sabato 17 ottobre 2020

La stéla boàra

La Stéla Boàra catturata da Silvio Eugenio polaco

【Gianni Spagnolo © 20X15】

Racconta don Giovanni Toldo nella sua storia del paese*, che i nostri boscaioli lavoravano “dalle stelle alle stelle”, cioè utilizzando tutte le ore di luce. Il loro riferimento non erano però le miriadi di stelle che pensiamo noi, quelle erano roba per i buontemponi di Babilonia che si perdevano via a strologare vardàndo par aria, quanto invece un astro che era di effettiva utilità per loro. In verità non era neanche una stella, bensì un pianeta: Venere. 

Dopo il Sole e la Luna, Venere è infatti l'oggetto più luminoso della volta celeste visibile ad occhio nudo. Con la luce radente, ovvero col sole basso sull’orizzonte, si può apprezzare anche di giorno. Essendo Venere un pianeta interno al nostro sistema solare e con l’orbita di diametro inferiore a quello della Terra, esso è visibile solo per qualche ora dopo il tramonto o prima dell'alba. 

Presenta due eventi annuali di congiunzione, durante i quali scompare dalla vista per un tempo variabile fra gli 8 giorni della congiunzione inferiore e i 50 di quella superiore. Durante quest’ultima fase Venere cessa d’essere visibile come "Stella del mattino" e lo diventa invece come "Stella della sera o del vespro"; viceversa in occasione della congiunzione inferiore. Con questi due opposti appellativi era infatti conosciuto l'astro in molte civiltà. In verità, in antico pensarono a due stelle diverse e fu Pitagora fra i primi ad intuire che fossero invece un unico corpo celeste. Il fatto poi che anticipasse il sorgere del sole e indugiasse al suo tramonto, ne faceva l’orologio perfetto per pastori e contadini. 

Segnava l’ora de mòndare e cuéla de trarse sul pajòn.

Sarà per questo che era chiamata anche la «Stéla boara», la stella del mattino che, prima del sole, destava la stalla e la vita in campagna per uomini e animali e illuminava boscaioli e carrettieri sulla via della montagna. Sorgeva  verso le quattro o le cinque del mattino, quando la notte era ancora stellata, ma i suoi ancestrali terrori già scacciati proprio dall’apparizione della sua luce, che dissolveva ogni minacciosa oscurità, annunciando l’attesa del giorno. Giorno di cui l’uomo era signore, a differenza della notte che apparteneva a quel mondo oscuro in balìa di presenze malefiche. 

Era di notte infatti, che operava il Salbanélo, ingropando le coe dei muli nelle stalle o tirando a siménto qualche attardato seguace di Bacco. Era di notte che l’Orco presidiava arcigno la sua valle e rapiva gl'incauti bambini che l’attraversavano. Era di notte che le Anguàne scendevano alle fonti, ufficialmente a lavare, ma in realtà a fare tutte quelle robe che solo loro sapevano fare ma che gli uomini non hanno mai saputo riferire bene cosa fossero. Era la notte il terreno d’azione di ogni strìa, striosso, spirito inchieto, diàole o diaoléto che fosse. Venere capitava quindi giusto a proposito per difendere gli umani segnando i confini fra la luce e le tenebre, fra il bene e il male, fra la signorìa dell’uomo e quella degli spiriti inchieti. 

Venere era chiamata Lucifer presso i Romani, cioè portatore di luce. Lucifero era pure l’angelo decaduto della mitologia cristiana, il principe di quelle schiere schiantate per gelosa superbia. Presso i classici Venere era associata alla dea Afrodite, nel suo dualismo fra l’amor sacro e quello profano. Ogni cultura e civiltà del passato ha associato questo astro ai suoi miti, grazie alla sua evidenza e al suo ciclo celeste che ben s’adattava a quello umano. Nei tempi moderni è tirata in ballo solo da improbabili astrologi per regolare gli ormoni di chi ci crede.

Ormai per noi venere è solo il giorno che capita dopo il dòbia, quello che si comincia a far festa, giusto quando l’astro tenta d’illuminare il cielo. La luce artificiale ha reso indifferente l’avvicendarsi del giorno e della notte, spazzando via la magia di quell’alternanza che fu fissata fin dalla fondazione del mondo. L’inquinamento luminoso, e non solo quello, ha distolto i nostri sguardi dal cielo. Perfino la piccola lucina del frigo concorre ad alterare la nostra percezione dell’avvicendarsi delle stagioni nei loro prodotti. Orchi, Salbanei, Anguane e tutti gli spiriti della notte sono da tempo disoccupati perché non hanno più nessuno da spauràre, gnente da lavare e manco ancora da ingropàre. Forse le Anguane le se perdarà un fià via rampegandose su pai soji con le ferrate, ma non credo ne avessero bisogno: lo sapevano già fare alla grande. M’ero sempre chiesto infatti come facevano a salire e scendere dalla Scafa per quel passaggio che a me da bambino faceva paura.

Ecco, forse l’unico ancora attivo potrebbe essere el Salbanelo, almeno a giudicare da cuanto ingropà che xe i nostri rajonamìnti.

D. G. Toldo “S. Pietro Valdastico” – Storia del Paese – 1936 – p.97

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