L'uccisione del maiale.
Non aspettatevi poesia da me.
Era di questi giorni la macellazione rituale del maiale. Rituale sì, perché fuori dal rito sarebbe stata insopportabile per un bambino che non andava ancora a scuola. Non colorerò di rosa il ricordo di quei giorni; nessuna festa, nessuna gioia, solo bestemmie, sangue e merda. Tensione che cresce sino a diventare insopportabile per poi sciogliersi all’improvviso e tornare a salire per la recita successiva.
Il giorno prima.
La bestia a digiuno e tu che sai... la guardi chiedendoti se anche lei sa. È brutto stare a guardare i condannati a morte.
Il giorno.
La bestia sbuca frastornata dalla stalla, un cielo di bestemmie e in quattro a tenerla, lo sparo, le bestemmie più alte di quello, il fruscio neppure avvertito dello stiletto alla giugulare, la corsa di donne e bambini con i secchi che del sangue non deve perdersi neppure una goccia, è compito di bambini e donne occuparsi del sangue, raccoglierlo, portare i recipienti nella neve sbattere forte perché non coaguli.
La bestia immobile, la tensione cala, è solo un istante, la vasca grande di legno, di nuovo bestemmie, altre grida, donne e bambini corrono con l’acqua bollente, spuntano i coltelli, in fretta più in fretta possibile a rasare la bestia. Ultimo atto, l’uomo con lo stiletto ha un gancio e strappa le unghie alla bestia, la tensione cala.
La bottiglia della grappa viaggia di labbra in labbra senza che nessuno vi passi il palmo della mano, viaggia e arriva alle donne, ai bambini; ai bambini no, li fermano a bestemmie.
Si innalza la bestia, l’uomo con lo stiletto ha un machete, la squarta, la tensione sale, corrono donne e bambini con mastelli di ogni foggia, da una parte il fegato, dall’altra il cuore, i polmoni, le reni, gli intestini, un vaso canopo per ognuno.
Di corsa che gli intestini devono essere liberati dalla merda finché sono caldi, lavoro di donne, che li sgomitolano, lavoro di bambini che vi soffiano dentro. La neve violata.
La tensione cala gli uomini fumano, odore mescolato di tabacco e merda che si fissa da qualche parte del cervello.
Le due mezzene portate in soffitta, la tensione sfuma, gli uomini se ne vanno, ultimo l’uomo con lo stiletto.
Il giorno dopo, a sera.
La mezzena sulla tavola grande, ora non si bestemmia più c’è concentrazione nei norcini, tagli precisi, scientifici. C’è il padre, lo zio, e l’uomo con lo stiletto, nessun altro, le donne tenute lontano, potrebbero essere impure. I pezzi di carne sempre più piccoli. I rami di ginepro sul fuoco, le bacche in un bicchiere. Odore mescolato di sangue e bosco che si fissa da qualche parte del cervello.
La sfida a chi riesce a girare la macina più in fretta, la carne macinata cade a vermi lunghi nelle vasche di legno piccole. Il padre prepara la ricetta di sale, pepe e segreti.
È del più piccolo dei bambini l’ultima parola: “Povero Tòle, ridotto così, nemmeno sua madre lo riconoscerebbe”. Non aspettatevi poesia da me.
Andrea Nicolussi Golo
Ho un bel ricordo di quegli avvenimenti, perché anche al mio paese, in questo periodo, si uccidevano i maiali, ma non si sentivano così tante bestemmie! Al mattino, al risveglio, una sorpresa per noi bambini: in cucina pendevano da lunghe bacchette orizzontali di legno, agganciate saldamente ad uncini conficcati al soffitto, una miriade di profumati salumi gocciolanti acqua e grasso liquido: erano i resti del povero maiale al quale, con un po’ di timore, portavamo, quale cibo a lui spettante, un impastato di semolato e di avanzi di cucina.
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