sabato 24 ottobre 2020

La bala del cafè

【Gianni Spagnolo © 20X20】

Fra la batarìa che occupava i nostri granari, credo ognun di noi si ricordi del brustolìn, o bala da cafè, che dir si voglia. La sua strana struttura con le due semisfere chiuse a tenaglia, catalizzava sicuramente la curiosità di chi non l’aveva mai vista in funzione. Era questo un attrezzo di ferro, generalmente arrugginito dalla militanza nel fuoco, con lunghi manici che serviva per abbrustolire i chicchi di caffè sul fuoco del focolare. 

Beh, ... in verità non era proprio solo caffè quello che tostava, bensì ogni altro prodotto che potesse, anche molto vagamente, assomigliargli. Al tempo che s’usava il brustolìn, il caffè vero era merce di lusso e perciò s'usava con moderazione additivato con surrogati di vario tipo. Alle volte il caffè, con la sua sferzatina d’energia assicurata dalla caffeina, mancava del tutto. Effettivamente, quel brodino amaro e caldo dovrebbe appunto servire per tenerci svegli, non si spiega altrimenti la necessità di ricorrere a dei sostituti simili soltanto nel colore, ma non certo nel contenuto di alcaloidi. Eppure, di surrogati del caffè ne sono stati inventati di continuo, affinché tutti potessero bere la loro bollente e scura bevanda o mitigare l’esuberante candore d’una tazza di latte. Perciò, specialmente nel mondo rurale, in mancanza di caffè “coloniale” (com’era chiamato  in tempi di vacche magre), il caffè lo si faceva un po’ con tutto. Il più conosciuto è senza dubbio quello di cicoria e di orzo, ma poi, senza che si dicesse troppo in giro, esso si preparava anche tostando la segale, l’avena, le castagne, le ghiande e addirittura i fichi; ma anche con lupini e ceci, a seconda dei prodotti che offriva il territorio. 

Negli anni delle guerre mondiali, per ovvi motivi, prosperarono parecchia fabbriche di surrogati, come il Vero Franck tedesco e il suo concorrente italiano: la Miscela Leone. In molti arrivarono a preferire i surrogati al caffè autentico, probabilmente perché il loro largo consumo aveva assuefatto il gusto. D'altronde, in tempi in cui si fumavano anche le foglie di fagàro del farlèto arrotolate nella carta del calendario, oppure i visùni sìchi, non c’era d'esser troppo schizzinosi.

Nel post precedente* abbiamo parlato del caffè preparato con la caffettiera, ma questi erano già lussi da dopoguerra. Prima il caffè si faceva, per così dire, ancora alla turca. La polvere era messa a bollire sul fogolàre in un pentolino spesso ricavato da un vecchio bandòto di conserva e il brodino nero raccolto con un mestolino, in modo che la feccia rimanesse sul fondo, anche se non era quasi mai così. La polvere già usata non veniva certo sostituita, ma semplicemente addizionata di un po’ di nuovo prodotto e rimescolata con decisione, così da estrarne ogni molecola di essenza. Ecco quindi che l’attrezzo di tostatura, assieme al macinino a manovella, rivestiva un ruolo importante nelle dinamiche domestiche e permetteva persino di dosare la tostatura a proprio piacimento, cosa che invece noi moderni non possiamo più fare. 

Nello spazio d'un secolo siamo quindi passati dalla bala alla cialda, conservando comunque il piacere di concederci questo bollente sfizio, ma perdendo del tutto il legame con la terra da dove proviene e della quale ci riporta il colore. 

Post: profumi de na volta


3 commenti:

  1. Oggi la (cicoria)costa piu del caffe in negozi bio ma anche al mercato!

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  2. Fra i surrogati ricordo anche: Tostato Brasil e Elefante, erano usati per preparare il caffelatte del mattino, il caffè della moka era un'altra cosa. Grazie Gianni per queste memorie

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