sabato 14 dicembre 2019

Lodevoli riflessioni "post Evento"


Cosa ci è rimasto, in fondo all’anima, dopo la trasferta romana della settimana scorsa, nella quale abbiamo accompagnato e salutato il nostro albero più famoso nel suo viaggio più importante?

Un tumulto di emozioni che dureranno nel tempo e un sedimento di ricordi che non se ne andranno più. Ci rimarranno le immagini di un S. Padre affaticato e stanco, quando è apparso in aula Nervi, ma pur sempre determinato e tenace nel voler salutare moltissime delle persone presenti, iniziando oltretutto dalla gente comune per passare poi alle autorità; resteranno a lungo le immagini dell’accensione del presepe e dell’albero, con il contorno di saluti, musica, sbandieratori di Conegliano e un malinconico volo di gabbiani indugianti al tramonto; ci rimarranno le contraddizioni di una città come Roma, con il suo traffico caotico e arrogante, i senzatetto distesi sotto le stelle, la presenza rassicurante, ma quasi ossessiva delle forze di polizia a ricordarci quanto sia cambiato il mondo negli ultimi anni. Resterà impresso nella nostra memoria l’impatto con Piazza San Pietro quando, sbucati dal sottopasso del Gianicolo, ce la siamo trovata davanti quasi all’improvviso, rimanendone abbagliati. C’era troppa bellezza di fronte e attorno a noi, ben oltre la nostra capacità di assorbirla: la forza del colonnato, sormontato dalle statue, lo splendore della basilica e l’imponenza della cupola, l’eleganza verticale dell’obelisco egizio, posto proprio al centro di tutto. Ma in quella piazza tutto era grande, immenso, anche ciò che non si vedeva, ma si percepiva: la storia dell’uomo, l’antichità, la fede, l’Eternità. Con lo sguardo abbiamo subito cercato il motivo per il quale in così tanti eravamo calati fin laggiù: un abete rosso di 26 metri, proveniente dai boschi dei 7 Comuni e donato da tre minuscole comunità di montagna. Nei giorni precedenti lo avevamo visualizzato spesso nella webcam di Piazza San Pietro e scrutato nelle foto che ogni tanto venivano pubblicate, cercando di intuire il suo stato di salute. Lo sapevamo un po’ acciaccato, causa le peregrinazioni di un lungo viaggio, ora finalmente lo avevamo davanti e potevamo vederlo: riscontrando una forma fisica e un aspetto più che buono. L’albero, il nostro albero, quello nato e cresciuto nelle nostre montagne, che per tanti anni si è nutrito dell'acqua e dell'aria di malga Trugole e che alla sera volgeva i rami al tramonto per cogliere anche l'ultimo raggio di sole, svettava alto, nel centro della piazza più famosa del mondo. Sembrava quasi piccolo a confronto con la stele egizia posta al suo fianco, però recava in sé messaggi e significati che tanto piccoli non erano e su cui ritorneremo. Un mezzo miracolo lo aveva comunque già compiuto, chiamando a raccolta e riunendo sotto le sue chiome, come mai era successo prima, un nutrito gruppo di pellegrini delle tre comunità donatrici: 

Rotzo, Pedescala e S. Pietro Valdastico

E se il nostro abete è stato latore principalmente di un messaggio di pace – a cento anni dalla Grande Guerra e dal rientro delle popolazioni dal profugato – bisogna pur dire che la pace andrebbe cercata a partire da dentro e attorno a noi. Una pace vera, autentica, duratura: ecco la nostra speranza, il regalo più bello che potremmo augurarci di trovare sotto i rami dell’albero volante.

Biblioteca civica di Rotzo

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