venerdì 25 giugno 2021

Debiti e servéte

[Archivio F.lli Toldo Polachi]

(omissis), 30 novembre 32

Sig. Fratelli Toldo, San Pietro

In possesso della vostra lettera, intesi che avreste bisogno di un acconto di almeno 500 £, mi sono interessato da due tre parti, ma impossibile che io possa comparire quest’anno, prego e torno a pregare che per la prossima estate siate sicuri che io farò di tutto per darvi un buon acconto.

Tanto più che questa primavera manderò tutte e due le figlie in servizio, e anch’io spero mi andrà sempre così e la campagna sarò costretto a fittarla e allora potrò anch’io fare qualche cosa.

Vi raccomando e prego di non farmi una volta spese.

Sto fiducioso nella vostra bontà e distintamente saluta (omissis)

Anche i casolini dovevano pur campare e pertanto si trovavano talvolta a sollecitare i debitori più morosi, chiedendo almeno un acconto sul credito già concesso. La circostanze della vita erano però mutevoli e lo stipendio fisso prerogativa di pochi, perciò non sempre le cose andavano come previsto e capitava che a debito s'aggiungesse debito e poi ancora debito, a prescindere dalla volontà e dagli impegni presi. Qualcuno che ci marciava ci sarà sicuramente stato, certo, ma in un ambiente in cui ci si conosceva tutti la credibilità era una risorsa che andava difesa ad oltranza. 

Ecco allora la testimonianza di questa lettera, che rimanda l'acconto, non il saldo, da un anno all'altro, giustificando la propria attesa solvibilità con un programma di azioni che mette in campo anche la prole. 500 lire del 1932 equivarrebbero a circa 535 euro attuali, una cifra importante per un acconto di spese alimentari e questo da l'idea dell'esposizione debitoria, considerando la frugalità dei bisogni di allora.

Non oso immaginare l'età che avranno avute quelle sue due figlie, ma probabilmente erano più vicine ai dodici anni che ai quindici. E chissà le volte che erano già state a tender vache. Allora andava così, la fanciullezza finiva presto; a volte neanche cominciava. Se qualche tredicenne annoiata di oggi volesse riflettere su cos'abbia significato andare a servizio a dodici-tredici anni presso famiglie foreste, in ambienti urbani inconsueti e distanti da casa centinaia di chilometri e starci per anni avendo con la famiglia d'origine solo uno sporadico rapporto epistolare, sperando senpre de petàr mancomale, ce ne sarebbe da raccontare.

Non sorprende allora constatare quanto fosse diffusa l'anaffettività nelle persone, che non era una posa, né segno d'insensibilità, ma il terribile meccanismo di difesa di coloro che non potevano permettersi il lusso di dimostrare affetti, emozioni o legami per paura di restarne feriti. Sapevano infatti per esperienza, fin da piccoli, che questi sarebbero stati triturati dalle circostanze della vita e perciò si chiudevano nel distacco emotivo difensivo, in una sorta di personale autoanestetizzazione dei sentimenti.

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