È più conosciuto come il Capitello della Gióa ed è un sacello in muratura di ragguardevoli dimensioni, costruito sulla cima della prima Gióa in occasione del Giubileo del 1900.
Venne edificato su iniziativa dell’allora
parroco Don Antonio Fontana, sacerdote che lasciò un segno indelebile in paese
e fu particolarmente fecondo di opere edilizie essendo il costruttore, oltre
che dell’attuale chiesa parrocchiale, anche dell’Asilo e del Ricreatorio.
Don Antonio volle probabilmente aderire alla campagna lanciata dal papa Leone XIII°, che per il Giubileo del 1900 chiese la costruzione di monumenti dedicati al Cristo Redentore sulle principali vette d’Italia, uno per ogni secolo di redenzione del mondo.
Don Antonio volle probabilmente aderire alla campagna lanciata dal papa Leone XIII°, che per il Giubileo del 1900 chiese la costruzione di monumenti dedicati al Cristo Redentore sulle principali vette d’Italia, uno per ogni secolo di redenzione del mondo.
L’Italia contava allora 19 regioni e dunque ne venne proposto
uno per ciascuna di esse, anche se poi non tutti furono completati.
Il Veneto lo eresse sul Monte Matajur, sul
confine orientale del Friuli, che qualche anno dopo sarebbe stato
devastato durante l'offensiva di Caporetto.
La vigilia di Natale del 1900 il papa chiuse la Porta Santa
della basilica di San Pietro in Roma murandola con 20 mattoni provenienti da
questi luoghi.
La costruzione del monumento avvenne con il concorso del
popolo e anche gli scolari, nel tempo libero (libero dalla scuola, mica dal resto), contribuirono a portare sul posto
la sabbia e gli altri materiali edili. Allora l’accesso alla Jóa era ben
diverso da oggi: le rive in Sìma ala Fontana erano tutte coltivate ad
orto, i sentieri curatissimi, la valle del Creàro sgombra, il Canpéto de Isàco,
ultimo presidio umano prima dei soji, dominava sul paese col suo bel bàito
a due piani. Poi la costruzione dei muraglioni e delle opere di
contenimento delle frane ha stravolto i sentieri di un tempo; dove prosperavano
gli orti adesso imperano grovigli di rovi, robinie e clematidi hanno fagocitato
le superstiti viti e gli alberi da frutto. La montagna è tornata a prendersi
quello che il lavoro e la fatica di tante generazioni le avevano preso in
prestito.
Pur essendo dedicato a Cristo Redentore, le tre grandi nicchie del capitello sono prive di statue o immagini; forse
gl'incombenti eventi bellici diluirono il progetto iniziale, che poi si
perdette nei decenni successivi tutti occupati all'edificazione della nuova
chiesa.
Se la memoria non m’inganna, quand’ero bambino e bazzicavo assiduamente quei luoghi, mi pare d’aver letto una scritta su fianco della costruzione: “Giovanni Sartori fecit”; sulla nicchia centrale rivolta a sera mi sembra anche che s'intravedessero dei contorni di figure appena abbozzate, che ora non si discernono più in seguito alla sistemazione avvenuta nel 2000 nella ricorrenza del centenario. Allora il sacello venne ripulito e ridipinto, coprendo le ingiurie arrecate dal tempo e dagli uomini.
In quella occasione il capitello venne attrezzato con
l’illuminazione elettrica e sul pendio di fronte fu allestita una struttura
tubolare reggente le cifre dell’anno a caratteri cubitali. Illuminato
nell’oscurità, il tutto torreggia sulla Valle creando una suggestiva immagine.
Le Jóe sono una caratteristica icona di San Pietro con il loro
profilo seghettato che affianca la massiccia murata del Sojo de Medojorno
percorso dall’evidente fessura della Scafa dele Anguàne.
Il sito è talvolta indicato come Capitello della
Gioia, italianizzando impropriamente per assonanza il termine Jóa (la J
semiconsonantica del dialetto più antico si trasformò in G durante il
secolo scorso), che forse ai più aggiornati sarà sembrato trogloditico.
Non è certo da dove derivi questo toponimo, l’ipotesi più ovvia
lo farebbe risalire all’etimo latino jùgum, jugàlia o meglio al
germanico Joch, che hanno tutti il medesimo significato di giogo/giogaia o sella/passo. Io azzarderei una derivazione più rustica:
nella nostra antica lingua il termine jóa significava “morsa”. Se ci
figuriamo il bancone da falegname con la sua morsa laterale a manovella,
costituita da un troncone di legno affiancato ma separato dal banco, possiamo
ben adattarlo al panorama sampierese con le Jóe come satelliti del bancone
costituito dalla poderosa struttura del Sojo.
Gianni Spagnolo
bel lavoro, mi ricordo bene delle figure abbozzate con un colore violaceo, lassù era il nostro occhio durante le nostre avventure, pensa che avevamo postato un filo diretto con la casetta del canpeto, e funzionava anche...due scatole di pomodoro e un filo di gavetta, a quelli si che erano divertimenti...
RispondiEliminaDa che mondo è mondo, la miseria aguzza l'ingegno... e che soddisfazioni...
EliminaDopo le spiegazioni di Gianni, si guardano le cose descritte con occhi diversi.
RispondiEliminaE' molto interessante sapere le cose che descrivi Gianni, io ammetto tutta la mia ignoranza in materia e sono ben lieta ora di saperle. Grazie
però che nessuno me ne voglia ma quella impalcatura in tubi innocenti è indecente da vedere
RispondiEliminaL'ho penso anch'io, ma da lontano non si vede. Disturba solo chi va lassù: ma quanti ci vanno? Dai Salti scendevano le donne con i tarlisùni de farlèto sulla testa e ora quasi ci vuole il machete per passare. Se poi guardo al Canpéto, ... mi si stringe il cuore.
RispondiEliminaSempre incommiabile Gianni...Stupenda descrizione storica.
RispondiEliminaCondivido lo sguardo struggente verso il Canpeto, ogni tanto
arrivando lì riesco persino a fantasticare...si potrebbero tagliare le piante,
creare un bel prato, un bel vedere sul paese...e tanto altro, poi seguo la traccia
arrivo a Fozati, ritorno a casa.
COMUNQUE è stato un bel percorso,sono stata bene.
parto dalle rive,percorro la traccia
Ottima ricostruzione, e descrizione, Gianni,
RispondiEliminaA Valpegara chiamano "la Joa" quel grumo sopra la Marogna, lato Tonezza,
che nelle carte topografiche vien scritto "La Gioia".
Ciò fa pensare ad affinità di morfologia, che dici?
Mi chiedevo e mi chiedo che "gioia" fosse, per la gente, quel grumo impervio e sassoso,
che i vecchi attraversavano per andare al Salto, alla Calcara, a far legna, ed anche a tagliare erba,
che poi calavano coi fili fino alla Joa, per caricarla nelle idole e portarla a casa.
Horror vacui.
EliminaQuando non siamo noi a difendere le nostre radici o ce ne vergogniamo, sta pur certo che arriva qualcuno a metterci la sua bandierina. La nostra zona è piena di toponimi ufficiali che non hanno niente a che spartire con i nomi che usavano i nostri vecchi. Si va dai Suggi, alla punta Petone, alle varie Gioie, al Piaggio di Arsiero (cosa ci facevano? Le Vespe?)e via elencando.... Neanche Tolomei in Tirolo fu così approssimativo.
La prima volta che passai sotto il capitello della Gioa avevo tre anni,con mia mamma.Partendo dai Lucca si attraversava" le rive,"vanede colme di vigne,di peschi, di ogni bene di Dio,si passava sotto la frana,e per il" campeto de Isaco " si arrivava ai fodati dalla zia Catina.Alla età di sette anni con dei coetanei salii al Capitello e si vedeva ancora seppur sbiadita una immagine sulla nicchia davanti.Salgo tutti gli anni,ma quando mi siedo e guardo mi si stringe il cuore a vedere il disastro ecologico compiuto nei prati dell'astego.Cosa direbbe Isaco il saggio se vedesse la valle in quelle condizioni!!!!!!Ci mancano ancora i Piloni e l'autostada!!!!!
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