sabato 10 ottobre 2015

Dar Martin von Tunkhlbalt - Martin di Boscoscuro

Boscoscuro, non era proprio un paese come quelli che tutti noi siamo abituati a vedere ogni giorno, ma era una foresta, come il suo nome stesso potrebbe già farci intendere. Si, era una proprio una selva buia sopra una grande montagna, e qua e là, dentro la selva si aprivano piccoli buchi di prato dove avevano costruito le loro case gli abitanti di Boscoscuro. In una di queste casucce abitava un bambino di nome Martìn, che di cognome faceva, indovinate un po’? Di Boscoscuro!



Quel nome, Boscoscuro, al paesello di Martin glielo avevano dato gli Altri, quelli che abitavano dall’altra parte della valle, oltre le Altremontagne, vicino al grande Catino di Acqua Salata.

Gli Altri, abitavano luoghi che si chiamavano, Marechiaro, Chiaromonte, Vallechiara; alcuni, ancora più fortunati, avevano casa sulla Collina delle Ciliegie che Maturano a Maggio, oppure al Pian delle Albicocche Dorate, eppure tutti, ma proprio tutti, avevano deciso che, il posto dove era venuto al mondo Martìn dovesse per forza chiamarsi con il nome un po’ sinistro di: Boscoscuro.



Martìn, ancora oggi, non riusciva a capire il perché, e come mai, Quelli, avessero deciso di chiamare con un nome così triste il posto più bello del mondo. Lui, se glielo avessero chiesto, l’avrebbe chiamato tuttalpiù: Boscoalto, oppure Boscogrande o, se proprio, proprio, Boscovecchio, come amava chiamarlo quello scrittore famoso che a volte scriveva anche delle sue montagne. Ma se avesse potuto per davvero scegliere il nome del posto dove aveva trascorso tutti e dieci gli anni della sua giovane vita, Martìn, avrebbe scelto quasi sicuramente: Tånnbalt! No, non era tutta farina del suo sacco quel nome misterioso, lo aveva sentito, nel parlare del vecchio Barbabianca, un signore che contava gli anni con i metri di neve caduti su Boscoscuro, infatti, non diceva mai l’anno scorso, oppure due o dieci anni fa, ma: «Sarà stato sette o otto metri di neve fa… per costruire la mia casa ci ho messo sette metri di neve…» e così via.



Barbabianca non abitava proprio a Boscoscuro paese, ma si era costruito una piccola casa al limitare più a Sud del Bosco e l’aveva dipinta di un bel colore rosa squillante. Di lavoro Barbianca faceva il guardiano della neve. Se vi state chiedendo che razza di lavoro sia, guardiano della neve, è presto detto; Barbabianca, doveva guardare cadere la neve, per tutti gli abitanti di Boscoscuro che quel giorno non potevano farlo, magari perché stavano lontano, oppure erano ammalati e non potevano avvicinarsi alla finestra, perché, anche se forse voi non ci crederete, guardare cadere la neve è un lavoro molto importante per gli abitanti delle montagne, e ancora di più per quelli che abitavano a Boscoscuro.



Già, ma oltre a Martìn, che conosciamo, e che andando avanti conosceremo ancora meglio, chi altri abitava a Boscoscuro? Beh, la mamma e il papà di Martìn naturalmente, che erano andati ad abitare la casa di nonno Khrist, prima che Martìn nascesse. C’erano poi le sorelle Meridiane, due sorelle nate lo stesso anno, a distanza di dieci mesi l’una dall’altra, e per tutti avevano quindi la stessa età, pur non essendo gemelle; l’unico a non riconoscere loro questa stranezza era Barbabianca: «Eh no – diceva accalorandosi – una ha perlomeno un metro e mezzo di neve in più dell’altra.»



Le sorelle Agnese e Adelaide Meridiana, avevano lavorato in giro per gli alberghi di mezzo mondo, una faceva la cuoca, l’altra la cameriera, ma alla fine avevano deciso di ritornare a coltivare l’orto nel posto dove erano nate. Per coltivare il loro orto con meno fatica, visto i metri di neve accumulatisi sulle loro spalle, le sorelle avevano addestrato una capretta bianca che ripuliva l’orto dalle erbacce, e ogni giorno, senza nemmeno sfiorare la lattuga, o le carote, la piccola bestiola si metteva all’opera come una servetta ben educata ed operosa.



Un altro abitante di Boscoscuro era Natale, il posatore di stonplattn. Questo, di Natale, era un lavoro tutt’altro che strano, ma bisogna prima sapere che a Boscoscuro le case erano costruite per intero, tetti compresi, con delle grandi lastre di pietra grigia, e con le stesse pietre, chiamate appunto stonplattn, si recintavano strade, sentieri, orti, prati e pascoli; ecco, il lavoro del signor Natale era quello di mettere insieme le pietre con la precisione di un maestro orologiaio svizzero. Faceva il muratore, avrebbero detto quelli che non abitavano a Boscoscuro. Natale era un omino piccolo, piccolo, ma con una forza straordinaria, aveva, secondo i calcoli di Barbabianca una cinquantina di metri di neve sulle spalle ed era il più giovane abitante di Boscoscuro, dopo Martìn naturalmente.



Altre persone abitavano quei luoghi, e alcune certo ne incontreremo ancora, ma il dilemma era, e forse lo avrete già capito, che oltre a Martìn non c’erano altri fanciulli a Boscoscuro. E benché al bambino non mancasse nulla per essere felice: aveva l’affetto dei genitori, aveva amici tra gli alberi e tra gli animali, poteva correre tutto il giorno in gara con il vento e d’estate, bagnarsi i capelli nell’acqua fresca delle sorgenti e poi lasciarseli asciugare dal sole, nonostante tutto questo però, si sa che un ragazzo ha bisogno di altri ragazzi della sua età con cui divedere taluni segreti per essere davvero felice.



A dire il vero, Martìn aveva fatto amicizia con qualche compagno della piccola scuola di Pianchiaro, ma ogni volta che chiedeva a qualcuno di seguirlo su fino a Boscoscuro, per una partita di pallone, o per scambiarsi le figurine, tutti sembravano presi da una smania incontrollata di tornarsene a casa in fretta. E che dire poi di certi discorsi che aveva sentito durante la pausa delle lezioni, che i bambini, da che mondo è mondo, chiamano semplicemente Ricreazione: «Quel posto è maledetto, io non ci andrei nemmeno se mi cascassero i pantaloni… Mio padre dice, che di notte si sentono cantare certe voci agghiaccianti… È il bosco delle streghe… È tutta colpa di quel buio che lo circonda, non per niente lo chiamano Boscoscuro… Povero ragazzo in che razza di posto è costretto a vivere…»!



Così trascorsero gli anni e Martìn si ritrovò a giocare a pallone da solo contro il muro di pietra della sua casa, oppure passava il tempo leggendo grossi libroni, che prendeva dalla stanza di suo padre: Moby Dick, Don Chisciotte, L’Isola del Tesoro, e leggendo gli succedeva una cosa strana, gli sembrava di poter cambiare il mondo, di poterlo ricostruire come avrebbe desiderato lui, senza boschi scuri dove i bambini non potevano andare.



Un pomeriggio d’estate, tutto il mondo era schiacciato sotto una calda coperta, che toglieva il fiato alle rondini e che faceva perdere la voce ai grilli, a Boscoscuro il silenzio era assoluto, e tutto stava immobile, solo qualche farfalla azzurra o arancione svolazzava tra un giglio rosso di monte e un escremento di vacca.

Martìn, sdraiato sull’erba davanti casa con il suo solito libro, era così intento nella lettura che nemmeno si accorse di Barbabianca, in piedi accanto a lui, che lo osservava con attenzione. Barbabianca era l’unico adulto che dava ascolto alla voce del bambino.



Quando il ragazzo sentì di essere osservato, non si mosse sino a quando l’uomo non lo salutò in quella lingua strana che, si racconta, un tempo parlavano tutti da quelle parti: « Steat boll Martìn». Il ragazzo allora alzò gli occhi e incrociò quelli di acqua azzurra del vecchio, era, quello di Barbabianca, uno sguardo così sincero e trasparente che quasi senza volerlo Martìn gli fece quella domanda: «Signor Barbabianca qual è il segreto di Boscoscuro»? «Lüsan – nella lingua antica significa qualcosa di più che, ascolta, ed è così che deve sempre iniziare una storia – Lüsan…



Un tempo, questo luogo non era così, e non si chiamava così, era luminoso e pieno di bambini che si rincorrevano sulla piazza attorno a cui erano costruite le case, i suoi abitanti erano arrivati da un lontano paese del nord, così tanti metri di neve fa che non sono mai riuscito a contarli, avevano una loro lingua ma non erano poi tanto diversi dagli altri, così si adattarono e vissero lunghi inverni pacifici. Poi un triste giorno arrivò una Grande Guerra, una guerra che nessuno aveva voluto, ma che arrivò lo stesso e tutto cambiò. La guerra uccise gli uomini e le donne e troppe volte anche i bambini, abbatté le case, uccise gli animali e le piante e la terra fu abbandonata, solo dopo tanti anni gli ultimi eredi di quel popolo venuto pacificamente dal nord, i tuoi nonni e pochi altri, decisero di tornare, ma al posto di quello che era sempre chiamato Tånnbalt, al posto del paese, trovarono questa foresta nera senza luce… e poi c’è la storia del vecchio cimitero… ma questa è una storia diversa di cui ti racconterò un altro giorno». continua...
Andrea Nicolussi Golo 




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