mercoledì 17 febbraio 2016

ANGUANE

I Sanpieroti, si sa, sono dei bipedi un po' particolari e assai suscettibili: non gli va bene niente,  si lamentano sempre e hanno costantemente la boca sora al naso, come si suol dire.  
Soprattutto sono terribilmente invidiosi. Ma invidiosi fisso!

Perché Rotzo ha la patata e loro no, ...perché Posina ha gli gnocchi e loro no, ...perché ai Forni hanno il teatro e loro no, ... perché Pedescala ha il Piovàn e loro no,  ...perché Casotto ha il Gorgo e loro no, ...perché Pedemonte ha la Banca e loro no, ....e via così discorrendo.
Ma c’è una cosa di cui San Piero ha l'esclusività e il copyright internazionale: le ANGUANE ©

Vabbè, direte voi che non sono esclusiva del paese, che sono tradizioni diffuse un po’ ovunque nell’arco alpino.  Nossignori!  Le vere, uniche, autentiche e irripetibili Anguane sono solo ed esclusivamente quelle di San Pietro.  
Pur se bazzicavano, per ovvia competenza, anche i limitrofi covoli e sorgenti imperiali, San Pietro rimane saldamente il luogo d’origine ed il fulcro di queste eteree presenze, e il Sojo de Medojorno con la sua esclusiva Scafa la loro avita sede legale e inespugnabile roccaforte.
Trattandosi tuttavia di percezioni antichissime e assai sfuggevoli, non c’è invero molta unanimità nel descriverle. Benefiche o malefiche, fate o streghe, candide o corvine, slanciate o giunoniche, dal richiamo  flautato o gracchiante, le Anguane evocano i più fantasiosi aggettivi. Sono invece pacificamente ritenute da tutti custodi delle acque e per esteso delle valli, dei torrenti e dei laghi, nonché di boschi e monti.
Tuttavia io qui sono in grado di certificare una volta per tutte che le Anguane di San Pietro sono esseri fluttuanti dai corpi diafani e dai lunghi capelli, avvolti in veli con delle nuances  talvolta brillanti e cangianti nelle tonalità dell’azzurro-verde-grigio, dalle voci gorgoglianti e con le estremità inferiori dal collo piuttosto alto. 
In pratica con i piedi di capra!
Posso asserirlo con cognizione di causa in quanto testimone oculare diretto e innocente, perciò attendibilissimo.  Fu infatti in un tiepido maggio del 1967 che, dopo estenuanti appostamenti, dalle sfése dei balconi di mia nonna che davano sulle Fontanèle dei Chéca (no biognàva mia farse becàre, sonò le te maliàva), che riuscii finalmente a sentirne il canto ammaliante e poi finalmente a intravederle. 


Pare che le Anguane imperversassero leggiadre e spensierate nelle limpide polle della nostra Valle, fino a quando i Vescovi non si sognarono di mandare dei  frati a rompere gli atavici e naturali equilibri del luogo. A quegli umani dagli strani costumi si affiancarono ben presto altri loro simili di meno virtuosa e specchiata indole, i quali si trascinarono dietro delle temibili e agguerrite concorrenti: le Fémene!
Ne nacque così un connubio esplosivo!  Dovete infatti sapere che ci sono solo due esseri che mandavano in bestia le Anguane: i Préte e le Fémene! Cominciò così una lotta secolare e senza quartiere: i Frati aspergendo acqua lustrale a dosi diluviane e le Anguane producendosi in mille forme tentatrici. Pare che a volte, al colmo della esasperazione, le maliarde si tuffassero nella sorgente della Torretta, non per nulla chiamata Cògolo dele Anguane, dove trovavano momentaneo ristoro e talvolta riuscivano anche a risalire fin nel Bìsele ad ammaliare i più timorati Lusernati.

Il loro canto risuonava nella valle come un irresistibile richiamo. Gli uomini, presi da improvvisa vertigine, venivano attirati come allodole. Non c’era verso di trattenerli. E non pochi, annebbiati dalle audaci proposte, rincorrevano le belle ninfe fin presso il gorgo o le doline. Era fatale che qualcuno vi si inabissasse per non più comparire.  A nessuno mai sorse il sospetto che questi effetti derivassero dall’abuso del locale e acerbo vin pìcolo, più affine al bombo de védo che all’ambrosia.
I soli a restare immuni dagli influssi malefici erano naturalmente i frati e le donne: i primi in virtù di protratti digiuni e penitenze, le seconde a motivo della loro stessa natura, che le escludeva in partenza da quel genere di incantesimi.
Nel nostro ameno e giocondo paesello non mi risultano tramandate particolari storie riguardo le lotte fra i frati e le anguane, invece i nostri cugini Pomposi pare che la sappiano ben più lunga in merito. La cosa non deve stupire più di tanto: loro sono alla perenne ricerca di fole di ogni fatta per infiocchettare il loro ormai rinnegato retaggio cimbro con improbabili vicende di elfi, orchi, gnomi, puffi, streghe e donnette varie, ad uso e consumo dei zaléti transumanti sul Costo.  I velusci poi, si sa, ..bevono tutto.

Prendiamo quindi da “Leggende dell’Altopiano di Asiago” di Francesco Zanocco  (Centro Editoriale Universitario) questa storiella che riguarda proprio le nostre trascurate lande.
Gianni Spagnolo
XX-I-MMXVI


I Frati di San Pietro e le Anguane

// ..Fare una rassegna di ciò che escogitarono i tenaci a astuti frati di San Pietro, è veramente fuori di ogni descrizione. Erano bensì riusciti a scacciare le Anguane dalla “Scafa” incriminata, ma da anni non era possibile snidarle dall’Astico, sulle cui acque caprioleggiavano con estrema libertà e sicurezza. L’acqua era il loro regno indisturbato. Sembravano tutt’uno con essa.
Il padre guardiano che, all’occorrenza, si ricordava di essere considerato un benemerito delle soluzioni drastiche, riunì il capitolo e prescrisse di porre fine alle dotte disquisizioni: o si trovava immantinente il modo di estirpare le Anguane o avrebbe dato un altro giro di vite al già forzato digiuno.
I giorni trascorrevano affaticati e lenti, senza che una decisione convincente emergesse dall’eletto concilio. La fame pungolava i visceri e ottenebrava le menti dei poveri frati. Specie, quando a mezzogiorno, dall’attiguo ospizio giungeva sino a loro un impertinente profumo di zuppa, misto ad un allegro acciottolio di stoviglie. Fu così che i buoni frati rivolsero un pensiero all’umile e trascurato frate converso, addetto alla cucina dei pellegrini. Mai come in quel frangente l’illetterato servo fu cordialmente invidiato. Ma, un giorno, anche lui venne chiamato in capitolo, per esprimere un qualsiasi parere sull’intricata questione.
- Se il loro regno è l’acqua – disse frate Cuoco, che era la più semplice creatura di questo mondo -, la natura delle Anguane è logicamente acquatica. Ora l’acqua è nemica del fuoco, che è violento e vorace, come pure lo è il fuoco con l’acqua, che non sempre è umile e casta. Se prevale l’acqua, il fuoco si estingue. Se prevale il fuoco, l’acqua svapora. Alterna è la loro sorte. Provate il fuoco…
Fece uno svelto inchino e sgattaiolò fuori con gran sollievo: aveva i suoi pellegrini da rifocillare.
Il padre guardiano e tutto il capitolo trovarono che l’idea di frate Cuoco, per quanto semplice, non era affatto balorda. Anzi, tanto semplice quanto logica. Decisero per il fuoco, e il giorno dopo, che era la festa di Santa Walpurga (N.d.r. Protettrice contro le arti magiche. La notte tra il 30 aprile e il primo maggio – Notte di S. Walpurga – fervevano danze e fiaccolate che si protraevano fino all’alba), ordinarono alle donne di munirsi di torce resinose e di essere puntuali all’ora del vespro.
A certe imprese le donne ci stanno con tutto l’ardore dell’anima e del corpo. Affluirono al monastero con ghirlande di torce resinose e con l’animo deciso a stravincere.

All’ora convenuta lasciarono la chiesa e processionalmente risalirono l’Astico. Come sempre, nel preciso istante in cui il sole era appena sceso dietro il Bècco di Filadonna, le Anguane balzarono improvvise e snelle sull’onda. Svariavano di sfumature biancorosa, ammaliando gli uomini che accorrevano da ogni dove, attratti dal loro canto e dal fascino delle loro danze.
Quello che avvenne in quella sera è presto detto. Ad un segnale convenuto, centinaia di tizzoni accesi s’incrociarono come in una girandola di fuochi artificiali. E le Anguane, colpite dal fuoco, si dissolvettero in un leggero friggio vaporoso.


Frate Cuoco aveva colto nel segno: le incantevoli fate dell’Astico altro non erano che evanescenze di acqua e di spuma. ..//

8 commenti:

  1. Be le patate le abbiamo anche noi mi sembra

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    1. Valà belo, che no xe mia albisogno aver la patata, setu, .... bion anca che la patata tire!
      No se ghìn vede mia in volta cartei con su scrito la “Patate di San Pietro Valdastico” . De quele de Rotzzzo invesse ghin’è anca pai pai, che no bastarìa gnanca tuto l’altopiàn par tegnerghe bota.

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    2. Caro don invece in giro si vedono le scritte patate di valdastico basta solo osservare

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  2. Il Gorgo e' nostro , no di Casotto !

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    1. Il confine è la VaLtorra, quindi evita di fare brutte figure.

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  3. Ben. Qualcosa abbiamo! E non una cosa qualunque! Unica!

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  4. Che è la foto iniziale?
    Forse tratta da un album di Patrizia Laquidara?

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