Forse mai come negli ultimi tempi abbiamo netta la sensazione che il pianeta su cui viviamo, nostra Madre Terra, sia simile ad un animale ferito che attraverso eventi climatici sempre più estremi lancia grida di dolore e manifesta i segni della propria sofferenza. Nel giro di soli cinque giorni l’Altipiano ha subìto due eventi calamitosi importanti: giovedì 8 luglio un violento nubifragio, accompagnato da grandine, ha colpito una vasta area compresa fra Foza, Gallio e Conco, con una tromba d’aria che ha divelto centinaia di abeti e asportato il tetto della malga Pian di Granezza. Martedì 13 luglio una quantità enorme di pioggia, concentrata in poco tempo, è caduta nei territori comunali di Rotzo, Roana e nella Valdastico, causando frane, interruzioni stradali e perfino allagamenti di abitazioni. La quantità di acqua caduta, stimabile in circa 200 mm nell’arco di una sola ora, è talmente enorme che nessun sistema idraulico sarebbe stato in grado di raccoglierla e smaltirla. È una precipitazione di tipo tropicale, adatta alle foreste tropicali dove una vegetazione rigogliosissima attenua gli effetti diretti delle piogge; l’acqua in esubero finisce a terra a formare ristagni e acquitrini, senza creare alcun problema. Le immagini del monumento ai Caduti di Rotzo invaso dall’acqua, con un torrente in piena che scendeva dalla scalinata, farebbero pensare ad una valle ostruita o a qualcosa di simile, invece a monte del monumento non c’è nessuna valle, solo prati e, più in alto, il bosco: niente è cambiato rispetto all’epoca della sua costruzione, risalente a quasi cento anni fa. Non è pensabile che progettisti e amministratori potessero costruire un edificio sacro, dedicato al culto dei Caduti in guerra - tema molto sentito all’epoca - in un luogo che non fosse più che sicuro, sotto ogni punto di vista. Solamente il bosco è diverso rispetto ad allora, un tempo era molto più in alto, staccato dal paese, ora si è notevolmente esteso abbassandosi verso le case. Tale fatto, peraltro, se esaminato da un punto di vista strettamente idraulico, rappresenta un sicuro miglioramento, in quanto qualunque tipo di bosco trattiene l’acqua più efficacemente rispetto ad un prato o un pascolo. L’acqua che ha invaso le nostre strade ostruendole di materiale era solo in parte tracimata dagli alvei delle valli, più spesso stava semplicemente scorrendo sulla superficie dei prati, dei campi, delle aree incolte e seguendo la pendenza del terreno si concentrava sulle strade, nei cortili o in qualunque altro luogo dove la forza di gravità l’obbligava a portarsi. Nessun terreno avrebbe potuto assorbire tutta quell’acqua - che così tanta forse non si era mai vista a memoria d’uomo - men che meno in un ambiente di montagna dove la pendenza ne accresce la forza, la potenza e la capacità distruttiva. In pochi giorni siamo passati dai campi di patate riarsi, oltremodo bisognosi di una pioggia, ai laghetti che sommergevano i campi stessi, come nei periodi di forti piogge autunnali. Consideriamo pure che non sono trascorsi nemmeno tre anni dalla tempesta Vaia le cui conseguenze sono tutt’altro che finite, molto legname è ancora a terra e nelle zone più impervie nemmeno verrà più raccolto, mentre nei boschi sopravissuti si stanno allargando a macchia d’olio i disseccamenti provocati dal bostrico. Se volgiamo lo sguardo attorno, vediamo eventi estremi un po’ in tutta Italia, grandinate da far paura, straripamenti e alluvioni quasi ad ogni temporale, incendi dovuti quasi sicuramente a piromani ma accresciuti dalla siccità e dalle altissime temperature. Nel resto del mondo non va meglio, se pensiamo ai disastri della Germania, dove i fiumi hanno invaso zone non di espansione edilizia recente, ma città antiche che mai si erano confrontate con simili problemi. In Canada recentemente si sono registrate temperature di 50°, paragonabili a quelle del deserto, superiori di 10° (dieci gradi! di solito i record si ritoccano a misure di decimo di grado …) alle temperature massime registrate in precedenza a quelle latitudini. La Terra non ne può più dei nostri comportamenti scellerati e si sta ribellando. Ne ha tutte le ragioni: l’abbiamo violentata in tutti i modi in cui ciò è possibile. Come un animale ferito e ridotto all’angolo, mena zampate e unghiate per difendersi e farci capire che in questo modo non si può più continuare. Cerchiamo tutti di capirlo, prima che sia troppo tardi.
Lo dobbiamo ai nostri figli, ai nostri nipoti e a quanti verranno dopo di noi.
(da biblioteca civica di Rotzo)
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