mercoledì 21 agosto 2013

La motoréla


Negli anni del grandissimo esodo verso i paesi dell’America latina, per cercare lavoro o, come si usava dire in quei tempi “a cercar fortuna”, i lavori che si trovavano erano pesantissimi e in condizioni disumane: in  miniere, cave oppure a lavorare nelle grandi piantagioni come schiavi.
Di solito partivano gli uomini, per fare un sopralluogo e poi se le cose andavano per il verso giusto veniva chiamato anche  il resto della famiglia, ma dovevano passare parecchi anni perché questo si avverasse.
Questo è il racconto di uno degli emigranti che girò quasi tutto il modo, paesi dell’America latina come Venezuela e Argentina, paesi dell’Africa come l'Etiopia e raggiunse perfino l'India. Insomma, come si diceva in quei tempi un sìngano, ma solo per sfamare quelle bocche che a casa aspettavano qualche moneta che permettesse di comperare del cibo per sfamarsi e per uscire dalla miseria.
Angelo si trovava in quegli anni in Brasile, in una miniera situata vicino al confine con il Venezuela, zona impervia e lontana dalla civiltà; 
era un uomo intraprendente, aveva il senso dell’inventiva, di creare e  migliorare i sistemi di lavoro, in pratica era un piccolo genio. 
Gran lavoratore, instancabile e nei pochi momenti liberi, era abituato a dedicarsi ai libri e alla lettura. Dopo qualche anno che lavorava presso questa ditta e facendo di tutto per risparmiare il più possibile, riuscì a comperarsi una motoréla, così la chiamava, non sono mai riuscito a sapere di che marca fosse, ma mi diceva che il motore era non più grande di una ciopa de pan.

Con questa motoretta andava avanti e indietro dalla baracca di tavole e lamiere, sua dimora principale, all’entrata della valle che poi saliva per arrivare alla miniera. Però, come si sa, in quel tempo  le cose potevano cambiare repentinamente e così successe anche a lui.
Una mattina si alzò come al solito presto, fuori non era ancora giorno. Mangiò un pezzo di pane vecchio e si scaldò una specie di brodaglia che  sembrava caffè. Uscì dalla baracca e chiuse a chiave la porta un po’ scalcinata. Fuori c’era, coperta con un vecchio e lacero telo, la sua motoréla, vi salì, schiacciò più volte sul pedale per l’accensione e  dopo innumerevoli scoppiettanti sbuffi di fumo e piccole fiamme, partì per la miniera. Il percorso non era per niente breve e la strada era piena di buche, sassi e cumuli di ghiaia, doveva per forza zigzagare che a vederlo sembrava avesse bevuto una damigiana intera di vino, per fortuna, diceva lui, che la motoréla era molto solida, altrimenti sarebbe andata a pezzi più di una volta.

Arrivato davanti alla miniera, stupefatto, si accorse che il cancello era ancora chiuso, però questa volta legato ben stretto con un fil di ferro, cosa che prima non era mai successa. Appoggiò la motoréla alla rete di recinzione e seguendone il profilo cercò qualcuno dei responsabili per chiedere spiegazioni. Quella mattina sembrava che lì non ci fosse mai stata anima viva. Dopo un paio di ore, vide in fondo alla strada che saliva alla miniera, il direttore che proseguiva  con passo veloce e deciso. 
Angelo attese qualche minuto e quando arrivò presso di lui gli chiese:
“Scusi Signor Direttore, come mai i cancelli sono ancora chiusi?”
La risposta del Direttore fu pronta e secca:
“Da oggi in questa miniera non si lavorerà più, vai a cercarti un altro lavoro”.
Questa fu l’unica risposta netta e precisa, senza neanche una spiegazione in merito.
Tempi quelli dove non avevi nessun diritto di sapere. Il tuo compito era solo quello di lavorare. Così Angelo ritornò alla motoréla, la cavalcò, pedalò quattro, cinque volte per avviare il motore e riprese la strada del ritorno verso la baracca.
Bruttissima giornata quella di Angelo.
Cosa fare ora? Non era il caso di aspettare per vedere se riaprivano la miniera, bisognava rimettersi in moto per trovare un nuovo lavoro. Così, dopo aver passato tutta la giornata a rimettere assieme quei pochi stracci, caricò tutto sulla motoréla e scese da quella montagna per andare nel primo paese, magari lì avrebbe trovato qualche cosa da fare. Arrivò al  paese che era già  l’imbrunire, tutto coperto di polvere bianca che sembrava un fantasma moderno motorizzato. Era stanchissimo cosi cercò un “buco” per passarci la notte. Trovò una vecchia e malridotta capanna fatta di tavole, si guardò attorno ed entrò, si accorse che lì dentro era da molto tempo che qualcuno non ci metteva piede, così sistemò la motoréla, nascondendola con dei rami, preparò la branda per lui, si distese su quel materasso di foglie, stanco morto e si addormentò.
L’indomani quando si svegliò girò per il paese in cerca di lavoro, ma,  deluso, ritornò nella baracca dove aveva passato la notte. Si era accorto che il paese dove era arrivato era molto vicino alla frontiera con il Venezuela, così, l’indomani, dopo essersi riposato per bene, andò in cerca d' informazioni. Chiese la strada per arrivare al posto di frontiera più vicino. Il giorno dopo, prese quei quattro stracci che aveva portato con sè e si avviò con la motoréla per una strada polverosa e ripida. Dopo un paio di ore che viaggiava, raggiunse il posto di blocco della frontiera; con gesti e qualche parola detta a modo suo, fece intendere alla polizia che intendeva passare e andare in Venezuela. Gli agenti gli chiesero i documenti, ma poi gli spiegarono che per portare con sè la moto doveva pagare una tassa. Nel sentire questo  sgranò gli occhi e chiese spiegazioni, ma alla fine della discussione decise di tornare al paese da dove era partito. I soldi da pagare per la tassa erano troppi per le sue tasche. Scendendo da quella strada verso il paese, la sua mente impastava idee su come avrebbe potuto ovviare a questa spesa. Arrivato in paese, finalmente, ne venne a capo con una brillante idea: “mettere la moto in una valigia" e spostarsi da uno stato all'altro in treno. Questo gli sarebbe costato molto molto meno, anche se poi alla fine il viaggio sarebbe stato molto più lungo.
E cosi fece! L’indomani andò a comperare una valigia e chiese la più grande che avessero in quel negozio, la pagò e tornò alla sua baracca di legno, non prima di essere passato alla stazione dei treni per vedere quale orario del treno per lui fosse stato più agevole. Era già pomeriggio inoltrato e decise che avrebbe preparato il tutto l’indomani, così alla mattina quando si alzò, molto presto, recuperò delle tavole vecchie che erano dentro la baracca, prese la moto e incominciò a smontarla pezzo per pezzo: Iniziò dalla sella, poi il manubrio, poi il cavalletto, poi le ruote e così via, finché della moto non restò che un mucchio di pezzi, tutti avvolti  in una carta oleata. Aprì la valigia e dopo averla foderata con la stessa carta, incominciò a riporre i pezzi della moto, uno ad uno, cercando di farli combaciare tra loro per non perdere troppo spazio. Finito che ebbe di riporli li coprì nuovamente con la carta oleata, non si sa mai se per caso avesse incominciato a piovere e si fossero bagnati avrebbero fatto la ruggine. Mise la valigia sopra la tavola, attaccò una corda per trascinarla e dopo un po’ si avviò verso la stazione, sollevando dietro a lui una polvere bianchissima da sembrare borotalco, tale era l’aridità di quei luoghi.
Arrivò alla stazione quasi sfinito, ma soddisfatto del lavoro fatto. Andò alla biglietteria e comprò il biglietto, si sedette su una panca di sasso e attese l’arrivo del treno nel pomeriggio. Caricò la valigia con l’aiuto di un viaggiatore il quale rimase incuriosito sul suo contenuto visto il peso. Angelo quando fu in carrozza, spiegò al suo aiutante per filo e per segno quello che aveva escogitato per non pagare quella tassa richiestagli alla frontiera. L’uomo rimase sbalordito e con gesti e qualche parola fece capire ad Angelo che a lui questa idea non gli sarebbe di sicuro venuta.
Arrivò a destinazione nel nuovo stato e nuovo paese, cercò un alloggio modesto, si rifocillò e il mattino seguente dopo essersi riposato, si cercò un posto tranquillo lì vicino e iniziò a rimontare la motoréla. Non passò tanto tempo che al primo colpo della pedalina la motoréla ricominciò a sbuffare e scoppiettare, tornata a nuova vita. Tutto soddisfatto, Angelo le montò in groppa e si diresse in centro al piccolo paese per ricominciare la ricerca di un nuovo lavoro, in un nuovo paese del quale non conosceva niente nemmeno la lingua.
La motoréla, come la chiamava lui, la usò finché fece l’ultimo scoppiettio, poi la tenne per ricordo finché rimase in quel paese che gli aveva dato l’opportunità di lavorare e spedire dei soldi a casa per mandare sostegno alla famiglia.
Nico Sartori



7 commenti:

  1. Mio caro Nico è un racconto pieno di sentimento, espresso molto bene, pieno di speranza per i nostri giovami....mai mollare sembra dire se c'è l'ha fatta Angelo possono farcela anche loro.......il bisogno aguzza l'ingegno e la determinazione permette di andare avanti anche quando sembra impossibile. Bravissimo Nico!!!!!!!Floriana

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  2. Sembra esserci nell'uomo, come nell'uccello, un bisogno di migrazione, una vitale necessità di sentirsi altrove. D'altra parte è così dolce restare. Forse che la natura va all'estero? In un mondo d'arrivisti poi, sarebbe buona regola non partire.
    Magari la motoreta serve anche per fuggire, lasciarsi alle spalle il passato, dimenticare per provare a ricominciare una vita nuova, spesso portandosi dietro i tarli ed i fardelli del vissuto.

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    1. Eco che riva Sua Sapienza, pì ermetico che mai. No sarà mia cominti da fare d'istà su un blogo ah? Te ghe d'aver anca ti qualche problema col pinguin o fursi sarà l'amplifon che interferise con l'atività cerebrale. Aproposito quando vintu a catarme? Al casoto i xe in costante apnea e pargnente interativi, dal maule massa politica e autoreferensiali e po', n'atimo de legeressa, no? I par tuti invelenà. E pensare quante che te ghin'avarisi ti da contare, ma te si massa veterodemok par esporte. Chive se pesa piri e ghe voria na s-ciantina de cren, ma bion che te me giuti ti anca con le foto parché mi no so mia tute le vostre storie complicate.

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    2. Vedi che candalostrica che sei? Perchè non fai i complimenti a Nico per il bel racconto invece di sputare sentenze ad alzo zero? fai anche tu un po' d'autocritica, non mi pare che ti stia esprimendo al meglio delle tue corde, o la senilità ti ha tarpato le ali per farti svolazzare come na pepola? Sai bene che se vengo a cattarti t'incargo di parole, quindi devi prima dimostrarmi un minimo di ravvedimento. Sursum corde!

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    3. Sponcio, vardete el Mario Costa che conta barzelete in Poselaro, de istà e senssa pinguin.
      Pi legeressa de quela cosa vutu, solo l'Astego fin a Valpegara che l'impiena i prai ?

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  3. Storia molto bella e piena di speranza come dice la Cara Floriana, bravo Nico.

    Ma è una storia vera o è di tua invenzione?


    Oggi sono venuto ai Lucca per trovarti, ma tu sei sempre in giro.

    A presto gino

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    1. Bhè caro Gino, questa è proprio una storia vera, ch emi ha raccontato quando ero piccolo mio zio Angelo Baston papà di Franco Baston.
      Devi venire a trovarmi quando ci sono, no quando non ci sono, oppure sei venuto a trovare la tua coscritta???
      Ciao ci vediamo con un buon bichiere di "Pic S. Loup"

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