mercoledì 28 ottobre 2015

Le do féte de salàdo

Un secolo fa, nelle nostre valli, eravamo tutti poveri, ma esistevano dei poveri che si sentivano più poveri… dei poveri.
La società contadina era divisa in: “baccani”, poche famiglie, ricche di terreni; due o tre vacche nella stalla, con una manza ”pronta” da vendere all'autunno; un mas-cio da 180 chili 'ntel ”staloto”; in caneva, una dozzina de “pesse de formàjo” su una “tola” appesa al soffitto; un cantòn de patate e “védi” pieni de vin, novo e vecio... e per questi “làsseghe pure che néveghe”... 
Poi esistevano coloro che possedevano na vachéta e na cavra... poi quelli che tentavano di sopravvivere con una sola cavréta... e poi esistevano pure, quelli che possedevano solo... l'acqua della fontana comunale e l'aria che respiravano.
Io facevo parte di quest'ultima categoria, mentre lo zio Bepi, lui, era proprio il vero “bacàn”. Possedeva terreni a non finire, con tutto il lavoro che il loro possesso comportava. Si alzava all'alba e si coricava a notte fonda, sempre a “strussiàre”. Aveva le mani d'oro, diceva mia mamma, guardando di sott'occhio mio padre, sarebbe stato capace di fare le ali ad una mosca.
Una sera, in gual nòte, passo per salutarlo e lo trovo seduto sul prato, vicino casa, che stava battendo la false. Aveva fra le ginocchia la piàntola infissa nel terreno fino alle alette e fra le mani, nella destra il martello, a doppia testa rotonda e nella sinistra la falce, appoggiata sul bordo della piàntola. 
Stava dando filo alla false, perché a forza di affilarla con la pria, il filo si usava.
Il “falcaro” lo aveva fatto lui de cornolàro, legno durissimo e molto resistente. Pesante sì, ma se adoperato con cura... eterno. 
Non si accontentava del solito frassino, più leggero ed elastico, ma molto più fragile. Se i Macedoni si erano serviti del cornolàro per far le proprie lance, doveva esserci pure una ragione, affermava.
Domani mattina vado a tagliare il fieno 'ntel Prà Grande, verresti a trarlo fora a na serta ora?
Non crediate che questa fosse una domanda... no, era un ordine. “ Sì sì, zio, doman alle oto a son là. Bona note lora, a doman.
La mattina, dopo che i primi raggi del sole avevano asciugato la rugiada, mi presentai sul prato. Mio zio ne aveva già falciato più della metà. Era in piedi e stava tirando fuori dal coàro in puro corno di vacca, la pria per affilare la falce. Gera ora, mi gridò quando mi vide, xè un bel toco che el sole xe levà! 
Non era un rimprovero, era il suo buongiorno!
Presa la forca, pesante, naturalmente con mànego de cornolaro, cominciai a slargàre il fieno dele ante, sempre sotto il suo sguardo vigile ed osservatore.
Se lo zio non parlava voleva dire che lavoravo bene... Ero ben avanzato...
Mi fermo un istante per asciugarmi il sudore che colava dal mio viso, mi giro e vedo che anche lui, arrivato sotto il grande salgàro, si era fermato, aveva posato la falce per terra, tolto il coàro dalla cintola e lo aveva fissato nel prato. Si abbassa, prende due bracciate di fieno e ne fa un mucchio.
Va verso il piede del salgàro, dove scorreva la roda di acqua, tira fuori la bottiglia di vino, che aveva messa al fresco, ne leva il tappo e ne beve una lunga sorsata. Si pulisce la bocca con la manica della camicia, si china, prende il tascapan con dentro la merenda, si avvicina al mucchio di fieno, getta sopra la giacca e si siede sopra. Posa il cappello per terra, apre il tascapan estrae un tovagliolo con dentro tre belle fette di polenta, mezzo salàdo ed un pezzo di formaggio. 
Chi non è svelto a mangiare non è svelto neanche a lavorare, diceva. 
In un lampo aveva trangugiato la bottiglia di vino, le tre fette di polenta e tutto el toco de formàjo. 
Gli era rimasto un po' di salame. Alza lo sguardo e vede che sto fissandolo. 
Vien qua, grida. Mi precipito. Prende il corteléto storto, oggetto tutto fare, taglia due fette di salame di più di due centimetri di spessore. 
Ciapa, màgnetele che te te le si guadagnà.
Le avvolge nella carta da sùcaro in cui prima si trovava il formaggio e me le porge. 
Grazie zio. Sollevai gli occhi al cielo, come penso fecero gli ebrei nel deserto quando videro cadere la Manna dal cielo.
Mi rimisi all'opera con doppia lena per finir presto, sognando alle do féte de salado che friggevano nella tecia e la polenta che se brustolàva sule bronse.
Tociàre un bocòn de polenta calda sul grasso che schizzava dalla carne cotta... Quasi quasi mi venivano i crampi allo stomaco.
Corro a casa, apro la porta. Mama, Mama, tìreme fora na tecia!
Per cosa fare? Lo zio mi ha dato due fette di salame da mangiare.
Cosa? Quell'anticristo... galo osà magnàre salàdo el véndre e in pì dàrtine do fete a tì?
Così dicendo, me le strappa di mano, si gira, apre il cassettino della credenza, le getta dentro con ribrezzo, dà due giri di chiave... e se la mette in tasca.
Vedendo il mio sguardo attonito e sgomento: No te se che xe pecàto mortale magnàr carne el véndre e ancora pì grave se xe carne de mas-cio?
Ma te imàginitu tì la facia de don Eugenio quando che te naré a confessàrte???
Ho mangiato salame un venerdì. Apriti cielo!!!
Non esiste una penitenza sufficiente per riparare un simile peccato mortale!!!

Uscii di casa correndo, maledicendo tutto e tutti, e me stesso perché ero nato povero, se fossi nato ricco, avrei potuto mangiare sempre... e di tutto, come lo zio Bepi. 
Lino Bonifaci 

7 commenti:

  1. Caro Lino, commovente il tuo racconto. Le nuove generazioni, con tutto quello che hanno , non sono felici come lo eri te per due fette di salame.

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  2. I tempi hanno cambiato, Lino, ma il salame è di nuovo peccato mortale e non soltanto il venerdi : secondo l'OMS, salumi e insaccati sono,ufficialmente, cancerogeni. Meglio 2 foglie d'insalata che "do féte de salàdo" al giorno d'oggi. Grazie per questo bel racconto.

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    1. Dai Odette......2 foglie di insalata magari di quella cresciuta vicino la terra dei fuochi? o quella coltivata vicino alle autostrade. neanche l'aria che si respira e' sana. figuriamoci gli alimenti

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    2. Ci sono delle persone che mangiano, bevono , fumano e campano 100 anni: Altri , rigorosi in tutto e ci lasciano in anticipo. E anche questione di fortuna e di scongiuri!!!

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  3. Andaloche Lino, a pensavo chei Baise i saladi i li tajasse cola false, invesse anca ti te ga tocà spessegare par do fetèle. Bravo però, te me ghe fato tornar bocia anca mi.

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  4. Carissimo Lino questo racconto mi fa ricordare quando zio Vittorio e zio Toni andavano a falciare i prati dell'Astego e poi le mogli seguite dai bocia e da qualche femminuccia intraprendente terminavano il lavoro rivoltando il fieno e formando i marelli che una volta ben seccati verso pomeriggio tardi venivano raccolti nei tarlisoni e portati a spalle sino alla teda. Del salame con l'aglio mi sembra ancora di sentire il profumo buonissimo con il pane ma ancora più buono scaldato nella padella e poi gustato con la polenta fumante. Era sicuramente una vita di sacrificio ma non si correva il rischio di ammalarsi per due fette di salame. Simpaticissima Odette non mangiare troppa insalata poichè potrebbe essere radioattiva e piena di schifezze chimiche!!!!!!!Bacioni Floriana

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  5. Ora la UE vuole farci mangiare anche gli insetti: Bruchi, cavallette, e altro. Vogliono farci mangiare il formaggio fatto con il latte in polvere e nel contempo , cercano di trovare dei cavilli per impedirci di mangiare una pizza o un buon affettato nostrano. Ma abbiamo ancora degli interessi a rimanere in Europa ?

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