giovedì 21 settembre 2023

Vacarìti

[Gianni Spagnolo © 23H5]

Nelle società rurali i bambini hanno sempre contribuito, per quanto possibile, al conseguimento del reddito famigliare. Seppur con rischi e pregiudizi per la salute, era una situazione condivisa con tutti i congiunti di ogni età e comunque sopportata e accettata come ineluttabile necessità. Le condizioni di bisogno non permettevano braccia inattive, neanche quelle più piccole. Il concorrere al reddito famigliare era percepito, fin dalla fanciullezza, come un dovere al quale nessuno dei membri avrebbe mai pensato di sottrarsi. 

Allora, il ténder vache, rappresentava una sorta di rito d’iniziazione al lavoro per tutte le generazioni d’anteguerra. Era ricorrente mandare i tusi e le tose, specie delle famiglie numerose e meno abbienti, presso qualche bacàn degli Altopiani vicini a pascolare e accudire il bestiame. Non era veramente un lavoro, perché si trattava di bambini che ricevevano per compenso solo cibo e alloggio, ma un modo di sgravare per un po’ le famiglie dal loro mantenimento e far loro capire da subito come girava la vita.

Le vacche venivano mandate in malga da Sant’Antonio a San Matìo per consentire di racimolare in valle il fieno per l’inverno. Analogamente anche i ragazzi, assolti  gl'impegni scolastici, partivano da casa in primavera in una sorta di condivisione del destino delle bestie. L’intento era più o meno lo stesso: tirar vanti!

El vacaréto, così si chiamava, ma a destino anche stècher, nella vecchia lingua. Doveva infatti abbandonare la propria casa per raggiungere la montagna, dove si dedicava alla cura del bestiame. Da subito impratichirsi della solitudine e imparare, da quelle esperienze di vita dura e faticosa, il significato autentico dell'esistenza umana. Costituiva spesso la prima esperienza fuori casa, verso l’ignoto. Preludio di quell’emigrazione che avrebbe senz'altro impegnato il prosieguo della sua vita. Nell’uno e nell’altro caso, la speranza era di trovare un’accoglienza gentile; cosa che non sempre accadeva. Si era infatti inseriti molto presto dentro al mondo vero, non fittizio, non isolato. Un mondo anche crudele, con le sue leggi, che era meglio apprendere quanto prima.

Tendér vache era comunque un incarico di responsabilità, una cosa di una certa importanza. Saper condurre al pascolo due, tre, forse anche quattro bestie, non era cosa proprio banale. Si era per forza responsabili di qualcosa di prezioso, che rappresentava il sostentamento e l’assicurazione di tutta l’esistenza propria e della famiglia. Si veniva a contatto con la vita in tutti i suoi misteri e con la natura in tutta l’estensione delle sue manifestazioni. Il fascino misterioso del bosco, la calura del sole, i temporali improvvisi, il fragore dei fulmini, l’oscurità della notte. Poi i disagi del sonno, dell’umidità, delle lunghe giornate da soli. S’imparava conoscere la montagna ed i suoi frutti. Onnipresente la paura dello smarrimento o della perdita anche di un solo animale. Qualche parvenza di affetto ricevuta spesso solo dalle bestie, in risposta riconoscente alle cure di cui erano oggetto. Un tipo di vita che formava e fortificava, imponendo di saper badare a sé stessi. A modo suo, insegnava e preannunciava. Si cominciava a vedere il mondo.

Facevano i vacarìti sia i ragazzi che le ragazze, e talvolta nascevano anche legami con le famiglie ospitanti. Capitava che, per il ritorno a casa, ricevessero qualche bel toco de formajo o altri commestibili come buonuscita. Così si ritornava anche l’anno successivo, o si avvicendavano i fratelli. I miei ricordi di famiglia rimandano all’esperienza di vacarìti sull’altopiano di Lavarone. Lassù applicavano una sorta di “maso chiuso” attraverso i matrimoni fra consanguinei, che limitava la divisione delle proprietà col susseguirsi delle generazioni, come invece accadeva da noi. Così non erano infrequenti le famiglie che mantenessero anche quatto o più vacche, cosa che da noi, chi chel ghi néa sol che dó el jera za siòr. Quella pratica aveva purtroppo delle spiacevoli conseguenze nelle tare genetiche, che si manifestavano con maggior frequenza, ma il bisogno ne pagava lo scotto.


5 commenti:

  1. Anc'hio da piccolo ho fatto il vacaro, mi davano solo cibo, "poco naturalmente" e spesso anche sberle e calci, tristi ricordi.

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  2. Patate e crauti! Menù fisso..

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  3. Ma poi, dopo guerra, sono arrivati i giochi per i bambini ,il primo le balete, di terracotta,da mandare in buca su strada sterrata, l'indice piegato a uncino,e poi spussa ,cucoto, saltamusso, bandiera ,libera scalon sempre bambini eravamo!

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  4. Sempre in strada,o stare in cucina ,il salotto non c'era,e il gabinetto all'aperto,per uscire bastava (vo' al cesso) e guadagnavi due.tre ore! I siccomori del computer ,!??incredibile.

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  5. io a Lavarone casteletto e ultimo( Roana dove avevo 9 vacche

    riccordi innubliable gente gentilissimi

    mi volevano adottare

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