【Gianni Spagnolo © 21G17】
“A tornén indrìo, invesse de nar vanti.”
È questa un’affermazione usata talvolta da qualche anziano quando s’avvede che, nonostante le premesse, le cose non vanno nel senso auspicato. Vien da chiedersi come possa una comunità riunire le forze e lavorare alla realizzazione d’un futuro migliore, se non è in grado di comprendere neanche le dinamiche di base che vive nel presente. È un bel dilemma, ma è proprio quello emerso dal Forum Ambrosetti come la più grande emergenza dell’Italia: l’analfabetismo funzionale. Esso è infatti l’incapacità di usare in modo efficace le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana. Si traduce, in pratica, nell’incapacità di comprendere, valutare e usare le informazioni che riguardano l’attuale società.
Eppure la nostra epoca è caratterizzata da una generale alfabetizzazione e da un crescente livello di scolarizzazione, che va di pari passo anche con una progressiva espansione e complicazione delle conoscenze. Oggi è necessario sapere sempre di più ed essere costantemente aggiornati se si vuol tenere il passo dei tempi. Chi si ferma è perduto! Non è più sufficiente apprendere delle conoscenze in gioventù come bagagli per la vita, oggi serve il miglioramento continuo. In parte è la società stessa ad indurlo omeopaticamente nella pratica quotidiana, ma buona parte richiede uno sforzo e una motivazione personale, pena il rischio di diventare degli analfabeti di ritorno e funzionali.
È un problema che cozza contro la natura stessa di uno sviluppo sostenibile, inevitabilmente assai complessa, ma anche con un semplice dato di fatto: a seguito della rivoluzione digitale la stragrande maggioranza dei dati mai creati dall’homo sapiens è stata generata negli ultimi anni. Una sovrabbondanza che la nostra specie non ha mai dovuto affrontare prima e che, senza gli strumenti cognitivi adeguati per farvi fronte, trasforma una realtà complessa in una complicata, impossibile da decifrare. Ciò che non si conosce, come sappiamo, spaventa! Quel che spaventa crea crisi di rigetto e ostilità, che magari finiscono per creare apatia o rifugio nelle teorie più improbabili e strampalate. Ovvio che la conoscenza della realtà dovrebbe crescere, non decrescere, per riuscire a garantire una capacità di risposta adeguata ai nuovi problemi; ma anche solo per essere cittadini consapevoli di una società che diventa fatalmente sempre più complessa. Sconforta constatare che l’Italia è il quarto Paese OCSE per la maggiore incidenza di adulti con problemi di corretta comprensione delle informazioni. Fanno peggio di noi solo Indonesia, Turchia e Cile. Significa che più di sette italiani su dieci, contro una media OCSE di 5 su 10, sono di fatto analfabeti funzionali.
Non stupisce dunque che l’Italia stessa sia prigioniera di un circolo vizioso, alimentato appunto dall’analfabetismo funzionale, che non le permette di realizzare i cambiamenti strutturali di cui ha bisogno. Se non si ha consapevolezza dei problemi infatti, non c’è modo di trovare delle soluzioni adeguate. La classe politica, per sua natura, dovrebbe disporre degli strumenti per affrontare questi fenomeni, ma si trova a dipendere dal consenso di un elettorato al quale non può dire la verità perché non lo ritiene generalmente in grado di comprenderla. In più questa classe dirigente diventa sempre più espressione della maggioranza disfunzionale che predilige ricette semplici e schematiche, ancorché inefficaci o disastrose, ad analisi puntuali e verificabili. Anche perché fare le verifiche richiede conoscenze e consapevolezze che ci rimandano al punto di partenza.
Che la terra sia piatta e che il sole ruoti attorno ad essa è un fatto verificabile elementarmente da chiunque di noi si alzi al mattino e guardi sorgere il sole a levante e tramontare a ponente e dia un’occhiata al suo personale e piatto orizzonte. La teoria eliocentrica copernicana, pur assodata da mezzo millennio, richiede invece capacità di astrazione e conoscenze che sono già fuori dalla portata di molti analfabeti funzionali. Questi ultimi tuttavia, come nell’antichità, possono sempre appellarsi ad Aristotele con l’imperituro: Ipse dixit!
Messà che a no ghin nemo mia fora!
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