sabato 13 febbraio 2016

La tradizione tradita

Credo che nessuno possa negare l’importanza della memoria nel bagaglio di ogni uomo. Di più: essa è di fatto l’unico portato che gli appartiene veramente e che non gli può essere sottratto. Cosa sarebbe infatti di un uomo senza la memoria del suo vissuto? In sua mancanza non sussisterebbe nemmeno una personalità distinta dall’istinto.
La tradizione orale, che della memoria è l’espressione più comune, è stata anticamente il principale strumento di trasmissione della conoscenza. Quando non erano ancora sviluppate o disponibili altre rappresentazioni, come l’immagine, il simbolo o la scrittura, essa consentì che le esperienze e le conoscenze dei padri fossero trasmesse ai figli e di generazione in generazione fino a quando non avessero perso la loro utilità o fossero giunte ad essere finalmente codificate in forma scritta. Pensiamo per esempio alla Bibbia, ma anche a tutti gli antichi Libri Sacri dell’Umanità.

Essa è infatti alla portata di qualunque persona dotata di parola e intelletto, a prescindere dal suo grado d’istruzione, di formazione o di cultura (ma può essere sufficiente anche solo l'esempio). La tradizione serve  appunto per trasmette quelle esperienze di vita e quelle istruzioni morali che si sono via via sedimentate nel tempo rivelandosi utili e positive alla società e perciò meritevoli di essere coltivate e trasmesse ai posteri.
Viene ora da chiedersi se sia affidabile la tradizione orale, esposta com’è alle interpretazioni e alle mediazioni dei tempi.  Non è una domanda di pronta risposta, occorre distinguere.

Per trasmettersi ai posteri in modo sufficientemente affidabile e conforme all’originale, senza contare su di un riferimento scritto, una tradizione orale deve sottostare a precise e rigorose formalità di memorizzazione. Possiamo pensare ad esempio all’istruzione religiosa rivolta a persone illetterate, effettuata mandando a memoria preghiere standardizzate, formule rituali, giaculatorie, salmi, canti e liturgie simboliche. In altri casi con poesie, canzoni, proverbi, modi di dire, frasi sapienziali, ecc. Sempre comunque con l’indispensabile culto dell’Autorità della Fonte (divinizzazione).
Senza questi mezzi non sarebbe altrimenti possibile trasmette nel tempo informazioni fedeli attraverso la parola; nel giro di pochi decenni e con la morte dei trasmettitori, essa è fatalmente destinata a  corrompersi, quando non a stravolgersi. Rimarrà di fondo una evocazione, ma con dettagli sfumati, imprecisi, errati o fantasiosi, quanto maggiore è l’ambito in cui circola. Diverrà ben presto un mito, in caso di argomenti forti, altrimenti si perderà nell’oblio (se nel frattempo non viene registrata).
Tutta questa premessa ci serve per riflettere sull’affidabilità delle tradizioni legate al nostro territorio, giacché abbiamo spesso lamentato in questa sede di quanto scarne siano le fonti documentali per consentirci di capire la storia e l’evoluzione della nostra piccola comunità.
All’inizio io ero partito proprio dalle tradizioni orali, familiari e paesane, per cercare di mettere insieme i tasselli del puzzle che non mi riusciva di collocare per carenza di fonti documentali. È stato proprio quella esperienza a farmi capire quanto imprecisa sia questa via, pur non potendone assolutamente prescindere. Infatti, ho potuto verificare che quello che noi sappiamo con una certa precisione (intendo da sola fonte orale, mai codificata in scritto), risale soltanto fino ai nostri nonni o poco più. Più indietro non si va, e quello che ci è eventualmente pervenuto è vago e indeterminato, in poche parole non è affidabile in tutto o in parte.
Questa affermazione sembrerà forse strana, perciò aiutiamoci con alcuni esempi:
Tutti noi abbiamo avuto quattro nonni, alcuni magari li abbiamo ancora, altri li abbiamo conosciuti ma non ci sono più, altri ancora non li abbiamo neanche potuti conoscere. Di loro immagino tutti sappiamo indicare per ciascuno almeno: il nome, il cognome, l’anno di nascita e da dove provenissero. Se proviamo invece a farlo con gli otto bisnonni, di sicuro troveremo delle lacune. E stiamo parlando di un periodo inferiore al secolo e che riguarda il nostro ristretto ambito familiare. Magari sappiamo che uno era venuto dall’Altopiano, o dalla Val Posina, ma non esattamente da dove e in che data, cosa facesse, perché si trasferì, ecc. Se con le memorie familiari siamo messi così, figuriamoci il resto.

Scrivendo dei capitelli della Singéla, per esempio, di tutti ho trovato informazioni attendibili e coerenti, fuorché di quello della Madonna alle Valpiane.  Perché? Semplicemente perché tutti, eccetto questo, furono costruiti nel secolo scorso, epoca grossomodo dei nostri nonni. Quello della Madonna è solo un po’ più vecchio, dell’epoca dei nostri bisnonni, ma è sufficiente perché di esso sfumino i ricordi. Intendiamoci bene: non è che non ci siano state trasmesse informazioni, ma esse non sono coerenti e affidabili. C’è chi dice che sia stato edificato da un malgaro di Camprosà, altri che era di Posellaro, ma forse del Trugole. Qualcuno sostiene che fu eretto a voto per lo scampato pericolo di un parto difficile della moglie, altri della figlia, altri per una malattia del malgaro stesso, e così via. Vediamo che c’è un fondo comune di verità, un minimo comune denominatore, se vogliamo: il fatto che non fu costruito da paesani ma da malghesi. Circa il resto però, di quale versione ci fidiamo? Quell’edicola data probabilmente intorno al 1880, in piena epoca di bisnonni, i quali avranno raccontato ai figli le cose esatte, perché le sapevano di prima mano  e conoscevano probabilmente anche l’autore. I figli trasmisero poi la notizia ai nostri padri e loro a noi. Ma per strada qualcuno aggiunse, qualcuno tolse, qualcuno colmò di suo le lacune che non si ricordava, e via così. Nessuno scrisse di questo e quindi l’evento scivolò nell'indeterminatezza.

Nessun sampierese sa da dove provenissero i primi abitatori del paese. Nessun cimbro, neanche il più fanatico e sotto tortura, saprebbe indicare da dove venissero  i suoi progenitori: se fossero sassoni, baiuvari,  vagabondi tirolesi o pretoriani degli Ezzelini, o un miscuglio di tutto questo. E sì che lì è stato investito molto e in tanti si sono inventati le più diverse e improbabili ascendenze; però se anche il Dal Pozzo s’interrogava onestamente in merito, significa che nulla di affidabile è giunto sino a noi, neppure a livello mitologico. Ciò nonostante circolano ancora innumerevoli scritti che perpetuano e rimasticano le ipotesi più inverosimili usando gli unici due documenti storici esistenti come sineddoche. E si che la stranezza di quest’isola alloglotta era di tutta evidenza e suscitava senz’altro curiosità. 
Di esempi così ne possiamo citare a piacere. Solo quando la tradizione appoggia su elementi documentali o arriva a fissarsi in forma scritta, solo allora comincia ad acquistare credito. Va comunque riconosciuto che la scrittura è pure capace di accreditare e nobilitare tradizioni in parte o del tutto infondate. 
Restando nell’ambito paesano, osserviamo che Don Giovanni Toldo  scrisse la sua storia del nostro paese negli anni trenta del secolo scorso e registrò le tradizioni orali raccolte dagli anziani di allora. Di qualcuna di esse, come quella che tramandava che l’Astico scorresse aderente ai piedi della collina del paese ancora nel 1800, non era affatto convinto e ne effettuò onestamente l’analisi critica. Se tuttavia Don Giovanni non avesse meritoriamente scritto di quelle tradizioni, esse sarebbero andate irrimediabilmente perdute e tutti noi saremmo culturalmente più poveri.
Gianni Spagnolo
III.II.MMXVI

3 commenti:

  1. leggo con interesse e mi fanno piacere .....grazie

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  2. Molto, molto interessante Gianni complimenti

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  3. Le analisi di Gianni sono sempre interessanti e profonde.
    Ma queste sue riflessioni nascono da una esperienza diretta, insostituibile nell’apprendimento delle dinamiche umane.

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