Foto di Ennia Spagnolo |
【Gianni Spagnolo © 20X16】
È da un po’ che i media ci stressano prospettandoci la possibilità che in futuro dobbiamo cibarsi di insetti, che sono la classe animale più diffusa al mondo e fonte di pregiate proteine. I più ne sono schifati, alcuni incuriositi, altri possibilisti. D’altra parte questo è un tabù alimentare del nostro Occidente industrializzato, in altre parti del mondo non se ne fanno un gran problema.
Neppure io, per la verità! Sono stato svezzato già da tempo a questo cibo, un po’ per curiosità e un po’ per forza, dato che in alcune occasioni ha rappresentato l’unica cosa commestibile affrontabile che mi trovassi davanti. Una volta superato l’ancestrale ribrezzo, rimane la valutazione del gusto, che comunque è ben lungi da risultare appetibile ad un palato occidentale, salvo, forse, le cavallette fritte. Ma si sa che fritta, è buona anche una suola.
Non è però neanche del tutto vero che gli insetti fossero poi così assenti dalla nostra tradizione, dato che non sono mica secoli che il formajo coi bai è scomparso dai nostri orizzonti alimentari. Era un formaggio che durante la maturazione subiva l’azione del dittero Piophila Casei, detta anche mosca del formaggio: un insetto polifago e detritivoro capace di cibarsi e riprodursi a spese di differenti fonti di materiale organico, ma è sul formaggio che il suo insediamento non è del tutto dispiaciuto all’uomo. (* Vedi legenda in calce)
Bene, .. per chi è riuscito a leggere tutta la pappardella tecnico-scientifica della legenda sensa gomitàre, possiamo rispolverare qualche ricordo di anziani paesani che apprezzavano questa leccornia e si divertivano come bambini ad inseguire i baéti che debordavano dal formaggio fin sulla tavola, armati di fette di polenta con le quali catturavano i bianchi e inermi insetti. Ho un flash d'un vecchio malgaro che li arpionava con la polenta addirittura quando questi cadevano partera sul batù. D'altronde faceva così anche con le frégole de puìna. Altre tempre, altri stomaci!
Va detto che in genere l’animazione del formaggio non era voluta, ma era naturale conseguenza dell’approssimativa caseificazione e conservazione del prodotto. Solo nei nostri tempi moderni ci è permesso di fare gli schizzinosi, in altre epoche bisognava fare di necessità virtù. Poi, si sa, i gusti son gusti.
Ma non era solo la larva di mosca a colonizzare il formaggio; anche grattandolo sulla pastasciutta si correva qualche rischio. I più usavano la gratacasòla ricavata da una lamiera curvata e bucata a chiodo, dove le punte acuminate rischiavano di unire al formaggio polverizzato anche qualche brandello d’unghia o sangue di polpastrello. Chi invece ricorreva alla più lussuosa gratacasòla della foto, rischiava di trovarsi la pastasciutta condita con qualche bel caròlo, destato ed estratto dal suo buco dalle vibrazioni della manovella, unitamente a quella polverina tanto simile alla noce moscata e dal più tenue gusto speziato.
A ben guardare poi, non era mica solo il formaggio ad avere ospiti; in assenza di frigoriferi e conservanti li aveva allora praticamente anche tutta la frutta. Salvo forse noxe, ùa, asarèle e anpogne, gli altri frutti avevano tutti qualche insetto a pigione, perfino i funghi. Ghéa el bào le siarese, i pìri, i pumi, le castégne, par no parlar dei fighi, chei ghéa diritura rento la vespa. Vabbè, quelli erano intrusi che non collaboravano certo a migliorare il sapore del frutto, anzi, ma certo non si potevano allontanare tutti prima di consumarlo. Te stavi on fià tento coi fighi, ma cole siarése, dopo tré o cuatro che te vardavi se le ghéa el buso, .. a te mandavi in mona anca el bao.
Erano comunque tutte proteine, addirittura nobili, e non ne è mai morto nessuno.
(*) Via con la musichetta di SuperQuark:
Le larve e le pupe dell’insetto si proteggono dai predatori nascondendosi nelle gallerie scavate nel formaggio nel quale attivano fenomeni di idrolisi proteica e lipidica per un’azione combinata degli enzimi prodotti dall’insetto e delle fermentazioni causate dalla sua microflora rilasciata nel formaggio anche con le deiezioni. Nelle gallerie scavate nel formaggio e dopo l’uscita dell’insetto adulto, oltre alle deiezioni restano anche gli esoscheletri e le spoglie dei diversi stadi di accrescimento della larva. Dopo la schiusa le larve con i loro enzimi trasformano la pasta casearia in una morbida crema. Per favorire la riproduzione della Piophila casei si usa ridurre i tempi della salamoia, fare dei piccoli buchi colmati poi di olio con il duplice obiettivo di ammorbidire la crosta e di attirare l’insetto. Sempre per favorire lo sviluppo delle larve, talvolta la pasta all’interno del formaggio è sminuzzata e le forme impilate, favorendo il passaggio delle larve da una forma all’altra. Fattore essenziale è la temperatura ambientale che deve essere compatibile con il ciclo vitale dell’insetto: per questo il formaggio ha una produzione stagionale, in un periodo che si protrae dalla tarda primavera all’autunno inoltrato, in funzione dell’andamento climatico. Quando il formaggio è maturo, dopo tre o sei mesi, le larve sono notevolmente diminuite di numero e la forma è aperta. L’interno si presenta quindi composto da una crema omogenea di colore giallastro, dal sapore molto particolare e pungente. Le larve ingerite con il formaggio possono, a causa dei loro uncini boccali particolarmente resistenti, provocare disturbi intestinali che vanno da dolori addominali, nausea e vomito a una diarrea ematica. Le larve, a volte sono ritrovate ancora vive nelle feci. Le norme sanitarie vigenti non consentono la produzione di formaggi contenenti o prodotti con insetti ed è proibita la loro commercializzazione, ad oggi la loro produzione e vendita in Italia è illegale, nonostante il 1° gennaio 2018 la Comunità Europea abbia approvato la normativa sui novel food, che dovrebbe regolare la commercializzazione degli insetti all’interno degli stati membri dell’Unione.
Fine della musichetta di SuperQuark.
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