domenica 16 maggio 2021

MIX - di tutto un po'



Nella nostra biblioteca c’è un settore dedicato alla cultura popolare e veneta, con un buon numero di libri che ci riportano alle tradizioni, agli usi e ai costumi di un tempo. Si tratta spesso di normalissimi racconti di vita, peraltro talmente lontani dalle consuetudini del nostro tempo, da farli sembrare frutto della fervida immaginazione di fantasiosi romanzieri: invece quelle narrazioni ci riportano alla situazione dei nostri paesi, appena qualche decina di anni fa.
Pino Sbalchiero è autore di vari libri ambientati nella sua Isola Vicentina, di cui è stato amministratore e sindaco per più mandati. Sono pagine di lettura gradevolissima e per nulla impegnativa, a tratti esilarante, come nel brano che riportiamo.

“In una stalla nei pressi di San Rocco, al tempo dei tempi, teneva cattedra, riempiendo di stupore ed ammirazione i filò dell’intero inverno, Naneto Jobe, autodidatta per eccellenza, filosofo per vocazione e scienziato-inventore per libera scelta. Naneto, dopo aver letto Storia dei Reali di Francia, La Divina Commedia illustrata al popolo e La Scienza al servizio dell’Uomo, si mise in testa di realizzare un sogno ambizioso e per la verità mai prima riuscito a chi ci aveva provato: far volare l’uomo!
Dopo aver spenotato mezzo punàro a sua moglie, con l’uso di colla, spaghi, stecche di fagàro stagionato e sempre con tanta pazienza, volle dar fondo alle enormi risorse del suo ingegno.
Lavorò da novembre a marzo e, consumati quattro mesi in un continuo fare e disfare, finalmente ultimò le ali, sfavillanti di piume ravvivate da vivaci colori. Gli aiutanti volontari stabilirono di fare il collaudo di sera, nel momento in cui il sole tramonta, per meglio stagliare nel giallo-rosa del cielo la figura dell’ardito navigatore…
Quando Naneto s’accinse a salire sul tetto della casa arrancando a fatica su di una scala a pioli, tutto preoccupato di non rovinare neppure una piuma, Molonaro, il capo contra', con i toni acutissimi di una cornetta, scandì le note dell’adunata. In pochi minuti si radunò una piccola folla e tutti stavano con il naso all’insù e la bocca aperta in attesa dell’evento.
Lo scienziato intanto, arrivato sotto i coppi, oltre le stelaresse, in piedi come un arcangelo, si concentrava prima del balzo…
Nel silenzio di tomba, un colpo di fucile segnò la fine del conto alla rovescia. Si vide uno sguatarare di ali e si udì la voce dell’eroe nel momento fatale del decollo.
Parto! Parto! Urlò Naneto Jobe e, staccandosi dal tetto, precipitò con fracasso sul sottostante luamaro in una nuvola di penne svolazzanti. I danni della caduta furono rilevanti, pur se limitati dalla presenza di un mucchio di fumanti boasse. Sporco e pesto, fu portato all’ospedale con il musso di Pinto, il pignataro. L’ospedale non era distante, ma il tragitto fu faticoso. Il musso, infatti, era stato abituato dal suo padrone a fermarsi davanti a tutte le osterie e non ci furono bastonate sufficienti a farlo proseguire spedito. Bisognò elargirgli una scodella di clinto ad ogni tappa e finalmente il calvario fu concluso.
La moglie di Naneto rimase per molti mesi tutta sola in casa, con gran piacere dei maschi vicini e lontani perché dicono fosse veramente una gran bella donna…”
Tratto da "Le storie della pellagra" di Pino Sbalchiero. Qualche storiella leggera, ogni tanto, per distogliere la mente dai problemi di questo periodo…
(da Biblioteca Civica di Rotzo)

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