lunedì 9 agosto 2021

Supiamìnti

【Gianni Spagnolo © 21G31】

Per secoli e secoli, fino alla relativamente recente introduzione della cucina economica, il rapporto col fuoco della nostra gente rimase sostanzialmente immutato. La fornela assicurava infatti un tiraggio efficiente e regolabile e l’operazione di accensione ne veniva facilitata. Il fuoco però spariva dalla vista, essendo relegato nella camera di combustione e facendo talvolta capolino solo dal buseto del serceto. Spariva anche tutta una serie di inconvenienti correlati al fogolare, quali il fumo di ritorno, la sendre, le sghinse, le bronse che rugola, l’insendere del calidine, la spussa da casara, ecc..  Sparivano anche quegli accessori spartani che consentivano di cuocere direttamente sul fuoco, come el trapìe, el soco, la caéna, e .. el supiaóro.

Era quest’ultimo un attrezzo tanto semplice quanto indispensabile, servendo a molteplici usi; alcuni propri, altri meno. Si trattava in sostanza di un tubo entro il quale soffiare per attizzare le braci, direzionando con precisione il soffio, ma rimanendo a distanza di sicurezza. Qualcuno di più attrezzato disponeva di un piccolo mantice, attivabile a mano e senza eccessiva intimità, ma i più dovevano rabatarsi supiando co la boca rente al fogo. Disporre di un tubo di ferro di adeguato spessore, dato che anche quello di banda della mantesa si fruàva spesso, non era comunque cosa facile stiàni in cui di metallo ne circolava poco. Fu proprio la Grande Guerra a dare una vigorosa svolta tecnologica: la disponibilità di residuati bellici permise difatti di ricavare un bel supiaóro dale cane dij stciopi. Non c’era che l’imbarazzo della scelta: dal nostrano moschetto ’91, in calibro 6,5 mm e con canna da 780 mm, all’austriaco Steyr-Mannlicher M1888 in calibro 8 e canna da 765, per finire al più raro Gewehr 88/05-14 tedesco in calibro 8 e canna lunga 740 mm. L’adattamento consisteva nell’intagliare la camera di scoppio asportandone due sezioni contrapposte di parete, così da ottenere una sorta di forcella basale allargata rispetto al diametro della canna, che serviva a distanziare il foro dalla brace, nonché a vigorose operazioni meccaniche di rinfocolamento. La canna dell’italico moschetto era quella che meglio si prestava allo scopo, in quanto di foro e peso inferiore e più adatta all’uso da parte dele fémene, gli angeli del focolare. Inutile dire che un pal de fero di quella fatta si prestava ad altri innumerevoli e fantasiosi usi: dal contenimento dei boce de casa, a rudimentale speo par le groste de formajo, ... rivando anca a doprarlo par tirarghe el colo al galo. L’abilità nel suo uso col fuoco consentiva di evitare le mojéche e al Nono d’inpissarse la pipa fiocinando na bronsa col supiaóro


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