sabato 26 giugno 2021

Belle cicciotte

Una volta si diceva: A xe grasso che cola, per significare una situazione di eccessiva fortuna e prosperità. Erano tempi in cui il grasso era raro e perciò prezioso; poi questo sostantivo/aggettivo è diventato una parola quasi oscena, da fuggire. Nella nostra strana epoca, in cui il problema è restare magri, dato che i grassi sono alla portata di tutti, l’imperativo è che magro è bello. Cosa peraltro finora mai accaduta in tutta la storia dell’umanità.

In qualche remoto anfratto del mondo, resiste tuttavia il vecchio paradigma, pur in modalità estreme e quasi patologiche. In Mauritania, per esempio, dove da secoli per le donne grasso è sinonimo di bellezza. Lì i canoni tradizionali di avvenenza valutano una donna in base al peso: più chili significano più fascino, nella convinzione che una moglie debba essere grassa per fugare ogni sospetto di miseria dalla famiglia dello sposo. A pochi mesi dal matrimonio combinato, le nubende vengono perciò obbligate a ingrassare e dunque nutrite con numerosi pasti al giorno fin che non raggiungono la forma di sovrappeso ritenuta accettabile dai familiari del futuro marito. Una ragazza troppo magra (si fa per dire) getterebbe infatti disonore sulla sua famiglia d’origine e sulla sua tribù. Di certo le sarebbe più difficile trovare marito.

Così, adolescenti dal fisico asciutto e dal metabolismo normale vengono costrette da genitori e parenti a sottoporsi alla pratica del leblouh o gavage. Ossia obbligate a ingurgitare fino alla nausea litri di latte di cammella, cous cous iperconditi da consumare anche nel cuore della notte, dolci e bevande zuccherate. Vietato vomitare: una donna della famiglia le sorveglia ed è pronta a percuotere con un bastone chi non fa il suo dovere, ossia rimpinzarsi fino allo sfinimento.

Questa alimentazione forzata porta le ragazze a diventare rapidamente soprappeso per rendersi appetibili come future spose. La famiglia è soddisfatta, ma la donna ne esce fisicamente distrutta. Oltre al disagio psicologico di vedere il proprio corpo trasformarsi contro la propria volontà, spesso ci sono problemi di ipertensione, diabete e disturbi cardiaci. Il fenomeno dell’ingrasso forzato delle adolescenti s’è oggi quasi estinto, ma non è del tutto scomparso, soprattutto nelle aree più marginali. 

Ne tratta il film “Il corpo della sposa”, di Michela Occhipinti, che presenta la situazione della protagonista, Verida, sottoposta all’ingrasso. In essa matura gradualmente l’attenzione per il proprio corpo e l’amore che lei riesce finalmente a scorgere negli occhi di Sidi, un ragazzo che le fa il regalo più grande: la guarda. È infatti lo sguardo la chiave per leggere il film: le donne sono costantemente osservate, scrutate, pesate con gli occhi. Non solo con la bilancia, compito che spetta a giovani periodicamente, incaricati dalla famiglia dello sposo. Essi vanno a pesare le donne in regime di gavage, forma estrema di un’umiliazione perpetrata con l’avallo di madri ansiose e nonne abituate agli occhi critici maschili. Ma Sidi, il ragazzo pagato per controllare l’ingrasso di Verida, la guarda. La guarda senza pesarla: quello che tutti noi chiediamo all’amore, a costo di aspettarlo per una vita. 

Magari la Mauritania, paese non certo primaria meta turistica, diventerà l’approdo di viaggi consolatori. Una specie di last minute della ciciottoneria nostrana per riacquistare un po’ di autostima dallo stravolgimento del paradigma da noi dominante del fisico asciutto. Fisico asciutto che peraltro sottopone le donne ad opposte pratiche dimagranti e rassodanti concettualmente non tanto dissimili da quelle del gavage. Paese che vai, usanza che trovi.




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