La sua forma è squadrata e regolare con una caratteristica unica, sulla parte che guarda el sojo de medojorno è scolpito in modo grossolano un teschio umano con due tibie incrociate. Figlio del sojo de medojorno e muto testimone del tempo, per tutti: il sasso della morte.
Con precisione non si sa l’esecutore della scolpitura, ma noi della “ piassa” amavamo credere che le mani del tranquillo Apollonio per noi ”Pològno” fossero le colpevoli, ma di preciso nessuno fece mai un’indagine più approfondita. Dai piedi della roccia si apriva un ampio prato, meta preferita dei nostri giochi di allora, indiani e pistoleri si davano battaglia spesso e volentieri, arrivando anche a scontri pericolosi e assurdi, come tirare con l’arco frecce appuntite con ferri di ombrello, ma per fortuna mai nessuno si fece del male. Una specie di gara fra di noi era il salto dalla cima del sasso verso il prato, chi arrivava più lontano era il vincitore, naturalmente salta oggi salta domani, nella zona di atterraggio si formava una buca senza erba, solo terra e sassi. Nessuno riusciva a superare la buca, ma un giorno ci accorgemmo che un mezzo metro più avanti c’erano segni evidenti di salto, increduli e sgomenti non riuscivamo a capire chi e come era possibile un salto così lungo.
Nei giorni successivi notammo che lo scavo misterioso era sempre più evidente, segno che qualcuno più grande di noi veniva a saltare; dovevamo scoprire chi fosse, per forza, troppa curiosità e mistero sotto il sasso della morte.
L’estate volgeva al termine e per rendere la suggestione più indiana, la sera accendevamo un piccolo fuoco a ridosso della roccia in fondo al prato; nel campo della Maddalena c’erano delle patate e con ottima maestria finivano sotto la cenere, per poi essere divorate calde e fumanti. Fu durante una serata così che Daniele vide una figura scura che saltava dal sasso, anch’io credetti di averla vista, ma forse era immaginazione mista ad effetti provocati dal fuoco che scoppiettava allegramente. La nostra indagine non portava da nessuna parte, la figura misteriosa continuava a saltare e visto che non poteva saltare il pomeriggio o la sera perché c’eravamo noi, si deduceva che la sua presenza era notturna, al massimo di mattina.
Dopo una riunione stile militare, decidemmo di presidiare per una notte il luogo, scegliemmo la notte di luna piena del venerdì della settimana in corso, tutto fu organizzato e studiato e la nuova avventura ci attendeva. La sera, verso il crepuscolo ci ritrovammo in sette e, agguerriti più che mai, andammo verso il sasso della morte attraversando la pineta per non essere notati da nessuno; arrivati sul posto ci stendemmo di schiena sulla soffice erica, sotto il primo muraglione di sassi e sopra il sentiero che porta al campetto, nascosti dai pini e dai carpini ci sentivamo al sicuro, nessuno ci poteva vedere, ma noi vedevamo con precisione il figlio del sojo. I minuti passavano, le ore passavano, ma del nostro amico nessun segno.
Verso le undici stanco e annoiato mi proposi di avvicinarmi al sasso, sentivo addosso gli sguardi dei miei compagni e in silenzio mi avvicinai. Mi accucciai di fianco al sasso e attesi. Passarono pochi minuti e pieno di paura mi accorsi che accucciato a fianco a me c’era una presenza, mi veniva da gridare ma la mia voce non usciva e la figura mi fece cenno di fare silenzio, mi prese la mano e mi fece capire di voler fare un salto con me. Incredulo e prigioniero della presenza ci ritrovammo in un secondo sopra il sasso, ma non c'era il panorama che conoscevo, il prato e il bosco erano spariti, davanti a me solo teste, tante teste di persone che non conoscevo, gridavano di saltare e di non avere paura, poi tutto tornò normale e con un piccolo strattone saltammo verso il prato. Mi aspettavo di sentire subito la terra amica, ma non fu così, il salto era infinit, non toccavo mai il suolo e nel vuoto vedevo strane immagini e situazioni che non capivo: ho visto la valle ricoperta dalla polvere, le montagne davanti sparire e una pianura sconfinata con città e paesi a me sconosciuti, ho visto mio fratello sorridente e felice che mi salutava camminando all’indietro, mi son ritrovato a cavalcioni di una motocicletta bianca e alla fine mi parve di vedere il paese di S. Pietro allontanarsi da me, poi ritornava sfuocato come quando si mette a fuoco un binocolo.
Toccai terra e rividi le persone che prima erano sotto di me che a testa bassa si allontanavano in silenzio, le chiamavo ma non mi davano ascolto, non capivo, non potevo capire.
Daniele mi toccò un braccio, mi svegliai... “nemo casa che qua no ghe zé nessùn che salta”... Avevo preso sonno e sognato, che strano, io non mi addormento mai fuori da un letto, strano davvero. Dopo la frana del 1978 e i lavori fatti per contenere altri pericoli per il paese, il prato e il bosco sono spariti, distrutti dalle ruspe e da chi non ha saputo fare di meglio, peccato, un vero peccato, fossimo stati noi della ”piassa” a decidere... mai e poi mai avremmo offeso il nostro sasso della morte, il suo prato, i suoi ragazzi, che ora non vede e non sente più.
Piero
Grande Piero che bel racconto e quanta fantasia, non si riesce mai a capire fino alla fine se si tratta di realtà o immaginazione.
RispondiEliminaUn mio ricordo ritorna a quando ero bambino e io con un amico della banda dei Pertile andammo in zona sasso della morte, purtroppo venimmo catturati dalla banda dei Piasa.
Pensa quanto cattivi eravate, ci avete legati tutti e due con una fune ad una pianta, acceso un piccolo fuoco sotto e lasciati li a marcire, per fortuna dopo circa un'ora ci siamo liberati e tutti puzzolenti di fumo e impauriti siamo scappati...penso che ancora adesso soffro incubi notturni di quella brutta avventura...
Un abbraccio Gino
caro gino, il luogo era la nostra riserva, gelosissimi di altri che lo calpestavano, ricordo che da lì guardando verso il siroccoli ci si domandava: chissa cosa ci sarà dietro. La tua " cattura" credo fosse stata per salvaguardare il fora febraro, spie della campagna e pertile sovente venivano a curiosare con l'intento di appiccare il fuoco alla pira prima del tempo, noi organizzavamo turni di guardia....già durante le vacanze natalizie tagliavamo i primi denevre ( ginepri)era dura se i rivali ci anticipavano il fora febraro...ciao
EliminaMa perché ,PIERO,il tuo racconto non dovrebbe essere vero????Con tutti quei Salvanei e la' da voi con tutte quelle
RispondiEliminaleggiadre Anguane che scendevano di notte a fare il bucato all'Astego......
Bellissimo Piero che l'immaginazione del bambino che eri abbia continuità nella mente del ragazzo adulto che sei diventato.
RispondiEliminaIl mondo è paese Gino. Noi da ragazzi facevamo la guerra tra il quartiere delle case e quello dei condomini con battaglie e sassate. Una volta hanno preso un ragazzo l'hanno denudato e appeso ad un albero...Infamia e vergogna....bella crudeltà!
Eh no ciò; non possiamo liquidare così frettolosamente una questione così dirimente e che ha incuriosito così tante generazioni: urge trovare l'autore di quel bassorilievo!
RispondiEliminaPiero, ....scommetto che Lino, che magari scurtolava per le Jare rientrando a casa da scuola, avrà qualche sospetto in merito all'autore........
no non penso che lino conosca questi posti, massa piasaroti, l'autore del bassorilievo credo che con certezza nessuno lo sappia, bisognerebbe cercarlo con il bollettino parrocchiale...
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