Se
mai c’è qualcosa di cui, in questo scampolo di Valle, possiamo parlare con
cognizione di causa, credo sia d’Emigrazione.
Ne parlano sommessamente le
imposte chiuse delle case, le strade e le corti vuote, le contra’ desolate, la socialità
asfittica e la terra in malora. Lo grida la memoria delle nostre famiglie: quella
misconosciuta perché amara, perché le priorità erano altre, perché non
interessa a nessuno.
Credevo di far parte dell’ultima generazione ad aver sperimentato l'emigrazione, pur se in misura certo diversa rispetto a quanto non l’ebbero i miei genitori e nonni. Io sono un emigrante ritornato, come lo furono i miei maggiori dopo aver trascorso gran parte della loro esistenza all’estero.
Non avrei mai pensato che l’emigrazione
potesse divenire un orizzonte per i miei figli.
In
verità io la valigia l’ho dovuta riprendere per compagna. Lavoro in giro per il
mondo; vado e vengo per inseguire opportunità che l’Italia ha cessato di
offrirmi. Che ha smesso di offrire a me, che ho 55 anni, come ha smesso di offrire ai giovani. Certo, il
mio girovagare è in parte scelto, ed esercitato con modalità, libertà e agi incomparabili con quelle
delle generazioni passate; ciò non toglie che sia sconcertato dal fatto che si pensi così impunemente
di lasciar partire i nostri figli, invece di impegnarsi seriamente a creare le
premesse affinché possano esercitare i loro talenti in patria. Sono sbigottito perché so cosa c’è fuori, perché l’ho
vissuto e lo vivo, perché conosco la fatica di competere e cosa vuol dire
essere straniero.
Intendiamoci bene: non sono certo contrario a che i giovani facciano esperienze lavorative all’estero, anzi, sono senz’altro formative e talvolta opportune. Ma un conto è fare un inciso sul progetto di vita, altro è farne un progetto di vita che non ha alternative. Fare il pizzaiolo o il barista a Berlino, Londra o Sidney, può essere entusiasmante a vent’anni, ma non è detto lo sia anche a quaranta. Di Einstein e Fermi, in giro, ce ne sono pochini anche da noi (se non altro per ragioni statistiche) e i nostri figli non sono necessariamente migliori, più preparati, più furbi e più attrezzati di coloro che già abitano questi paesi e ci vivono protetti da profonde relazioni, padronanza di usi, costumi e lingue che ai nostri sono per lo più estranei.
Inoltre i nostri rampolli raggiungono e superano abbondantemente la maggior età
senza aver mai dovuto effettivamente competere e lottare per la vita, protetti
come sono dalle nostre cure parentali, parte volute e parte costrette.
Non è così per la maggior parte dei loro coetanei nel mondo: dall’Asia all’Africa,
passando per l’America Latina e parte dell’Europa recentemente sviluppata. Dovranno
competere con loro sul mercato globale, non avendone l’addestramento e lo
spirito. Buona fortuna!
Rabbrividisco al sentire genitori (che magari non si sono mai mossi da casa e hanno pallide idee di come va il mondo, perché leggono e pensano anche poco), bearsi del fatto che il proprio pargolo vada a lavorare all’estero, che così impara le lingue, che tanto qui non ci sono prospettive ecc., mentre là fuori sembra che il mondo ci sorrida. La chiamano fuga di cervelli, anche se non mi pare che questo sia l'organo maggiormente necessario per i lavori che vanno a fare (con tutto il rispetto per questi ultimi). Soprattutto la politica soffia ipocritamente su questo fuoco, così si risparmia l'onere di provvedere al loro futuro. Ci raccontano che siamo cittadini di un mondo ormai globalizzato e senza più confini, ma loro intanto preferiscono campare delle nostre rimesse, perché sanno bene che l'unica cosa che si globalizza facilmente è la miseria.
Rabbrividisco al sentire genitori (che magari non si sono mai mossi da casa e hanno pallide idee di come va il mondo, perché leggono e pensano anche poco), bearsi del fatto che il proprio pargolo vada a lavorare all’estero, che così impara le lingue, che tanto qui non ci sono prospettive ecc., mentre là fuori sembra che il mondo ci sorrida. La chiamano fuga di cervelli, anche se non mi pare che questo sia l'organo maggiormente necessario per i lavori che vanno a fare (con tutto il rispetto per questi ultimi). Soprattutto la politica soffia ipocritamente su questo fuoco, così si risparmia l'onere di provvedere al loro futuro. Ci raccontano che siamo cittadini di un mondo ormai globalizzato e senza più confini, ma loro intanto preferiscono campare delle nostre rimesse, perché sanno bene che l'unica cosa che si globalizza facilmente è la miseria.
Nel
contempo assistiamo sconcertati alla venuta in Italia di frotte di migranti: giovani virgulti d’Africa che il mainstream
imperante ci presenta in massa come
fuggitivi da chissà quali conflitti, ma che invece non sono altro che persone costrette a cercare un futuro
migliore lontano dalla loro terra, come dovettero fare i nostri padri e nonni e
come, Dio non voglia, dovranno fare i nostri figli. Ci stanno/stiamo mentendo perché non sanno/sappiamo cosa fare, sono/siamo troppo
impegnati e abituati a difendere i loro/nostri privilegi per pensare alla
prossima generazione. Hanno/abbiamo dissipato il futuro.
I nostri Padri non sono vissuti solo per loro stessi, l’hanno
fatto soprattutto per noi, risparmiando e posponendo le loro soddisfazioni in
virtù d’un bene che sentivano sovrastarli, perché è così che furono educati, così che la vita aveva loro insegnato: a pensare al domani, che nulla è conquistato per sempre.
Io
personalmente, per quel che può servire, mi sto vergognando.
Ecco allora che torna utile leggere la testimonianza che ci offre l’amico Juan Carlos Pierotto riguardo alla sua famiglia, partita dai Valeri dopo la prima Guerra Mondiale, dopo l'effimera euforia della ricostruzione. Una emigrazione durata tre generazioni, come tante ce ne furono da noi. Anche lui è ritornato; è venuto qui, nella terra dei suoi avi, in una sorta di nemesi generazionale, che rappresenta anche un monito.
Ecco allora che torna utile leggere la testimonianza che ci offre l’amico Juan Carlos Pierotto riguardo alla sua famiglia, partita dai Valeri dopo la prima Guerra Mondiale, dopo l'effimera euforia della ricostruzione. Una emigrazione durata tre generazioni, come tante ce ne furono da noi. Anche lui è ritornato; è venuto qui, nella terra dei suoi avi, in una sorta di nemesi generazionale, che rappresenta anche un monito.
È l'ancestrale maledizione di Caino che ci perseguita;
l’uomo fatica a trovar pace sulla terra, ed è condannato a serbare un’indicibile struggimento per quella parte di essa che
è stato costretto a lasciare, sentimento che si trasmette attraverso le generazioni. Se vogliamo è un po’ l’archetipo di questa nostra
migrazione terrena.
Mio Nonno Pierotto Pietro Michele, nacque a Rotzo (al tempo San Pietro faceva parte di questo comune) in Contra' Valeri il 31 gennaio 1901.
Il 28.08.1923 mio Nonno è partito Emigrante per l'Argentina imbarcandosi a Genova col piroscafo "Re Vittorio"; sono giunti a destinazione il 16.09.1923 dopo 20 giorni di navigazione.
Prima della partenza, per potersi pagare il biglietto, le sorelle gli avevano ceduto tutte le proprietà ereditate, in modo che lui potesse poi venderle e con i soldi percepiti emigrare.
Negli anni novanta assieme a mia moglie Maria siamo tornati in Italia con i nostri figli: Diego, Javier, Vanina e Paola e risiediamo a Cogollo del Cengio.
Gianni Spagnolo
III.XI.MMXVI
III.XI.MMXVI
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Juan
Carlos Pierotto ora abita a Cogollo del Cengio con la sua
famiglia, rientrata dall'Argentina una ventina d'anni fa. Le sue
radici partono però da più vicino a noi, da quella Contra' Valeri,
da dove suo nonno Pietro Michele, dei Pierotto Conte, partì
nel 1923 per La Merica.
Ma lasciamo alla sua penna raccontarci brevemente l'odissea di questa emigrazione, comune a tante famiglie della nostra zona all'epoca. Torna utile pure leggere i documenti di quelle peripezie, accuratamente conservati da Juan Carlos a testimonianza delle vicende familiari e raccordo con le sue origini. Proviamo soprattutto a intravedere cosa si cela fra gli intervalli di quelle date, minuziosamente conservate nella memoria e trascritte. Un patrimonio di emozioni, di speranze, di gioie e di fatiche, di successi e di sconfitte, di forza e di coraggio.
Ma lasciamo alla sua penna raccontarci brevemente l'odissea di questa emigrazione, comune a tante famiglie della nostra zona all'epoca. Torna utile pure leggere i documenti di quelle peripezie, accuratamente conservati da Juan Carlos a testimonianza delle vicende familiari e raccordo con le sue origini. Proviamo soprattutto a intravedere cosa si cela fra gli intervalli di quelle date, minuziosamente conservate nella memoria e trascritte. Un patrimonio di emozioni, di speranze, di gioie e di fatiche, di successi e di sconfitte, di forza e di coraggio.
Mio Nonno Pierotto Pietro Michele, nacque a Rotzo (al tempo San Pietro faceva parte di questo comune) in Contra' Valeri il 31 gennaio 1901.
Il
25 settembre 1921 si è sposato con Lucca Maria, nata a Rotzo il 29
luglio 1896.
Il 28.08.1923 mio Nonno è partito Emigrante per l'Argentina imbarcandosi a Genova col piroscafo "Re Vittorio"; sono giunti a destinazione il 16.09.1923 dopo 20 giorni di navigazione.
Prima della partenza, per potersi pagare il biglietto, le sorelle gli avevano ceduto tutte le proprietà ereditate, in modo che lui potesse poi venderle e con i soldi percepiti emigrare.
È
partito lasciando in Italia la moglie Maria con un figlio nato il
19/01/1923: Bruno Pietro Stefano Pierotto. Suo figlio, mio Papà,
aveva appena 8 mesi.
Mia
Nonna e mio Papà hanno raggiunto mio Nonno in Argentina nell'anno
1927 dopo 4 anni. Sono partiti da Genova esattamente il 31.05.1927
col piroscafo "Ammiraglio Bettolo" e arrivati in Argentina
circa 20 giorni dopo.
Negli anni novanta assieme a mia moglie Maria siamo tornati in Italia con i nostri figli: Diego, Javier, Vanina e Paola e risiediamo a Cogollo del Cengio.
Mia
figlia Paola Pierotto si è sposata a San Pietro sabato 1 ottobre
scorso con Andrea Perezzan.
Ecco i documenti che Juan Carlos ha conservato gelosamente:
La figlia Paola Carla Pierotto con Andrea Perezzan
il giorno del loro matrimonio 1 ottobre 2016
commovente il loro desiderio
di sposarsi nella chiesa di San Pietro
dove il loro Nonno, Pierotto Bruno
aveva ricevuto il Santo Battesimo.
Tanti bellissimi auguri a Paola e Andrea !
RispondiEliminaGianni ci offre una delle curiose statue in bronzo di Bruno Catalano, scultore francese di Marsiglia. Le sue statue rappresentano i viaggiatori, i migranti, in un modo molto espressivo, con il bagaglio a mano (per certi la valigia in cartone). Le opere non lasciano indifferenti, interpellano. Quando parte, il viaggiatore, il migrante, lascia una parte di se (giovinezza, Patria, famiglia, affetti, illusioni...), un pezzo di lui è perso per sempre. C'è dolore nello sguardo teso, ma c'è anche curiosità.
"L'uomo nuovo" sarà forse fatto, lo dice il filosofo e scrittore Francese Michel Serres, di pezzi diversi, come la carta d'identità dei geni di ognuno di noi, come lo è il costume di Arlecchino.
Ho atteso qualche giorno per vedere i commenti a questo post. Purtroppo, a parte Odette, non si è fatto vivo nessuno, nemmeno quell’anonimo di qualche giorno fa che ha giurato di non fare più commenti su questo sito. Peccato! Non so, forse è scritto troppo piccolo o in modo troppo difficile da comprendere. Peccato perché per me è uno dei migliori post pubblicati. L’analisi di Gianni sull’emigrazione merita una lode e profonda emozione viene anche dalla storia della famiglia Pierotto. Posso solo intuire l’affetto e la nostalgia degli emigranti per il paese di origine, la cura con la quale hanno conservato i documenti di identità e di viaggio lo dimostrano. E immagino anche il loro dispiacere e l’amarezza provata per tutto quello che hanno ritrovato e che non corrispondeva a quello che avevano nel cuore. Purtroppo questo è quello che succede a chi se ne va e poi ritorna a casa dopo tanto tempo, ricorda tutte le cose belle, e delle cose tristi non rammenta nulla, ed è anche una fortuna, in un certo senso, così il cervello seleziona e ci aiuta a vivere. Comunque grazie di cuore a Gianni, e tanti auguri sinceri agli sposi, molto fortunati per avere ricevuto il dono del ricordo da parte dei loro genitori e nonni.
RispondiEliminaAderisco pienamente su quanto soprascritto.
RispondiEliminaBravissimo a Gianni,l'amore per le sue radici che traspare sempre in quello che scrive mi emoziona e entusiasma.
..sono anch'io una nata all'estero,ma ritornata.