【Gianni Spagnolo © 21G6】
Se l’Internet si fosse sviluppata nel Veneto di qualche tempo fa si sarebbe chiamata sicuramente Interejina.
Terejina significa infatti ragnatela, ma è un termine che è stato velocemente abbandonato, per la sua fonetica intrinsecamente paleozoica. Chi usasse oggi terejina al posto di ragnatela, si qualificherebbe immediatamente come un montanaro troglodita. Sarà per quel suo pseudo-dittongo arcaico o perché non richiama nessun etimo noto, sta di fatto che è finita nel dimenticatoio. D’altronde con le terejine abbiamo ormai poca dimestichezza un po' tutti; sono passati i tempi di quelle spesse coltri grigiastre con cui ci potevi fare un paltò. I ragni stessi trovano difficile ospitalità nelle nostre case, sigillate allo spasimo in ogni buco, fessura o pertugio che fosse. Niente a che vedere con le crepe degli intonaci o delle travi delle abitazioni de stiani, dove quei grossi ragni neri erano animaletti domestici che si rintanavano nel loro buco rivestito da una terejina spessa che sembrava un imbuto. Domestici, si, e anche utili, perché tenevano a bada gli insetti al par dei gatti coi topi. La difficoltà di “cavar un ragno dal buco” era allora consapevolezza di tutti, nonché una delle prime esperienze di caccia dei bambini, mentre oggi è un modo di dire ormai privo di fisicità. Indica il risultato fallimentare o per nulla soddisfacente di qualcosa che si è fatto, per quanto l’impegno profuso sia stato notevole e costante. Per chi ci ha provato davvero esso è una metafora di sperimentata fisicità, per altri solo uno strano modo di dire come tanti. Sarà forse per questo che s'imparava presto a lasciare in pace i ragni, obbedendo a quell'altro adagio: "ragno porta guadagno", con cui probabilmente si giustificava l'impossibilità di competere con lo scaltro aracnide, dando un valore alla rinuncia.
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