[Gianni Spagnolo © 23G28]
Dovessimo individuare una parola tipica che infarcisce e contraddistingue la nostra parlata, credo che la più rappresentativa sia: stiàni.
Stiàni è un avverbio di tempo che non definisce un periodo preciso, in quanto è mutevole e dipende dal rievocante. A prima impressione parrebbe equivalere all’italiano: “questi anni” (stì ani), ma non ne rende per niente il senso. Sarebbe infatti più appropriato: “quegli anni” (cuij ani), per indicare l’epoca alla quale riferire il discorso, ma a quanto pare non è così. Stiàni ha una sua personalità ben più specifica ed articolata.
L’area di diffusione di questo modo di dire non è propriamente veneta, essendo circoscritta per lo più alle nostre montagne, alla Valsugana e al Primieroto; almeno per quanto mi risulta. Non è sinonimo di “na volta”, perché questa locuzione già esiste nel nostro vocabolario e identifica, come per l’italiano, un tempo genericamente lontano. Stiàni lo usiamo con un’accezione più specifica e personale; è riferito all’età in cui i narranti, generalmente genitori o nonni, erano giovani. Stiàni appartiene quindi al tempo della testimonianza diretta, mentre "na volta" a quella indiretta.
Quand’ero bambino e ascoltavo immagato i racconti de stiàni, questo avverbio così nostrano era avvolto in un’aura di lontananza e mistero. Era un non-tempo, un qualcosa di indefinibile, un insieme di momenti del passato che non obbedivano alla rigida cronologia progressiva della Storia che ci insegnavano a scuola. Stiàni seguiva infatti un criterio mobile: quello che era stiàni per mio padre, non era lo stesso stiàni di mio nonno. Che bàgolo jérelo lora?
Non è un caso che mi diletti oggi in queste oziose divagazioni. Sto infatti raggiungendo l’età dei narranti della mia giovinezza, che mi è difficile inquadrare sotto l’etichetta di “na volta”; mi fa sentire già vecchio. Non è che stiàni me lo faccia sentire meno, ma m’evoca già un’atmosfera più familiare e conosciuta. Sono entrato anch’io in quella magica atmosfera senza tempo che afferisce a questo caro modo di dire. A tachén vegnèr veci, tusi, metémossela via. Ancamassa!
Grazie Gianni....
RispondiEliminaBravo Gianni, almeno hai sentito, come me, parlare di "stiàni", anche se non li abbiamo conosciuti. Al giorno d'oggi, chi conosce questa parola tra i giovani ? E una parola dei "nostri veci" che evocava un tempo senza limiti, che ci lasciava sognanti e rispettosi verso loro. Pensavamo : come era alta la neve stiani, o come erano dolci le serate di filò in stalla ; o, più tardi : come era bella la terra incontaminata, l'acqua fresca dei torrenti, la slow vita, ecc...
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