giovedì 29 luglio 2021

Tempesta moja, tempesta secca... disastri e storie de na volta

 




Si parla molto, in questi giorni, dei cambiamenti climatici e dei danni che il clima  porta ogni giorno in diversi luoghi del nostro paese e del mondo intero. I telegiornali stanno raccontando di inondazioni, di grandinate eccezionali, di trombe d'aria e di bombe d'acqua. Vorrei raccontare della “tempesta del 1932”. So i fatti solo perché, naturalmente, mi sono stati raccontati.  

Da sempre, a luglio, mese di gran caldo, ma anche di grandi temporali, la gente aveva il terrore della tempesta. C'era tutta una “letteratura” nei confronti della grandine: innanzitutto si guardava alla grossezza dei chicchi; se erano piccoli e frammisti alla pioggia, si tirava un sospiro di sollievo. Se erano grossi, e se invece di essere tondi e lisci avevano sporgenze acuminate e magari cadevano in gran quantità e da soli, si parlava allora di “tempesta secca” e si diceva che “la tempesta secca la cava anca el còdego” (la grandine grossa e secca sa togliere il cotico dai prati). 

Veniamo alla storia. Erano i primi anni trenta dello scorso secolo, forse il 1932 e un bambino di Rotzo era stato chiamato su nei “Prai tedeschi” (la zona che sovrasta Rotzo, appena sotto il Forte di Campolongo), a sorvegliare le mucche della famiglia Costa “Mesenar”.  

Questo bimbo aveva appena terminata la terza elementare, ultimo anno dei suoi studi, e si guadagnava un piatto di minestra calda, la polenta e qualche pezzo di formaggio, curando le mucche al pascolo estivo, accompagnandole al pascolo, aiutando nella mungitura, facendo questo servizio in malga. 

E proprio verso la fine di luglio, si trovava lassù da solo quel giorno, perchè gli altri adulti erano scesi in paese per piccole, necessarie incombenze, e si accorse che una nuvola bianca, altissima e luminosa di mille lampi si avvicinava dal Garda. Sapeva che quella nuvola (i cumolonembi, nuvole che possono arrivare fino a 8 mila metri di altezza) avrebbe portato la grandine, la tempesta! Corse per i prati ancora disseminati di schegge di proiettile della recente Prima Guerra mondiale, corse tra le erbe che nascondevano il profumo dei fiori alpini, tra gli alberi scheggiati e contorti, quei pochi alberi resistiti al conflitto. Raccolse le mucche e le condusse, prima che poteva, verso “el cason” verso la baita dai muri di pietra coperti da grosse lamiere di ferro scuro. Corse per metterle al riparo, ma la “tempesta” fu più veloce di lui: si trovò sotto una fittissima sassaiola di chicchi di grandine, grossi come uova, senza riparo alcuno, con le mucche terrorizzate dai lampi, dal rombo dei tuoni, dal vento. In pochi minuti il terreno, prima verde, divenne una coltre bianca, ghiacciata e scivolosa. I chicchi lo colpivano con violenza brutale, e lui, solo lassù, si accorse che un chicco di grandine, più grosso del solito, lo aveva colpito sopra l'orecchio destro, staccandolo quasi completamente. Usò il suo berretto di lana come improvvisato rimedio sanitario sperando che il sangue smettesse di uscire e che l'orecchio, lacerato, potesse tornare, in qualche modo, quello di prima. Vista la situazione, da Rotzo, la buona gente che aveva lassù le mucche (i Mesenar) salì di corsa per portare aiuto e, in questo caso, anche le prime cure. 

Quel bimbo, forse anche per l'esperienza vissuta, divenne in età adulta uno straordinario “meteorologo” e io lo rivedo quando, guardando il cielo e annusando l'aria che sapeva di aglio pestato (si trattava dell'ozono creato dalla scariche elettriche) sentenziava: “-Da qualche parte ga tempestà” e si accarezzava involontariamente l'orecchio, in ricordo di quella grande grandinata della sua infanzia. Era mio padre, quel bambino; mi ha lasciato quando anch'io ero ancora bambino. Mi ha lasciato però anche canzoni, filastrocche, qualche poesia e qualche racconto come questo della “tempesta dei Prai Tedeschi” della “grandine secca” e dell'orecchio ferito da quei chicchi brutali.

Lucio Spagnolo

2 commenti:

  1. Bellissimo racconto. Grazie

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  2. Anche mia mamma mi racconta sempre quanti pianti e quanta paura quando da bambina era mandata a"tendere vacche" a Lavarone!

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