lunedì 4 settembre 2023

Avaróle



[Gianni Spagnolo © 23G27]

Buona parte dei Boomer e della successiva Generazione X, ovvero chi è nato dalla metà degli anni Quaranta alla fine degli anni Settanta dello scorso secolo (cioè noi), è portatore di un marchio indelebile che li lega a quell’epoca: le avaròle

Si tratta di una cicatrice circolare sul braccio sinistro, esito della vaccinazione antivaiolosa. Ciccia, pelle flaccida e decadimenti vari avranno magari occultato e fatto dimenticare ai più quella punzonatura, che costituì uno dei primi nostri crucci di gioventù. 

Una marcatura condivisa da buona parte della popolazione mondiale, essendo la vaccinazione antivaiolosa divenuta obbligatoria dalla fine degli anni ’50 e per il successivo quarto di secolo. Il vaiolo era una malattia infettiva causata da due ceppi del virus Variola conosciuti con il nome di Variola minor e la Variola major. Ci furono in passato varie pandemie a causa di questo virus, con molte vittime. Contagiarsi era facilissimo, si trasmetteva per via aerea attraverso l’inalazione di goccioline infette prodotte dalle mucose del naso e della bocca di un malato.

Solo a partire dal 1958 le autorità sanitarie riuscirono a produrre un vaccino efficace contro il vaiolo, avviando una campagna di vaccinazione massiccia dal ‘58 all’86, in tutto il mondo. In Europa il vaiolo fu debellato prima, infatti l’OMS dichiarò eradicata questa patologia nel 1979.

Il primo vaccino era obbligatorio entro il secondo anno di età, mentre il richiamo veniva effettuato all’ottavo anno di età. Non si trattava di una semplice iniezione, ma di un'applicazione ben diversa. Veniva immerso un ago dalla doppia punta nel siero con il quale si pungeva ripetutamente la stessa zona sul braccio sinistro, in modo da diffondere meglio la soluzione. Di lì a qualche giorno si formava una vescica purulenta, che successivamente si rompeva ed essiccava lasciando la cicatrice in questione. Per sempre!

A differenza dell’antipolio, che era una cosetta da bambini, non comportando lesioni cutanee ed essendo somministrata con una zolletta di zucchero, le avaròle all’ottavo anno rappresentavano una sorta di rito di passaggio dalla fanciullezza alla bociarìa.

Il vaiolo era endemico nel mondo e aveva un’alta mortalità, specie nei bambini. A chi guariva lasciava spesso la pelle e la faccia butterata dalle cicatrici delle pustole. Val la pena ripercorrere la storia della scoperta di questo vaccino.

“... Il vaccino si chiama così grazie alle vacche. Nella seconda metà del Settecento, il medico inglese Edward Jenner aveva notato che di solito le ragazze di campagna avevano una pella meravigliosa, senza traccia dei butteri del vaiolo, una terribile malattia che uccideva il 20-30% dei contagiati e lasciava cicatrici deturpanti sulla pelle dei guariti. 

Un giorno, mentre infuriava un’epidemia di vaiolo, Jenner si recò in visita presso la famiglia di un agricoltore e quando trovò la figlia intenta a mungere una mucca le chiese, per attaccare bottone, se avesse paura di contrarre il vaiolo. «No» rispose la ragazza, «io ho già preso il vaiolo delle mucche, e non prenderò quindi il vaiolo degli uomini. Guardi la mia mano: questo è il segno del vaiolo delle mucche e io sono immune.» Che le persone occupate nell’accudire e mungere il bestiame fossero in qualche modo protette dal vaiolo era risaputo tra gli agricoltori, e a Jenner l’idea di immunizzare le persone utilizzando il vaiolo delle mucche ronzava da tempo nella testa, quindi decise di metterla in pratica.  L’occasione si presentò quando, nel 1796, una mungitrice – si chiamava Sarah Nelmes - arrivò nel suo studio per farsi curare il vaiolo bovino. Una delle mucche della sua fattoria si era ammalata, lei l’aveva ugualmente munta, nonostante avesse le mani screpolate, e alla fine si era ritrovata infettata, riportandone brutte lesioni.  Presso il dottore lavorava un uomo poverissimo, senza casa, che sbarcava il lunario facendo il giardiniere e aveva un figlio di 8 anni, James Phipps. Jenner mandò immediatamente a chiamare il ragazzino, prese del fluido dalle lesioni della mungitrice e glielo inoculò in un braccio. James non ebbe gravi problemi, a parte il fatto che dopo una decina di giorni cominciò a sentire dolore nel sito della puntura e un certo malessere generale. Presto però tutto passò e James tornò in perfetta salute, con una cicatrice nel punto in cui era avvenuta l’inoculazione. Jenner allora pensò che fosse arrivato il momento di capire se la puntura che aveva praticato fosse veramente in grado di proteggere il suo piccolo paziente. Per farla breve, contagiò con il vaiolo il povero James (un medico che oggi si comportasse nello stesso modo sarebbe giustamente considerato un criminale), che sopravvisse. In segno di riconoscenza, Jenner gli regalò una piccola tenuta di campagna. James Phipps visse felice fino a 70 anni (un’età venerabile per i tempi) con moglie e due figli. Il primo vaccino era stato inventato, e il nome «vaccino» ha origine proprio nel fatto che per immunizzare e proteggere i pazienti si utilizzava il vaiolo vaccino, cioè dei bovini. L’aggettivo - lo stesso che usiamo parlando del latte vaccino per distinguerlo per esempio da quello caprino – aveva conseguito un risultato tanto importante da diventare anche un sostantivo…”

[Tratto da: La formidabile impresa – R. Burioni – Rizzoli Ed.]


2 commenti:

  1. Sempre ben documentato e preciso Gianni,mi hai fatto rivivere come fosse ieri la scena, e un po' commosso nel rivedermi in quella stanzetta del comune non più grande di un corridoio,con due pacchette bianche ai lati e il dott Stefani accucciato con la siringa in mano.Anche per me è stato un sentirmi forte nel primo momento difficile!!sempre un gran ricordo il dott Stefani!

    RispondiElimina
  2. Chissà xchè a me di avarole ne ho due sul braccio, fatte asilo a Forni. Bel ricordo tutti in fila come soldatini, ad aspettare il proprio turno

    RispondiElimina

Cambiamento grafica del blog

  Stiamo cambiando la grafica del Blog e abbiamo bisogno di più tempo del previsto. Vi chiediamo gentilmente di pazientare.  Pensiamo di rip...