La serata di quel venerdì 3 giugno 2016 Pedescala assistette ad un inconsueto avvenimento: Venne inaugurato il Capitello campestre di GIOVANNI PRETTO “Giòna” in località “Pèrsolo” (pochi metri a nord dell’attuale cabina elettrica) in via Santa Caterina che è la protettrice dei mugnai; a recitare la formula della Santa benedizione fu il parroco pro tempore don Francesco Alberti. Esso fu fortemente desiderato e voluto dalla madre FAUSTA, proprio lì in quel luogo, dove fino al 1916 si innalzava l’antico e singolare Sacro manufatto dei “Mòla” ed anche perché in quei giorni ricorrevano i cent’anni dalla distruzione dello stesso.
L’edicola votiva è realizzata interamente in pesante ed elastico legno di tasso della vicina Valdassa ed è infisso alla base su una pietra trapezoidale alta cm. 35 proveniente dal vecchio molino dei Lorenzi “Balansùni” di Settecà; esso si presenta su una base pentagonale larga cm. 90 ed è alto m. 2, le sue forme sono in perfetto stile tirolese con le tavolette che ne fanno da sponda finemente lavorate; all’interno, crocefisso, un bianco corpo di Cristo in resina, proveniente da oltre oceano che fu portato in dono da suor Leonarda (sorella di Fausta).
Il Sacro sacello è posto in cima ad una facile gradinata composta da pietre squadrate dalle mani sapienti dei nostri avi e raccolte in tutto il circondario nel tempo da Giovanni con immani fatiche; ne favorisce la salita una robusta staccionata in larice, tutto attorno è in ogni stagione un’esplosione colorata di corolle autoctone delle nostre convalli.
I "MOLA” (da molino o mugnai), ovvero di un ramo della facoltosa famiglia Giacomelli residente a Pedescala sin dal 14° secolo, erano benestanti e proprietari terrieri, nonchè di alcuni mulini ad acqua siti in Valdassa, erano anche e soprattutto ferventi religiosi, per cui possedevano nei loro poderi, tre sacri manufatti:
Il primo, rappresentava affrescata una "Crocifissione" con ai lati San Rocco e San Antonio e si trovava poco sopra l'antico mulino di famiglia, la cui zona è tuttora chiamata "Capitello" ora conosciuto come Capitello dei "Tati”, attualmente sul sito esiste solo una semplice croce ferrea.
Il secondo, era ubicato all'entrata del ponte uscendo da Pedescala, dedicato alla “Madonna delle Grazie”, di questo esistono varie fotografie d'epoca e la sua origine si perde nella notte dei tempi.
Il terzo antico capitello della famiglia "Mola" era sito sulla strada che conduce a San Pietro in località “Pèrsolo”. Tutti e tre furono completamente distrutti come in un'arcana profezia, da vandaliche granate nel maggio-giugno 1916 durante l'offensiva austro-ungarica (Strafexpedition), e più riedificati.
Su quest'ultimo sacro manufatto, stando a una testimonianza fattami da Maddalena Pretto (da Roma) e sentita a sua volta da suo padre Catterino Pretto “Cència” grande appassionato di storie locali, emerge che questo Capitello fosse da tempi immemorabili oggetto di culto, per i viandanti che percorrevano l'antica strada della Germania, e meta di remote "Rogazioni".
A ricordo d'uomo esso era provato dal tempo, ma non fatiscente: a pianta rettangolare, eretto in malta e sassi delle dimensioni 3,50x1,50 m. Il tetto a due spioventi era coperto in lastre di pietra grezza, sormontato da un'ornamentale croce ferrea. La nicchia, era assai ampia, non tanto incavata, con la parte superiore ad arco, affrescata giallo oro sulla parete di fondo. Ma l'originalità di questo simbolo votivo dei "Mola" stava nell'icona dipinta su tavole di larice, unica ed inconsueta per le nostre zone: in esso era rappresentata da mano ignota, una Vergine "Odigitria" di stile post-bizantino, in uso nel sedicesimo secolo. Maria era raffigurata in posizione frontale, ripresa a mezzo busto, con gli occhi fissi sul pellegrino osservatore, avvolta in un mantello di colore purpureo; i capelli erano completamente invisibili, celati da una specie di cuffia sotto il velo aderente. Il Bambino era seduto sul braccio, anch’egli in posizione frontale, con la mano destra leggermente alzata benediceva alla greca (indice, medio e mignolo sono tesi, pollice e anulare sono piegati), mentre con la sinistra regge un rotolo di pergamena, simbolo questo di saggezza e di sapienza, tradizionalmente attributo dei profeti. Nel tipo canonico l’Odigitria, era “Colei che conduce, che indica la via", l’atteggiamento della Madre è ieratico, di distacco e di grande rispetto; quello del Bambino era soffuso di regalità e di serietà, come si addice al Dio fatto uomo.
Il primo “Mòla” che troviamo è GIOVANNI Giacomelli (1700-1763) che generò GAUDENZIO (1725-1770) che generò GIOVANNI (1757-1822) detto “Zuane Mòla” poi venne FRANCESCO (1789-1863) che generò GIOVANNI (1824-1872) nacquero poi NICOLA (1857-1936) detto “Drùgo”, FRANCESCO (1859-1945) detto “Moro Mòla” e GIOVANNI (1861-1942) detto “Nàne Mòla” che generò MARGHERITA ANTONIA (1894-1979) detta “Malgaretòna” che sposò Giovanni Pretto (1893-1945) “Giòna” non ebbero figli e per questo essendoci pure con i “Mola” un ramo di stretta parentela, accolsero come figlia l’ancora adolescente FAUSTA LORENZI dei “Balansòni” di Settecà.
Delmo Stenghele
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