte. Non bisognava aver paura. Ombre sfuggevoli ti passavano a fianco o ti venivano incontro. Dovevi a naso trovare la tomba dei Tuoi.
E mentre eri lì fermo, sentivi dei passi dietro di te. In certi posti del cimitero l'oscurità era completa, solo qualche candela sulle tombe dei Defunti benestanti emetteva una fioca luce. Ed ogni dieci minuti, il rimbombo delle campane ti faceva venire la pelle d'oca. Si cercava di passare velocemente per le varie tombe per ritornare a casa, al caldo, il più presto possibile.
Erano forse le tre o le quattro del mattino. Dormivamo tranquilli nel letto, al quarto piano, quando una terribile bufera si scatenò sopra la Valle. Lampi, tuoni, fulmini, saette solcavano il cielo ed il suono intermittente delle campane, portato dal vento, sembrava arrivasse da sotto il letto. 

Ad un certo punto una raffica di vento fece tremare la casa, spalancò i balconi in legno che iniziarono a sbattere contro i muri. Qualche istante dopo, un'altra raffica ancor più violenta spalancò le deboli finestre portando una folata di vento ed acqua nel mezzo della camera e l'orribile suono delle campane nelle nostre orecchie. Che spavento!!! 
Fu un lampo balzare dal letto e correre nella stanza sotto, dove dormivano altre Persone. 
Ci accovacciammo dalla parte dei piedi del letto e, beata giovinezza, ci addormentammo.


7 commenti:

  1. Bello e interessante questo racconto Lino. Interessante anche il discorso che la processione finiva alla Cappella perchè non era il giorno dei morti. Io invece me la ricordo sempre fino al cimitero. Tutto cambia.

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  2. Bravo Lino grazie per questo racconto. Stasera però non suonavano da morto, ma quasi a festa. Meglio una volta.

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  3. Bello e struggente questo amarcord, Lino; fatti leggere più spesso.

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  4. Lino, hai un talento di scrittore.
    Tutto cambia come dice Anonimo delle 19.07... Anche le nostre paure, da bambini o adulti. Oggi, con la globalizzazione, dobbiamo affrontare minacce più sofisticate, reali o no.

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  5. Come sempre Lino riesce ad emozionare, leggendo i suoi racconti sembra di vedere personaggi e luoghi come in un film, ricco di particolari ci fa vivere quei momenti come se fossimo lì presenti. A proposito chi sono i Fabbrizieri????? Floriana

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  6. Finalmente signor Lino. Dove era finito? Bello il racconto sempre grazie per queste testimonianze.

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  7. I " FABBRIZIERI" erano "Personalità eccellenti" per religiosità che gestivano
    assieme al Parroco gli affari economici della Chiesa.Sono stati sopressi!!!!!
    Gli stessi ora si chiamano:"Consiglieri per gli Affari Economici della Parrocchia !!!! Ringazio di cuore tutti i lettori che mi hanno onorato con i loro lusinghieri commenti.

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