di Lucio Spagnolo
I tempi cambiano, cambiano in fretta e non resta che la possibilità, per molti di noi, di un ricordo, un dolce tenero ricordo. Il primo ottobre era un giorno particolare, importante, talvolta magico perché si tornava a scuola. Era passata la lunga “era” dell’estate; i mucchi di fieno sui quali saltare nei prati, erano un ricordo e persino per le mucche al pascolo si avvicinava ormai il tempo del ritorno in stalla. I boschi si coloravano dell’oro dell’autunno e i bambini, in tutta l’Italia, tornavano oggi a scuola. Con il grembiule stirato, che profumava di fresco e il colletto inamidato, con le unghie ripulite dalla terra dei giochi sulle corti e nei prati si tornava a scuola a frotte, correndo per strade prive di traffico. Mio padre aveva ingrassato la cartella di pelle color biscotto e mia madre l’aveva lucidata con un panno morbido e aveva passato le borchie di ottone con il “Sidol” e ora splendevano come l’oro! Dentro, solo una penna, una matita e una gomma, qualche colore a pastello, due quaderni, un libro per le letture e un sussidiario sul quale c’era tutto quello che bisognava sapere: le catene alpine coi loro nomi strani: Alpi Marittime, Cozie, Graie… i mari e fiumi d’Italia, le regioni con le loro province e la storia dei gemelli che fondarono Roma o l’immagine di Cristoforo Colombo, ritto sulla prua della Santa Maria che, con la Nina, la Pinta, navigava verso l’ignoto per scoprire l’America. Era un mondo piccolissimo quel sussidiario che raccoglieva in sé tutto ciò che era davvero importante e necessario sapere per iniziare il cammino della scuola e della vita. Con un po’ di tristezza io, ormai vecchio maestro, sopporto gli zaini colorati dei miei alunni gonfi di libri e pesanti più di quelli degli alpinisti. Dieci e quindici e venti libri e sussidi, e album, e fascicoli per uno zaino che prova a contenere il tutto sformandosi giorno dopo giorno, per lo strabordante volume contenuto. Mi fanno tristezza le ripetute raccomandazioni quotidiane di ortopedici e pediatri che suggeriscono di non caricare troppo peso su quelle povere spalle oppresse. E così mi intenerisce il cuore il ricordo di quella cartella leggera che serviva per il necessario, che sapeva contenere il mondo della scoperta e del sapere e che, d’inverno, sulla discesa sotto la scuola, diventava persino una slitta sulla quale scivolare fino alla strada provinciale sottostante! Tutti coloro che si presentavano a scuola la prima volta capivano l’importanza del magico regno in cui stavano entrando perché attorno a loro c’era un mondo intero che attribuiva importanza all’imparare, al rispetto delle regole, alla devozione ai compiti, alla scuola. Li chiamavano “Remigini” termine derivato da Remigio il santo in calendario l’1 ottobre ma che oggi… si è un po’ perso, persino lui, lasciando il posto alla certamente non meno importante santa Teresa del Bambin Gesù! E così passa il primo giorno di ottobre, come un giorno qualunque, con una scuola diversa, già aperta, tra mille difficoltà, da almeno tre settimane. E vien meno la poesia di quella data, importante e cara ai cuori di chi, come me, ha gli anni per coltivare molti teneri ricordi…
Veramente il primo giorno di scuola, il primo ottobre, era una data mitica, per noi ragazzini degli anni '40. Era il passaggio ad un capitolo nuovo della vita. Si diventava più °ometti^. Completare la Quinta Elementare era il primo grande traguardo della vita. Ho portato con me le "pagelle" di quegli anni. Si studiava Religione, Educazione morale, civile e fisica, Lavoro, Lingua Italiana,...Scienze ed Igiene ecc. Le mie maestre sono state: Zecchinati Galvan Zita 1948-49 Prima Elementare; e poi di seguito Dal Bianco Maria (2da), Dal Pozzo Margherita (3za), Forte Tumolero Irma (4ta) e Spagnolo Domenico di Rotzo (5ta).... In altre classi c'erano il maestro Carlo Pesavento, Igino Rebeschini di Roana, il maestro Toldo. Anni meravigliosi, indimenticabili.
RispondiEliminaAnonimo
Grazie, Lucio: bellissima descrizione del primo giorno di scuola e della cartella che portavamo a mano. La mia cartella conteneva matite multicolori ed odorava di formaggio e di saporito pane, che la mia mamma aveva cura di porvi avvolti nella carta oleata, ben distinti dall’altro contenuto. La penna non era la Bic, ed era un incubo per gli alunni di prima: qualche volta, ricordo che, dopo averlo intinto nel calamaio, nell’accostarlo alla pagina, malauguratamente il pennino sgocciolava, tra le risatine dei miei compagni e con un po’ di vergogna da parte mia. La mia maestra si chiamava Laura, aveva i capelli di un bel biondo-oro, era molto buona, noi tutti l’adoravamo. Davvero peccato che l’anno seguente dovetti frequentare la scuola presso l’orfanatrofio A. Rossi di Santorso, gestito da suore, dove le maestre tenevano nascosti i capelli, dove tutto era incolore, inodore ed insapore.
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