[Gianni Spagnolo © 23H8]
I rituali si ripetevano sempre uguali, altrimenti non sarebbero stati tali; bisognava però apprenderli e saperli eseguire con abilità, precisione e decoro. I riti preconciliari prescrivevano che la posizione canonica del mòcolo a riposo fosse sempre con le mani giunte, ossia in atteggiamento ostentatamente devoto e orante. La fissa nel tenere le mani giunte era simile a quella che ci avrebbero inculcato, anni dopo, sotto naja, per tenere le mani a “penna”. Fare sempre l’angioléto era perciò assai impegnativo e spesso disatteso, ma bastavano le ocià del prete a riportarci all’ordine. In chiesa eravamo infatti costantemente all'occhio di celebranti e fedeli. Qualche maggior libertà si aveva tuttavia nelle uscite.
Si usciva per la benedizione pasquale delle case, a portare i oji, con le varie processiòn, funerali, ecc. Ma era soprattutto nelle Rogazioni di maggio, che ci sentivamo più a nostro agio. Le due uniche incombenze dei mocòli, che ovviamente vi partecipavano in massa, erano di portare la croce e il secèlo, ed entrambe compensavano il privilegio con l’essere però sotto controllo. Portare el secèlo con l’aspersorio significava star senpre tacà al prete, porgendogli l’accessorio nelle ripetute benedizioni ai campi. L’aspersorio era un bastoncino metallico, con una sfera cava e bucherellata alla sua estremità ed era immerso in un pesante secchiello di ottone pieno di acqua santa. Le rogassiòn si facevano da secoli sui strodi che portavano in campagna, verso i quattro angoli del paese. Era opportuno che nessun coltivo fosse privato di copiosa benedissiòn. Nosessamai! L’acqua benedetta doveva arrivare possibilmente su ogni vanèda, ogni patatàra, ogni frasca de téghe, e bagnare anca el fén. Sarà da lì che nacque il detto: Co tuto va ben, anca l'àcoa séca el fén! Dove non poteva fisicamente arrivare l’acqua benedetta, ci si consolava col fatto che na benedissiòn la passa sete muri. Anche se muri, nello specifico, non ce n'erano proprio, ma era confortante il concetto.
L’aspetto critico era proprio el secèlo: si partiva col contenitore pieno di acqua benedetta e bisognava star ténti a no spanderla. Spander partera l’àcoa santa, era sagrilegio! Data la forma bassa e larga del secchiello, e lo scorlaménto del grande e malfermo mànego, .. era un’impresa. Nar su par strodi e salìsi col secèlo, sensa spandere, a no jera pargnenete fassile, sahìo!
A fulgore et tempestate .. libera nos, Domine!
- E dó àcoa!
Ut fructus terrae dare et conservare digneris… Te rogamus, audi nos!
- E dó àcoa!
A peste, fame et bello, libera nos Domine!
- E dó àcoa!
Ab omni peccato… Ab ira tua… Ab insidiis diabuli… A spiritu fornicationis… A morte perpetua... Libera nos, Domine!
- E dó àcoa!
Nonostante tutte queste ampie abluzioni, l’aspersorio non riusciva a svuotare del tutto il secèlo e rimaneva sempre dell’acqua santa in fondo. Bujarla partera gnanca a pensarghe, per cui bisognava riportare il secchiello in chiesa e svuotarlo accuratamente nella pila dell’acqua santa. I portatori di croce e secchiello, dovevano quindi necessariamente rientrare in chiesa col prete. Nel contempo tutti gli altri mocòli, sbarazzatesi delle vesti e caricatele ai due porigrami, si dileguavano svelti per campi e vanède.
Il paio di mocòli porigrami rimasti dovevano quindi rientrare in piazza al passo del prete e delle veciòte della piassa che immancabilmente lo accompagnavano, attardandosi fra ciacole, litanìe e socolamìnti.
Poi le rogazioni sono state abbandonate, sono stati inventati gli aspersori con l’acqua incorporata, la borsa nera è stata sostituita dai bonifici bancari, il prete va in giro da solo, in borghese, con una stola che tira fuori solo all’ultimo momento, e anche il libro sembra stia lasciando il posto a qualche super efficiente supporto informatico. Ma questi sono altri oggetti. Questa è un’altra storia. Mi a resto al me poro secèlo!
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