【Gianni Spagnolo © 20X9】
La raccolta differenziata è cosa dei tempi moderni, nata in epoca consumistica e neanche subito. Quand’eravamo bociasse non c’era e neppure serviva. Le poche cose che si buttavano provenivano dalle pulizie di Pasqua e si portavano ala vale, cioè alle estremità del paese: ala Val dei Chèstele a Nord o a quella dell’Orco o di Rigoloso, a Sud. Lo svuotamento era a carico delle acque stesse delle valli, che provvedevano periodicamente a coprire o ad allontanare i rifiuti, che erano comunque poca cosa.
Ci s’andava con la carriola o col carrettino a mano ed era ambìto compito della bociarìa, allettata dalla prospettiva di fare il ritorno montati a turno. Allevati con la rigida Costituzione locale che aveva pochi articoli nei i quali primeggiavano i verbi rancurare e sparagnare, era logico che ala vale finissero solo le cose che erano proprio inservibili all'ultimo stadio. Rottami di vetri e suppellettili di cucina, bandòti sbusi, bussoloti rùdene, ombrelli d’anteguerra sfondati et similia. Tutto quello che poteva essere anche improbabilmente riciclato si rancurava parché nossessamai. Bàiti e granari erano perciò ricettacolo di cianfrusaglia d’ogni genere rigorosamente rancurà e tegnésta da conto. Tegnér da conto era un mantra che s’imparava fin dalla nascita.
Tegnér da conto non era mai sbalià, perciò, anche nel dubbio, lo si faceva e basta!
Le cose cambiarono dalla seconda metà degli anni Sessanta, quando la modernità rottamò inesorabilmente quella civiltà, e di brutto. Non a casa mia comunque, lì vigeva pressoché inalterata la pristina Costituzione; anche perché mio nonno e mio padre erano artisti nel ridare vita anche agli oggetti più disparati e apparentemente inservibili.
I rifiuti erano tutti indistinti; esisteva però una categoria speciale che richiedeva un'attenta e scrupolosa differenziazione: la roba sacra, santa, ... de cesa insoma!
Immagini, quadri e statuette di cristi, santi e madone, corone sgranà, santini di santi e beati o anche solo di morti, crocifissi rotti, acuasantiere sbecà e coi angiolìti sensa testa, diplomi di confraternite, medajéte miracolose, libri di preghiere in latino, librìti dela primacomuniòn rilegati in madreperla, ecc... Tute ste robe, ancorché rotte, strappate, scolorite o comunque inservibili, non potevano finire ala vale a corrompersi secondo natura, se proprio proprio, dovevano essere bruciate.
Il fuoco, tuttavia, che pur allora avevamo tutti in casa, era proprio l’extrema ratio, anche perché no paréa mìa bon brusare i santi e le devossiòn dei pori noni. Ecco che allora peregrinavano per decenni pai scafìti finché finivano in granaro, ma separati dalle cianfrusaglie profane.
Preti, frati e suore de na volta avevano in scarsèla santini de ogni fata, che distribuivano ai fedeli alla bisogna. C’era normalmente l’immagine del santo con l’aureola dorata in posa ieratica e sul retro una preghiera o giaculatoria specifica in latino o in italiano. In granaro nostro ce n’era una collezione, frutto della raccolta di forse quattro generazioni, unitamente ai santini dei morti - parenti o conoscenti foresti, perché da noi non s’usava - e a quelli della Prima Comunione, col fiocchetto e le mani giunte. Quello che più m’intrigava però erano le relichie di Padre Leopoldo. Erano quadrettini di carta piegata di circa due centimetri di lato con impressa la dicitura, se non ricordo male: “Reliquia delle vesti di P. Leopoldo Cappuccino” Padova.
Io mi figuravo allora questo frate come un omone massiccio, con un gran barbone e un saio ampio e svolazzante, perché pensavo che se le reliquie delle sue vesti erano arrivate fin quassù dalle nostre parti, sugli estremi confini della diocesi, chissà quante altre, sforbesà dala so còtola, giravano in quel di Padova e in altre città e paesi ben più prossimi a quella sede. Rimasi perciò un po’ sconcertato quando scoprii che l’umile frate confessore dalmata era una figura dal fisico assai esile e minuto. Grande nella santità di vita però, dato che fu elevato all’onor degli altari da Papa Giovanni Paolo II nel 1983.
Oggi queste cose non girano più da gran tempo, sono state definitivamente rottamate insieme a tante altre ch'erano preziose per le passate generazioni. Cercheremo anche invano le loro regole di trattamento nelle prolisse e laiche istruzioni dei vari Ecocentri. Il senso del sacro, che permeava in modo finanche eccessivo le vite dei nostri vecchi, è ormai scomparso dai nostri orizzonti; rottamato anch'esso. Nelle tasche e nelle case abbiamo oggi altri santini, più tecnologici, ingombranti, e di semmai maggior devozione.
scafìti? Cossa xei? Grassie
RispondiEliminaI cassetti. Quando ancora non c'erano i cassetti dei mobili e magari neanche i mobili, c'erano delle scafe sul muro in cui riporre qualche oggetto.
EliminaGrazie Gianni, non l'avevo mai sentito.
EliminaTutto vero quello che hai scritto.Anche i santini..alcune persone fanno la raccolta di Santini ancora oggi
RispondiEliminaBuona serata