Il cognome Cerato dai Forni, influente in valle fin dal XIV° secolo, è legato alle storiche vicende di quel Nicolò Cera che si distinse nel 1435 nella cattura di Marsiglietto da Carrara e venne perciò onorato dalla Serenissima con privilegi e patenti di nobiltà, confermate nei secoli anche dall'Imperatore. Questi titoli non furono ovviamente attestati al cognome in sé, bensì al ramo maggiorasco, i cui discendenti divennero cittadini di Vicenza e svilupparono li le loro fortune, pur mantenendo proprietà, interessi e influenza in valle.
Nel periodo
di datazione delle mappe del Catasto Austriaco, ovvero intorno al 1832,
l'abitato è costituito sostanzialmente da due opifici: un mulino e una segheria
con abitazioni annesse e da una casa colonica, poste in fondo alla vecchia
strada della Pontàra, che allora si chiamava appunto "Strada
del Molino".
- Mappale
n. 1260, casa colonica: Ceratto Bernardo, Lorenzo e Domenica
fratelli e sorella, fu Bartolomeo;
- Mappale
n. 1261, mulino da grano ad acqua con casa: Consorzio di
San Pietro in Rotzo rappresentato da Lucca Luca fu Francesco residente in San Pietro di Val
d'Astico;
- Mappale n. 1263, sega da legname ad acqua con casa: Consorzio di San Pietro in Rotzo rappresentato da Lucca Luca fu Francesco residente in San Pietro di Val d'Astico;
Mappale
n. 4202, Mulino da grano e pila da orzo costruito a
nuovo: Sartori Giovanni Battista, Antonio, Giuseppe e Lodovico fratelli fu
Giovanni.
All'epoca
non si può certo parlare di contra' per i Cerati,
che infatti non è accatastata come
tale e non ha neanche una specifica denominazione, essendo caratterizzata dalla presenza dei due opifici e da una sola abitazione colonica.
In due
insediamenti produttivi in fondo alla Pontàra
Vecia esistevano in realtà fin dal 1617, insieme all’indispensabile
roggia (rosta) di alimentazione dell'acqua motrice. Essi furono promossi
da un consorzio di 28 capifamiglia di San Pietro che allo scopo chiese a
Venezia l’investitura delle acque dell'Astico. L'iniziativa mirava inizialmente a soddisfare
le esigenze dei consociati (anche se i 28 capifamiglia rappresentavano
di fatto la totalità del paese), senza finalità di commercio; in seguito
perse questa connotazione cooperativa e le installazioni furono affittate.
L’operazione
comportò anche strascichi legali causa l'opposizione intentata dai
Cerato. Erano questi infatti i Signori
dell'Astico, in quanto investiti dei diritti di sfruttamento delle acque e
di pesca dal Ponte delle Capre (Prìa) al Laghetto (Sella), in forza
di un’antico privilegio. Non ho avuto modo di consultare gli atti (se
mai ci sono stati tramandati) di quell’antica disputa, comunque i Cerato persero la causa e dovettero farsene una ragione.
Si è
ricordato in apertura che i Cerato sono
detti provenienti dai Forni; notiamo tuttavia che i fratelli maschi Bernardo e
Lorenzo Cerato, proprietari della casa colonica in prossimità della segheria assieme alla loro sorella, lo sono anche contemporaneamente dell’allora grande immobile padronale ubicato in contra’
Campagna, in cima alla Pontàra ai
mappali n. 2091 e 20192 (l’insieme delle abitazioni dei fratelli Toldìn, per
intenderci). Ciò fa
presumere che sia stato il loro nonno a costruire la casa dei
Cerati verso il 1760 e che poi i suoi nipoti si siano invece accasati alla
Campagna.
Vediamo però
che nei prati verso l’Astico, al mappale N. 4202 esisteva, ( nel 1832) un altro
mulino, di proprietà dei Sartori (Vichi),
che si dice costruito a nuovo. Non è specificato se questo mulino fosse ad
acqua, ma pare di tutta evidenza essendo alimentato da una roggia che pesca nel
torrente poco più a sud dello sbocco della Val
dei Mori, parallela di quella più a monte che alimenta gli altri due
impianti e irriga i prati dell’Astico.
I ruderi di questo fabbricato e le sue tre pietre molitorie in arenaria grossolana sono tuttora visibili accanto all’attuale supermercato, sul lato destro della strada prima del Ponte Maso.
Verrebbe da pensare che questa famiglia Sartori, inizialmente conduttrice del mulino della cooperativa, abbia in seguito acquistato le proprietà rivierasche (mapp. n. 4204, 1258, 4203, 1249, 1250, 4201, ) e costruito su quelle la roggia e il nuovo mulino e che quello consortile sia andato così in disuso. Stranamente non si evidenziano infatti livellari per le abitazioni annesse a quest'ultimo, ma solo la proprietà sociale.
I ruderi di questo fabbricato e le sue tre pietre molitorie in arenaria grossolana sono tuttora visibili accanto all’attuale supermercato, sul lato destro della strada prima del Ponte Maso.
Verrebbe da pensare che questa famiglia Sartori, inizialmente conduttrice del mulino della cooperativa, abbia in seguito acquistato le proprietà rivierasche (mapp. n. 4204, 1258, 4203, 1249, 1250, 4201, ) e costruito su quelle la roggia e il nuovo mulino e che quello consortile sia andato così in disuso. Stranamente non si evidenziano infatti livellari per le abitazioni annesse a quest'ultimo, ma solo la proprietà sociale.
Anche questi Sartori notiamo che sono residenti in contra’ Campagna, nelle due
abitazioni corrispondenti ai mappali n. 2097 e 2099. I Sartori e i Cerato sono a quest'epoca le uniche famiglie di provenienza foranea che abitano questa contra', altrimenti feudo esclusivo dei Gianesini; ma di questo tratteremo a suo tempo.
Accanto
al nucleo originario infatti, si sono in seguito aggiunte le
abitazioni dei segati Sella e dei
commercianti Toldo Polachi.
Più recentemente, con la costruzione della nuova strada della Pontàra (1955) e rifacimento del ponte prima e l'insediamento delle fabbrica di mobili dei Lorenzi e di diversi altri insediamenti produttivi poi, l'abitato ha vissuto un continuo e progressivo sviluppo fino
ai giorni nostri. In questo è stato
favorito dalla natura pianeggiante dei vicini prati dell’Astico che meglio si
prestavano all’insediamento di industrie e alla prossimità alle vie
di comunicazione.
Val qui la
pena di riflettere un po’ sull'incidenza che hanno le persone, con le loro
intuizioni e le loro decisioni, sull'evoluzione di un territorio e quindi anche
sulla vita e il benessere di chi lo abita o comunque ne fruisce.
Pensiamo alla
figura di Antonio Toldo, detto Polaco (1864-1917),
nella costruzione del ponte del Maso.
Prima di allora la Pontara Vecia si congiungeva alla Cavallara proprio davanti alle case dei Cerato per poi proseguire diritta fino al ponte dei Braidi e di lì risalire la sinistra orografica dell'Astico sul percorso della Strada Imperiale di Maria Teresa. Questa via fu però devastata dalla piena del 1895 che distrusse anche il ponte di Posta-Scalzeri, che venne riedificato soltanto nel 1905.
L'attuale contra' Maso, allora in comune di Forni/Tonezza, era costituita solo dall'abitato più a monte e non c'erano case lungo la strada rivierasca e le contra’ di Laghetto (Seéle, in cimbro, da cui probabilmente Sella), Maso, Monte (Luconi) e Valpegara erano collegate da vecchi sentieri che si tenevano alti rispetto al livello del torrente.
Prima di allora la Pontara Vecia si congiungeva alla Cavallara proprio davanti alle case dei Cerato per poi proseguire diritta fino al ponte dei Braidi e di lì risalire la sinistra orografica dell'Astico sul percorso della Strada Imperiale di Maria Teresa. Questa via fu però devastata dalla piena del 1895 che distrusse anche il ponte di Posta-Scalzeri, che venne riedificato soltanto nel 1905.
L'attuale contra' Maso, allora in comune di Forni/Tonezza, era costituita solo dall'abitato più a monte e non c'erano case lungo la strada rivierasca e le contra’ di Laghetto (Seéle, in cimbro, da cui probabilmente Sella), Maso, Monte (Luconi) e Valpegara erano collegate da vecchi sentieri che si tenevano alti rispetto al livello del torrente.
Il compimento della nuova Provinciale (SP350) da Arsiero a Lastebasse (1884), aprì nuove opportunità di insediamento e comunicazione sul territorio e certamente il negoziante Antonio Toldo intuì le possibilità offerte da questa nuova infrastruttura ai suoi commerci. Fu così che s’installò con residenza e magazzini accanto al nucleo originario dei Cerato e si adoperò alla realizzazione di un ponte in legno a pedaggio che permettesse il transito verso la sponda opposta del torrente e l’accesso alla nuova strada che risaliva la valle. Non mi dilungo ad approfondire la personalità e l’impresa di quest’uomo, peraltro ampiamente documentata da Mons. Antonio Toldo nel suo libro “Valdastico Ieri e Oggi”, ma vorrei solo far riflettere su come sarebbe stato il destino della contra’ e di tutto il circondario, senza la sua provvidenziale intuizione ed opera. Spesso dimentichiamo quanto le decisioni umane influenzino in un modo o nell’altro l’evoluzione di un territorio e di una comunità.
Una piccola divagazione personale: gli anni sessanta dello scorso secolo sono stati il decennio
che nella nostra valle ha segnato il transito dalla civiltà rurale a quella industriale.
In quel periodo si visse una frenesia di modernità che portò a liberarsi delle cose che appartenevano al passato per riempirsi di quelle che rappresentavano il futuro. Via dunque i secchi e i mastelli in legno o zinco per quelli più leggeri e pregiati in moplen. Via le sedie impagliate, i tavoli, i letti e le credenze in faggio o ciliegio massiccio, per far posto ai mobili di formica, via le vacche, le stalle e i cessi esterni … via tutto!
Ero bambino a quel tempo, quando mi trovai a perlustrare la vecchia segheria in fondo alla Pontàra Vecia. Era in disuso già allora ma conservava ancora al suo interno parte dell’impianto della veneziana di legno. I logori meccanismi, le grandi fosse, le misteriose botole, i nottolini e le gabbie di trasmissione in égano (maggiociondolo) onfegài (unti) dalla secolare saònda (grasso di cotenna ad uso lubrificante), la polvere di legno e le ragnatele che coprivano tutto come una coltre pietosa. E quel caldo, avvolgente e indefinibile sentore di legno antico che ora non si può più rendere.
Adesso quel complesso, vecchio di 400 anni, che rappresentò la prima industria del paese, un’impresa corale di tutto il popolo, è in completo disfacimento. Come lo è il Ricreatorio, come lo sono tante, troppe altre cose, forse specchio della nostra apatica coscienza civile.
In quel periodo si visse una frenesia di modernità che portò a liberarsi delle cose che appartenevano al passato per riempirsi di quelle che rappresentavano il futuro. Via dunque i secchi e i mastelli in legno o zinco per quelli più leggeri e pregiati in moplen. Via le sedie impagliate, i tavoli, i letti e le credenze in faggio o ciliegio massiccio, per far posto ai mobili di formica, via le vacche, le stalle e i cessi esterni … via tutto!
Ero bambino a quel tempo, quando mi trovai a perlustrare la vecchia segheria in fondo alla Pontàra Vecia. Era in disuso già allora ma conservava ancora al suo interno parte dell’impianto della veneziana di legno. I logori meccanismi, le grandi fosse, le misteriose botole, i nottolini e le gabbie di trasmissione in égano (maggiociondolo) onfegài (unti) dalla secolare saònda (grasso di cotenna ad uso lubrificante), la polvere di legno e le ragnatele che coprivano tutto come una coltre pietosa. E quel caldo, avvolgente e indefinibile sentore di legno antico che ora non si può più rendere.
Adesso quel complesso, vecchio di 400 anni, che rappresentò la prima industria del paese, un’impresa corale di tutto il popolo, è in completo disfacimento. Come lo è il Ricreatorio, come lo sono tante, troppe altre cose, forse specchio della nostra apatica coscienza civile.
Dicevamo che questa contra', a differenza del resto del paese, ha avuto una rapida e recente espansione. A volte mi chiedo perché mai da noi si sia prodotto uno
sviluppo urbanistico abnorme che io definisco: tipo moràro.
Il tronco del gelso, infatti, invecchiando diventa cavo, lasciando marcire midollo e durame per sviluppare solo l’alburno. Così succede anche ai nostri paesi: invece di intervenire sul miglioramento edilizio dell'esistente, magari con opportune leggi in deroga che permettano di ristrutturare le abitazioni e gli spazi per adeguarli ai moderni bisogni, si preferisce lasciarlo andare in rovina e costruire a nuovo in periferia. Così muoiono i centri storici delle località meno favorite dall’orografia del territorio e dall'economia e chi li abita, spesso anziani, si vede sottrarre ancor più vita, speranza e servizi.
Così facendo s’è scelto certo la via più comoda e meno impegnativa; s'impegna inutilmente territorio assecondando anche questo consumismo, ma non si pensa alle conseguenze di lungo termine di questa politica che sta uccidendo la montagna vicentina e non solo.
La terra edificata a cemento armato non si recupera più; i capannoni inutilizzati del nostro Veneto resteranno a perenne monito nei secoli come le piramidi di Giza. Le case dei nostri avi, invece, costruite con sassi, calce e legno non ci metteranno ancor molto a rientrare nell’inesorabile ciclo di natura. Forse anche questo è un insegnamento da meditare.
Gianni SpagnoloIl tronco del gelso, infatti, invecchiando diventa cavo, lasciando marcire midollo e durame per sviluppare solo l’alburno. Così succede anche ai nostri paesi: invece di intervenire sul miglioramento edilizio dell'esistente, magari con opportune leggi in deroga che permettano di ristrutturare le abitazioni e gli spazi per adeguarli ai moderni bisogni, si preferisce lasciarlo andare in rovina e costruire a nuovo in periferia. Così muoiono i centri storici delle località meno favorite dall’orografia del territorio e dall'economia e chi li abita, spesso anziani, si vede sottrarre ancor più vita, speranza e servizi.
Così facendo s’è scelto certo la via più comoda e meno impegnativa; s'impegna inutilmente territorio assecondando anche questo consumismo, ma non si pensa alle conseguenze di lungo termine di questa politica che sta uccidendo la montagna vicentina e non solo.
La terra edificata a cemento armato non si recupera più; i capannoni inutilizzati del nostro Veneto resteranno a perenne monito nei secoli come le piramidi di Giza. Le case dei nostri avi, invece, costruite con sassi, calce e legno non ci metteranno ancor molto a rientrare nell’inesorabile ciclo di natura. Forse anche questo è un insegnamento da meditare.
V-MMX
Bibliografia, annotazioni, avvertenze e diritti:
- San Pietro Valdastico - Storia del paese - Don Giovanni Toldo - 1936;
- Valdastico Ieri e Oggi - Mons. Antonio Toldo - Ed. La Galaverna - 1984;
- I documenti catastali qui riportati sono estratti dagli originali conservati presso l'Archivio di Stato di Bassano del Grappa - Catasto Napoleonico ed Austriaco del comune censuario di Rotzo - Mappa d'Avviso; Mappa I; IV e Libri partite e riportano in filigrana il marchio d'origine. Sono concessi ad uso esclusivo di questa pubblicazione con prot. n. 01 del 04/02/2015 dal Mistero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo sez. d'Archivio di Stato Bassano del Grappa.
- E fatto divieto di riproduzione e ulteriore divulgazione in qualsiasi forma e modalità.
Apatica incoscienza, rettifica pure, Gianni.
RispondiEliminaQuesta dell'origine del nome Sella mi giunge nuova. Ne sei sicuro Gianni?
RispondiEliminaBeh, in verità non è che abbia approfondito granché questo tema, mi sono limitato a fare una associazione che mi sembra abbastanza evidente; lasciamo aperta la questione ad altri contributi.
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