Credo che nessuno possa negare
l’importanza della memoria nel bagaglio di ogni uomo. Di più: essa è di fatto l’unico portato che gli appartiene veramente e che non gli può essere
sottratto. Cosa sarebbe infatti di un uomo senza la memoria del suo vissuto? In
sua mancanza non sussisterebbe nemmeno una personalità distinta dall’istinto.
La tradizione orale, che della
memoria è l’espressione più comune, è stata anticamente il principale strumento
di trasmissione della conoscenza. Quando non erano ancora sviluppate o
disponibili altre rappresentazioni, come l’immagine, il simbolo o la scrittura,
essa consentì che le esperienze e le conoscenze dei padri fossero trasmesse ai figli
e di generazione in generazione fino a quando non avessero perso la loro utilità o fossero giunte ad essere finalmente codificate in forma scritta.
Pensiamo per esempio alla Bibbia, ma anche a tutti gli antichi Libri Sacri
dell’Umanità.
Essa è infatti alla portata di
qualunque persona dotata di parola e intelletto, a prescindere dal suo grado
d’istruzione, di formazione o di cultura (ma può essere sufficiente anche solo l'esempio). La tradizione serve appunto per trasmette quelle esperienze di
vita e quelle istruzioni morali che si sono via via sedimentate nel tempo
rivelandosi utili e positive alla società e perciò meritevoli di essere coltivate
e trasmesse ai posteri.
Viene ora da chiedersi se sia affidabile
la tradizione orale, esposta com’è alle interpretazioni e alle mediazioni dei
tempi. Non è una domanda di pronta
risposta, occorre distinguere.
Per trasmettersi ai posteri in
modo sufficientemente affidabile e conforme all’originale, senza contare su di un
riferimento scritto, una tradizione orale deve sottostare a precise e rigorose
formalità di memorizzazione. Possiamo pensare ad esempio all’istruzione
religiosa rivolta a persone illetterate, effettuata mandando a memoria preghiere
standardizzate, formule rituali, giaculatorie, salmi, canti e liturgie simboliche. In altri casi con
poesie, canzoni, proverbi, modi di dire, frasi sapienziali, ecc. Sempre
comunque con l’indispensabile culto dell’Autorità della Fonte (divinizzazione).
Senza questi mezzi non sarebbe
altrimenti possibile trasmette nel tempo informazioni fedeli attraverso la
parola; nel giro di pochi decenni e con la morte dei trasmettitori, essa è
fatalmente destinata a corrompersi,
quando non a stravolgersi. Rimarrà di fondo una evocazione, ma con dettagli
sfumati, imprecisi, errati o fantasiosi, quanto maggiore è l’ambito in cui circola.
Diverrà ben presto un mito, in caso di argomenti forti, altrimenti si perderà
nell’oblio (se nel frattempo non viene registrata).
Tutta questa premessa ci serve
per riflettere sull’affidabilità delle tradizioni legate al nostro territorio,
giacché abbiamo spesso lamentato in questa sede di quanto scarne siano le fonti
documentali per consentirci di capire la storia e l’evoluzione della nostra
piccola comunità.
All’inizio io ero partito proprio
dalle tradizioni orali, familiari e paesane, per cercare di mettere insieme i tasselli del puzzle che
non mi riusciva di collocare per carenza di fonti documentali. È stato proprio
quella esperienza a farmi capire quanto imprecisa sia questa via, pur non
potendone assolutamente prescindere. Infatti, ho potuto verificare che quello che noi sappiamo con una certa precisione (intendo da sola fonte
orale, mai codificata in scritto), risale soltanto fino ai nostri nonni o poco
più. Più indietro non si va, e quello che ci è eventualmente
pervenuto è vago e indeterminato, in poche parole non è affidabile in tutto o in
parte.
Questa affermazione sembrerà
forse strana, perciò aiutiamoci con alcuni esempi:
Tutti noi abbiamo avuto quattro
nonni, alcuni magari li abbiamo ancora, altri li abbiamo conosciuti ma non ci
sono più, altri ancora non li abbiamo neanche potuti conoscere. Di loro
immagino tutti sappiamo indicare per ciascuno almeno: il nome, il cognome,
l’anno di nascita e da dove provenissero. Se proviamo invece a farlo con gli
otto bisnonni, di sicuro troveremo delle lacune. E stiamo parlando di un
periodo inferiore al secolo e che riguarda il nostro ristretto ambito
familiare. Magari sappiamo che uno era venuto dall’Altopiano, o dalla Val Posina, ma
non esattamente da dove e in che data, cosa facesse, perché si trasferì, ecc.
Se con le memorie familiari siamo messi così, figuriamoci il resto.
Scrivendo dei capitelli della
Singéla, per esempio, di tutti ho trovato informazioni attendibili e coerenti,
fuorché di quello della Madonna alle Valpiane. Perché? Semplicemente perché tutti, eccetto
questo, furono costruiti nel secolo scorso, epoca grossomodo dei nostri nonni. Quello
della Madonna è solo un po’ più vecchio, dell’epoca dei nostri bisnonni, ma è
sufficiente perché di esso sfumino i ricordi. Intendiamoci bene: non è che non ci
siano state trasmesse informazioni, ma esse non sono coerenti e affidabili. C’è
chi dice che sia stato edificato da un malgaro di Camprosà, altri che era di
Posellaro, ma forse del Trugole. Qualcuno sostiene che fu eretto a voto per lo
scampato pericolo di un parto difficile della moglie, altri della figlia, altri
per una malattia del malgaro stesso, e così via. Vediamo che c’è un fondo
comune di verità, un minimo comune denominatore, se vogliamo: il fatto che non
fu costruito da paesani ma da malghesi. Circa il resto però, di quale versione
ci fidiamo? Quell’edicola data probabilmente intorno al 1880, in piena epoca di
bisnonni, i quali avranno raccontato ai figli le cose esatte, perché le
sapevano di prima mano e conoscevano
probabilmente anche l’autore. I figli trasmisero poi la notizia ai nostri padri
e loro a noi. Ma per strada qualcuno aggiunse, qualcuno tolse, qualcuno colmò
di suo le lacune che non si ricordava, e via così. Nessuno scrisse di questo e
quindi l’evento scivolò nell'indeterminatezza.
Nessun sampierese sa da dove
provenissero i primi abitatori del paese. Nessun cimbro, neanche il più
fanatico e sotto tortura, saprebbe indicare da dove venissero i suoi progenitori: se fossero sassoni,
baiuvari, vagabondi tirolesi o
pretoriani degli Ezzelini, o un miscuglio di tutto questo. E sì che lì è stato investito molto e in tanti si
sono inventati le più diverse e improbabili ascendenze; però se anche il Dal
Pozzo s’interrogava onestamente in merito, significa che nulla di affidabile è
giunto sino a noi, neppure a livello mitologico. Ciò nonostante circolano
ancora innumerevoli scritti che perpetuano e rimasticano le ipotesi più
inverosimili usando gli unici due documenti storici esistenti come sineddoche. E
si che la stranezza di quest’isola alloglotta era di tutta evidenza e suscitava
senz’altro curiosità.
Di esempi così ne possiamo citare a piacere. Solo quando
la tradizione appoggia su elementi documentali o arriva a fissarsi in forma
scritta, solo allora comincia ad acquistare credito. Va comunque riconosciuto
che la scrittura è pure capace di accreditare e nobilitare tradizioni in parte o del tutto infondate.
Restando nell’ambito paesano, osserviamo che Don Giovanni Toldo scrisse la sua storia del nostro paese negli
anni trenta del secolo scorso e registrò le tradizioni orali raccolte dagli anziani di allora.
Di qualcuna di esse, come quella che tramandava che l’Astico scorresse aderente
ai piedi della collina del paese ancora nel 1800, non era affatto convinto e ne
effettuò onestamente l’analisi critica. Se tuttavia Don Giovanni non avesse meritoriamente
scritto di quelle tradizioni, esse sarebbero andate irrimediabilmente perdute e
tutti noi saremmo culturalmente più poveri.
Gianni Spagnolo
III.II.MMXVI
leggo con interesse e mi fanno piacere .....grazie
RispondiEliminaMolto, molto interessante Gianni complimenti
RispondiEliminaLe analisi di Gianni sono sempre interessanti e profonde.
RispondiEliminaMa queste sue riflessioni nascono da una esperienza diretta, insostituibile nell’apprendimento delle dinamiche umane.