Boscoscuro,
non era proprio un paese come quelli che tutti noi siamo abituati a
vedere ogni giorno, ma era una foresta, come il suo nome stesso
potrebbe già farci intendere. Si, era una proprio una selva buia
sopra una grande montagna, e qua e là, dentro la selva si aprivano
piccoli buchi di prato dove avevano costruito le loro case gli
abitanti di Boscoscuro. In una di queste casucce abitava un bambino
di nome Martìn, che di cognome faceva, indovinate un po’? Di
Boscoscuro!
Quel
nome, Boscoscuro, al paesello di Martin glielo avevano dato gli
Altri, quelli che abitavano dall’altra parte della valle, oltre le
Altremontagne, vicino al grande Catino di Acqua Salata.
Gli
Altri, abitavano luoghi che si chiamavano, Marechiaro, Chiaromonte,
Vallechiara; alcuni, ancora più fortunati, avevano casa sulla
Collina delle Ciliegie che Maturano a Maggio, oppure al Pian delle
Albicocche Dorate, eppure tutti, ma proprio tutti, avevano deciso
che, il posto dove era venuto al mondo Martìn dovesse per forza
chiamarsi con il nome un po’ sinistro di: Boscoscuro.
Martìn,
ancora oggi, non riusciva a capire il perché, e come mai, Quelli,
avessero deciso di chiamare con un nome così triste il posto più
bello del mondo. Lui, se glielo avessero chiesto, l’avrebbe
chiamato tuttalpiù: Boscoalto, oppure Boscogrande o, se proprio,
proprio, Boscovecchio, come amava chiamarlo quello scrittore famoso
che a volte scriveva anche delle sue montagne. Ma se avesse potuto
per davvero scegliere il nome del posto dove aveva trascorso tutti e
dieci gli anni della sua giovane vita, Martìn, avrebbe scelto quasi
sicuramente: Tånnbalt! No, non era tutta farina del suo sacco quel
nome misterioso, lo aveva sentito, nel parlare del vecchio
Barbabianca, un signore che contava gli anni con i metri di neve
caduti su Boscoscuro, infatti, non diceva mai l’anno scorso, oppure
due o dieci anni fa, ma: «Sarà stato sette o otto metri di neve fa…
per costruire la mia casa ci ho messo sette metri di neve…» e così
via.
Barbabianca
non abitava proprio a Boscoscuro paese, ma si era costruito una
piccola casa al limitare più a Sud del Bosco e l’aveva dipinta di
un bel colore rosa squillante. Di lavoro Barbianca faceva il
guardiano della neve. Se vi state chiedendo che razza di lavoro sia,
guardiano della neve, è presto detto; Barbabianca, doveva guardare
cadere la neve, per tutti gli abitanti di Boscoscuro che quel giorno
non potevano farlo, magari perché stavano lontano, oppure erano
ammalati e non potevano avvicinarsi alla finestra, perché, anche se
forse voi non ci crederete, guardare cadere la neve è un lavoro
molto importante per gli abitanti delle montagne, e ancora di più
per quelli che abitavano a Boscoscuro.
Già,
ma oltre a Martìn, che conosciamo, e che andando avanti conosceremo
ancora meglio, chi altri abitava a Boscoscuro? Beh, la mamma e il
papà di Martìn naturalmente, che erano andati ad abitare la casa di
nonno Khrist, prima che Martìn nascesse. C’erano poi le sorelle
Meridiane, due sorelle nate lo stesso anno, a distanza di dieci mesi
l’una dall’altra, e per tutti avevano quindi la stessa età, pur
non essendo gemelle; l’unico a non riconoscere loro questa
stranezza era Barbabianca: «Eh no – diceva accalorandosi – una
ha perlomeno un metro e mezzo di neve in più dell’altra.»
Le
sorelle Agnese e Adelaide Meridiana, avevano lavorato in giro per gli
alberghi di mezzo mondo, una faceva la cuoca, l’altra la cameriera,
ma alla fine avevano deciso di ritornare a coltivare l’orto nel
posto dove erano nate. Per coltivare il loro orto con meno fatica,
visto i metri di neve accumulatisi sulle loro spalle, le sorelle
avevano addestrato una capretta bianca che ripuliva l’orto dalle
erbacce, e ogni giorno, senza nemmeno sfiorare la lattuga, o le
carote, la piccola bestiola si metteva all’opera come una servetta
ben educata ed operosa.
Un
altro abitante di Boscoscuro era Natale, il posatore di stonplattn.
Questo, di Natale, era un lavoro tutt’altro che strano, ma bisogna
prima sapere che a Boscoscuro le case erano costruite per intero,
tetti compresi, con delle grandi lastre di pietra grigia, e con le
stesse pietre, chiamate appunto stonplattn, si recintavano strade,
sentieri, orti, prati e pascoli; ecco, il lavoro del signor Natale
era quello di mettere insieme le pietre con la precisione di un
maestro orologiaio svizzero. Faceva il muratore, avrebbero detto
quelli che non abitavano a Boscoscuro. Natale era un omino piccolo,
piccolo, ma con una forza straordinaria, aveva, secondo i calcoli di
Barbabianca una cinquantina di metri di neve sulle spalle ed era il
più giovane abitante di Boscoscuro, dopo Martìn naturalmente.
Altre
persone abitavano quei luoghi, e alcune certo ne incontreremo ancora,
ma il dilemma era, e forse lo avrete già capito, che oltre a Martìn
non c’erano altri fanciulli a Boscoscuro. E benché al bambino non
mancasse nulla per essere felice: aveva l’affetto dei genitori,
aveva amici tra gli alberi e tra gli animali, poteva correre tutto il
giorno in gara con il vento e d’estate, bagnarsi i capelli
nell’acqua fresca delle sorgenti e poi lasciarseli asciugare dal
sole, nonostante tutto questo però, si sa che un ragazzo ha bisogno
di altri ragazzi della sua età con cui divedere taluni segreti per
essere davvero felice.
A
dire il vero, Martìn aveva fatto amicizia con qualche compagno della
piccola scuola di Pianchiaro, ma ogni volta che chiedeva a qualcuno di
seguirlo su fino a Boscoscuro, per una partita di pallone, o per
scambiarsi le figurine, tutti sembravano presi da una smania
incontrollata di tornarsene a casa in fretta. E che dire poi di certi
discorsi che aveva sentito durante la pausa delle lezioni, che i
bambini, da che mondo è mondo, chiamano semplicemente Ricreazione:
«Quel posto è maledetto, io non ci andrei nemmeno se mi cascassero
i pantaloni… Mio padre dice, che di notte si sentono cantare certe
voci agghiaccianti… È il bosco delle streghe… È tutta colpa di
quel buio che lo circonda, non per niente lo chiamano Boscoscuro…
Povero ragazzo in che razza di posto è costretto a vivere…»!
Così
trascorsero gli anni e Martìn si ritrovò a giocare a pallone da
solo contro il muro di pietra della sua casa, oppure passava il tempo
leggendo grossi libroni, che prendeva dalla stanza di suo padre: Moby
Dick, Don Chisciotte, L’Isola del Tesoro, e leggendo gli succedeva
una cosa strana, gli sembrava di poter cambiare il mondo, di poterlo
ricostruire come avrebbe desiderato lui, senza boschi scuri dove i
bambini non potevano andare.
Un
pomeriggio d’estate, tutto il mondo era schiacciato sotto una calda
coperta, che toglieva il fiato alle rondini e che faceva perdere la
voce ai grilli, a Boscoscuro il silenzio era assoluto, e tutto stava
immobile, solo qualche farfalla azzurra o arancione svolazzava tra un
giglio rosso di monte e un escremento di vacca.
Martìn,
sdraiato sull’erba davanti casa con il suo solito libro, era così
intento nella lettura che nemmeno si accorse di Barbabianca, in piedi
accanto a lui, che lo osservava con attenzione. Barbabianca era
l’unico adulto che dava ascolto alla voce del bambino.
Quando
il ragazzo sentì di essere osservato, non si mosse sino a quando
l’uomo non lo salutò in quella lingua strana che, si racconta, un
tempo parlavano tutti da quelle parti: « Steat boll Martìn». Il
ragazzo allora alzò gli occhi e incrociò quelli di acqua azzurra
del vecchio, era, quello di Barbabianca, uno sguardo così sincero e
trasparente che quasi senza volerlo Martìn gli fece quella domanda:
«Signor Barbabianca qual è il segreto di Boscoscuro»? «Lüsan –
nella lingua antica significa qualcosa di più che, ascolta, ed è
così che deve sempre iniziare una storia – Lüsan…
Un
tempo, questo luogo non era così, e non si chiamava così, era
luminoso e pieno di bambini che si rincorrevano sulla piazza attorno
a cui erano costruite le case, i suoi abitanti erano arrivati da un
lontano paese del nord, così tanti metri di neve fa che non sono mai
riuscito a contarli, avevano una loro lingua ma non erano poi tanto
diversi dagli altri, così si adattarono e vissero lunghi inverni
pacifici. Poi un triste giorno arrivò una Grande Guerra, una guerra
che nessuno aveva voluto, ma che arrivò lo stesso e tutto cambiò.
La guerra uccise gli uomini e le donne e troppe volte anche i
bambini, abbatté le case, uccise gli animali e le piante e la terra
fu abbandonata, solo dopo tanti anni gli ultimi eredi di quel popolo
venuto pacificamente dal nord, i tuoi nonni e pochi altri, decisero
di tornare, ma al posto di quello che era sempre chiamato Tånnbalt,
al posto del paese, trovarono questa foresta nera senza luce… e poi
c’è la storia del vecchio cimitero… ma questa è una storia
diversa di cui ti racconterò un altro giorno». continua...
Andrea Nicolussi Golo
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