di
Fiorenzo Barzanti
‘’Stan
a fasiv ad gros par Nadel? ‘’ (Quest’anno farete di grosso per
Natale? Cioè avrete molti invitati?) chiese mia mamma alla Talina ad
Pidariel. Era la terzultima domenica prima di Natale, le due donne
erano uscite dalla chiesa di San Tommaso alla fine della messa delle
sette e si erano fermate a casa mia. Fuori aveva ripreso a nevicare e
la neve cadeva sullo strato di quella precedente che era sul terreno
ormai da dieci giorni. Quella mattina in chiesa era un gran freddo.
La Teresa che era la perpetua era a letto con l’influenza e nessuno
aveva provveduto a riscaldare la chiesa. Il sistema di riscaldamento
era geniale. Una quindicina di scaldini riempiti di carboni ardenti e
ricoperti di cenere per conservare il calore venivano distribuiti in
mezzo alla panche.
Il
prete si scusò per l’inconveniente e fece durare la messa molto
poco, anzi quando fu il momento di illustrare il brano del vangelo
tagliò corto e disse: la faremo più lunga domenica prossima.
Noi
abitavamo a circa 50 metri dalla chiesa invece molte delle donne che
andavano alla messa alla domenica mattina alle 7 venivano da lontano
e percorrevano anche alcuni chilometri a piedi. Per fare prima ‘’al
taieva ad travers’’ (tagliavano di traverso) cioè percorrevano
scorciatoie per abbreviare il tragitto ma i sentieri erano spesso
fangosi in inverno. Comunque alcune impiegavano anche un’ora e
mezza. Oltre alla Talina ad Pidariel (Pedrelli) c’era la Maria ad
Furel (Valdinocci), la Iolanda ad Giaz (Bagnolini), la moglie ad
Varen (Guiducci) e tante altre. Camminavano in gruppo perché le più
vicine aspettavano quelle che venivano da più lontano. Portavano
grandi stivali e calzavano grandi calzettoni di lana ‘’trabseda’’
(lana multicolore ottenuta da lane vecchie di diversi colori). Molte
si fermavano a casa mia dove le aspettava mia mamma, si cambiavano le
calzature e si davano una ‘’radanata’’. Le altre si
sistemavano nella sala vicino alla canonica. Quando la messa
terminava si fermavano sul piazzale a scambiare delle chiacchiere.
Erano momenti molto belli e per alcune era l’unica occasione
settimanale per vedere persone lontane ed imparare notizie nuove che
poi raccontavano in famiglia ed alle vicine di casa. Era il Facebook
artigianale di quei tempi. Così si scoprì che il pagliaio del
contadino Biundin aveva preso fuoco. Si ipotizzava un incendio doloso
ed addirittura si vociferava di uno spasimante respinto dalla bella
figlia. Chi avrebbe mai saputo che la Lora, sposa di fresco perché
era rimasta incinta, dopo la nascita del bambino era tornata a casa
dei suoi genitori perché la suocera la trattava molto male?
Dopo
le chiacchiere il gruppo si scioglieva con le motivazioni più varie:
vado a casa perché ho messo su la pentola per il brodo e
quell’incantato di mio marito non la schiuma mica nonostante io mi
sia raccomandata oppure, ho fretta perché oggi devo fare 8 uova di
sfoglia per fare le pappardelle in brodo perché piacciono molto al
moroso di mia figlia che è nostro ospite, sapete, a casa sua
mangiano solo della gran pastasciutta che ormai ‘’lai scapa
dagl’ureci’’ (gli esce dalle orecchie).
Tornando
a noi, quella mattina dopo la messa ci fu un fuggi fuggi perché era
freddo e nevicava forte. Ma la Talina non poteva non fermarsi a casa
nostra per una mezz’oretta e rispose a mia mamma: il proverbio dice
Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi ma a casa mia siamo abituati
diversamente. Pensa che saremo in quattordici a tavola il 25 dicembre
e fare tutti quei cappelletti alla vigilia di Natale avrò il mio bel
da fare.
Notate
che mia mamma gli dava del voi perché era più giovane mentre la
Talina gli dava del tu.
E’
bene che sappiate che a quei tempi nessuno aveva il frigorifero e
quindi tutti i cibi deperibili si preparavano sul momento. Per
fortuna per Natale c’era la neve ed era freddo e quindi si poteva
ammazzare il cappone per fare il brodo anche due giorni prima perché
si conservava nel freddo della cantina. I conigli inoltre, a quei
tempi erano molto apprezzati in arrosto nel tegame di terracotta
oppure arrotolati con all’interno uova soda , prosciutto e
finocchio selvatico, avevano una preparazione prima della cottura che
durava anche tre giorni. Al giorno d’oggi la potremmo chiamare
marinatura. Prima venivano scuoiati e tenuti a mollo nell’acqua
fredda per 24 ore. L’acqua veniva cambiata spesso. Poi venivano
tagliati a pezzi e conditi con aglio, olio buono, sale, pepe e
rosmarino. Rimanevano in questo stato per almeno 12 ore. Poi la
cottura a fuoco molto basso durava almeno 5 ore con l’aggiunta di
pomodorini alla fine. Mi sono sempre chiesto come fanno certi
ristoranti oggigiorno a proporre un buon coniglio con una sola ora di
cottura. Misteri della tavola.
Siamo
alla fine degli anni 50 e ci troviamo a San Tommaso bel paesino sulle
colline romagnole di Cesena ed abitato da famiglie di contadini
mezzadri. La mia era una di queste ed io ero un bambino al quale sono
rimasti impressi molti ricordi.
Quel
giorno vidi arrivare un furgoncino bianco. Si fermò davanti al
‘’bitulen’’ (circolo dei comunisti) che era davanti a casa
mia. Era una bella tradizione che si ripeteva ogni anno. Chiamò il
gestore che si chiamava Ezio e scaricarono molti scatoloni che
contenevano, udite udite i panettoni Pineta. A quei tempi il
panettone si mangiava solo per Natale ed il più conosciuto ed
economico era il Pineta che si produceva a Ravenna. C’erano tre
pezzature, quello da 250 grammi e da 500 grammi che erano avvolti in
una carta trasparente ed erano allungati tipo maritozzo con una
crosta sopra al sapore di mandorla oltre ai canditi ed all’uva
sultanina. C’era poi quello da 750 grammi che invece aveva la
scatola colorata di cartone ed era alto e rotondo. Erano una bontà.
Ogni tanto anche da noi in campagna arrivava qualche panettone famoso
come Motta o Alemagna. Chi lo assaggiava ne decantava le qualità per
molti giorni. A noi ne portava uno da Cesena mio zio Mario, fratello
di mio babbo faceva il meccanico dei distributori della Esso.
Comunque
dal furgoncino furono scaricati anche tanti ‘’boeri’’, erano
i famosi cioccolatini con la ciliegia ed il liquore dentro ed avvolti
con una carta rossa a forma di caramella.
Avrete
già capito che eravamo all’inizio del lungo periodo delle feste
natalizie.
Tutti
quei panettoni Pineta, i boeri, i wafer, le ‘’luarie’’ erano
i premi in palio per chi giocava a carte o per la tombola. Proprio la
tombola si giocava tutte le sere fino all’epifania. Per l’occasione
non c’erano nel ‘’bitulen’’ solo gli uomini ma anche molte
donne e noi bambini.
Una
mattina mi svegliai e trovai sul comodino un panettoncino Pineta.
L’aveva vinto mio babbo giocando a ‘’marafone’’ la sera
prima. Grande fu la sorpresa. Lo mangiammo per colazione io e mia
sorella, metà per uno.
Tanto
facemmo che quel sabato sera riuscimmo a portare anche mia mamma a
giocare a tombola. Era la prima volta ed io e mia sorella ci
sentivamo responsabili e facevamo i ciceroni di cose che non
conoscevamo bene neppure noi. Non so se lo sapete ma nei locali di
quel tempo soprattutto frequentati da uomini le battute anche con il
doppio senso si sprecavano.
Fuori
nevicava fortissimo ma per fortuna il tragitto era molto breve. Come
entrammo nel locale una ventata di caldo bollente ci assalì. Infatti
era pieno di gente e le due stufe a ‘’sgantena’’ (segatura
del legno) funzionavano a tutta canna.
Come
ci vide arrivare, il contadino Bin ad Varen disse ad alta voce
rivolto a mio babbo ‘’osta, staseira te purtè la tu padrona,
savevla paura che tat pardess?’’ (perdinci questa sera hai
portato la tua padrona, riferendosi a mia mamma, forse aveva paura
che ti smarrissi? ). Rispose mio babbo ‘’An ciò miga cum a te
che tat vargogna ad fela aldei’’ (non sono mica come te che ti
vergogni di farla vedere).
Ci
sedemmo in un tavolino da quattro e vicino c’era anche la moglie di
Battistini amica di mia mamma. Prendemmo una cartella per uno al
prezzo di 5 lire ciascuna. Al primo giro nulla, al secondo nulla, al
terzo indovinate un po’, mia mamma fece tombola. Quasi quasi non ci
credevamo. Quando ci consegnarono il panettone Pineta, quello grande,
scoppiò un grande applauso. Inutile dire che ogni tombolata durava
molto tempo perché chi estraeva il numero prima di dirlo ad alta
voce lo commentava. Poi seguivano i commenti degli altri. Gli slogano
erano sempre gli stessi ed uguali a quegli degli anni precedenti ma
scatenavano comunque delle grandi risate.
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