【Gianni Spagnolo © 21F13】
Altro che Formentera, .. stiani chìve d’istà se nava a formentòn!
Era detto formentòn, ma si trattava di grano saraceno. I Saraceni però non c’entravano niente nell’etimologia del nome, dato che l’aggettivo indicava semplicemente la sua provenienza da paesi foresti. Grano invece c’entrava eccome perché ha una granella simile a quella dei cereali, anche se appartiene ad una diversa famiglia botanica, cioè le poligonacee, anziché le graminacee come il frumento. Perciò è definito uno pseudo-cereale.
Le sue caratteristiche colturali lo rendevano adatto alle zone di media montagna e poco fertili; trovava quindi un ambiente ideale qui da noi, dove poteva essere piantato sulle vanéde e lavorato a mano. Il grano saraceno resiste infatti al freddo e non richiede né concimazioni né trattamenti chimici, mentre necessita d'un apporto regolare di acqua. La pianta ha inoltre un ciclo colturale breve, consentendo di fare rotazioni con altri prodotti, quali: leguminose invernali, frumento, orzo, patate, segale e mais.
Tradizionalmente si seminava dopo San Piero, cioè dalla fine di giugno, fino alla fine di luglio. I semi venivano distribuiti a spaglio, circa 1 chilo per vanéda; il prodotto si raccoglieva a mano a partire dalla fine di settembre, quando le spighe raggiungevano tre quarti della maturazione. A maturazione piena, le piante esprimevano le caratteristiche “donéte”, fasci che ricordano la sagoma di una figura femminile con la còtola talare, come le fémene de stiani. I semi sono contenuti nel frutti dalla forma triangolare, detti acheni.
Dal grano saraceno si possono ottenere cruschello, granella decorticata e farina. L’assenza di glutine non permette di utilizzare quest’ultima in purezza per produrre pane, però può essere mescolata con altre farine. Con il grano saraceno si prepara la polenta mora, quella che citava anche il Manzoni “polenta bigia di grano saraceno”. D’altronde la nostra tradizionale polenta è ben più antica dell’arrivo del mais dalle Americhe e anche del formentòn. Si faceva da ben prima, macinando e mescolando qualsiasi seme che si prestasse all’operazione, come il sorgo o il miglio. Il mais peraltro necessitava di terreni argillosi e condizioni ambientali che erano più adatte alla pianura padana che non ai nostri sassosi pendii. La polenta di mais creò quindi un’epopea nelle afose pianure che si stendevano dal Friuli al Piemonte, ma da noi era preparata prevalentemente con farine provenienti dalla Pedemontana.
Vanti lora col formentòn!
Molto interessante, Gianni. Erroneamente pensavo che sorgo e mais fossero la stessa cosa, mi sono informato e ricreduto. Nella nostra valle viene talvolta chiamato sorgo anche il mais, ma mi sembrava impossibile che tu scrivessi fake news. Grazie
RispondiEliminaLa semina avveniva proprio nei giorni di celebrazione del patrono S. Pietro e, finché le campane suonavano a festa, era tradizione cantare la seguente filastrocca:
RispondiElimina"Para belon belon belona
e la vecia Stefanona
la va nel campo e la sapona;
el so Piero ghe va drìo
la ghe domanda: cossa volìo?
Un toco de pan!
Para via quele oche
da quel campo
ché le magna el formenton!
Para belon belon belona...".