Negli anni del grandissimo esodo verso i paesi dell’America
latina, per cercare lavoro o, come si usava dire in quei tempi “a cercar
fortuna”, i lavori che si trovavano erano pesantissimi e in condizioni disumane: in miniere, cave oppure a lavorare nelle grandi piantagioni come
schiavi.
Di solito partivano gli uomini, per fare un sopralluogo e poi
se le cose andavano per il verso giusto veniva chiamato anche il resto della famiglia, ma dovevano passare
parecchi anni perché questo si avverasse.
Questo è il racconto di uno degli emigranti che girò quasi
tutto il modo, paesi dell’America latina come Venezuela e Argentina, paesi
dell’Africa come l'Etiopia e raggiunse perfino l'India. Insomma, come si diceva
in quei tempi un sìngano, ma solo per sfamare quelle bocche che a
casa aspettavano qualche moneta che permettesse di comperare del cibo per sfamarsi e per uscire dalla miseria.
Angelo si trovava in
quegli anni in Brasile, in una miniera situata vicino al confine con il
Venezuela, zona impervia e lontana dalla
civiltà;
era un uomo intraprendente, aveva il senso dell’inventiva, di creare e migliorare i sistemi di lavoro, in pratica era un piccolo genio.
era un uomo intraprendente, aveva il senso dell’inventiva, di creare e migliorare i sistemi di lavoro, in pratica era un piccolo genio.
Gran lavoratore, instancabile e nei pochi momenti
liberi, era abituato a dedicarsi ai libri e alla lettura. Dopo qualche anno che
lavorava presso questa ditta e facendo di tutto per risparmiare il più
possibile, riuscì a comperarsi una motoréla, così la chiamava, non
sono mai riuscito a sapere di che marca fosse, ma mi diceva che il motore era
non più grande di una ciopa de pan.
Una mattina si alzò come al solito presto, fuori non era
ancora giorno. Mangiò un pezzo di pane vecchio e si scaldò una specie di
brodaglia che sembrava caffè. Uscì dalla
baracca e chiuse a chiave la porta un
po’ scalcinata. Fuori c’era, coperta con un vecchio e lacero telo, la sua
motoréla, vi salì, schiacciò più volte sul pedale per l’accensione e dopo innumerevoli scoppiettanti sbuffi di
fumo e piccole fiamme, partì per la miniera. Il percorso non era per niente
breve e la strada era piena di buche, sassi e cumuli di ghiaia, doveva per
forza zigzagare che a vederlo sembrava avesse bevuto una damigiana intera di
vino, per fortuna, diceva lui, che la motoréla era molto solida, altrimenti sarebbe
andata a pezzi più di una volta.
Arrivato davanti alla miniera, stupefatto, si accorse che il
cancello era ancora chiuso, però questa volta legato ben stretto con un fil di
ferro, cosa che prima non era mai successa. Appoggiò la motoréla alla rete di recinzione
e seguendone il profilo cercò qualcuno dei responsabili per chiedere
spiegazioni. Quella mattina sembrava che lì non ci fosse mai stata anima viva.
Dopo un paio di ore, vide in fondo alla strada che saliva alla miniera, il
direttore che proseguiva con passo
veloce e deciso.
Angelo attese qualche
minuto e quando arrivò presso di lui gli chiese:
“Scusi Signor Direttore, come mai i cancelli sono ancora
chiusi?”
La risposta del Direttore fu pronta e secca:
“Da oggi in questa miniera non si lavorerà più, vai a
cercarti un altro lavoro”.
Questa fu l’unica risposta netta e precisa, senza neanche
una spiegazione in merito.
Tempi quelli dove non avevi nessun diritto di sapere. Il tuo
compito era solo quello di lavorare. Così Angelo ritornò alla motoréla, la
cavalcò, pedalò quattro, cinque volte per avviare il motore e riprese la strada
del ritorno verso la baracca.
Bruttissima giornata quella di Angelo.
Cosa fare ora? Non era il caso di aspettare per vedere se
riaprivano la miniera, bisognava rimettersi in moto per trovare un nuovo
lavoro. Così, dopo aver passato tutta la giornata a rimettere assieme quei
pochi stracci, caricò tutto sulla motoréla e scese da quella montagna per
andare nel primo paese, magari lì avrebbe trovato qualche cosa da fare. Arrivò
al paese che era già l’imbrunire, tutto coperto di polvere bianca
che sembrava un fantasma moderno motorizzato. Era stanchissimo cosi cercò un
“buco” per passarci la notte. Trovò una vecchia e malridotta capanna fatta di
tavole, si guardò attorno ed entrò, si accorse che lì dentro era da molto tempo
che qualcuno non ci metteva piede, così sistemò la motoréla, nascondendola con
dei rami, preparò la branda per lui, si distese su quel materasso di foglie, stanco morto e si addormentò.
L’indomani quando si svegliò girò per il paese in cerca di
lavoro, ma, deluso, ritornò nella baracca
dove aveva passato la notte. Si era accorto che il paese dove era arrivato era
molto vicino alla frontiera con il Venezuela, così, l’indomani, dopo essersi
riposato per bene, andò in cerca d' informazioni. Chiese la strada per arrivare
al posto di frontiera più vicino. Il giorno dopo, prese quei quattro stracci
che aveva portato con sè e si avviò con la motoréla per una strada polverosa e
ripida. Dopo un paio di ore che viaggiava, raggiunse il posto di blocco della
frontiera; con gesti e qualche parola detta a modo suo, fece intendere alla
polizia che intendeva passare e andare in Venezuela. Gli agenti gli chiesero i
documenti, ma poi gli spiegarono che per portare con sè la moto doveva pagare
una tassa. Nel sentire questo sgranò gli
occhi e chiese spiegazioni, ma alla fine della discussione decise di tornare al
paese da dove era partito. I soldi da pagare per la tassa erano troppi per le sue
tasche. Scendendo da quella strada verso il paese, la sua mente impastava idee
su come avrebbe potuto ovviare a questa spesa. Arrivato in paese, finalmente,
ne venne a capo con una brillante idea: “mettere la moto in una valigia" e
spostarsi da uno stato all'altro in treno. Questo gli sarebbe costato molto
molto meno, anche se poi alla fine il viaggio sarebbe stato molto più lungo.
E cosi fece! L’indomani andò a comperare una valigia e
chiese la più grande che avessero in quel negozio, la pagò e tornò alla sua
baracca di legno, non prima di essere passato alla stazione dei treni per
vedere quale orario del treno per lui fosse stato più agevole. Era già
pomeriggio inoltrato e decise che avrebbe preparato il tutto l’indomani, così
alla mattina quando si alzò, molto presto, recuperò delle tavole vecchie che
erano dentro la baracca, prese la moto e incominciò a smontarla pezzo per
pezzo: Iniziò dalla sella, poi il manubrio, poi il cavalletto, poi le ruote e
così via, finché della moto non restò che un mucchio di pezzi, tutti avvolti in una carta oleata. Aprì la valigia e dopo
averla foderata con la stessa carta, incominciò a riporre i pezzi della moto,
uno ad uno, cercando di farli combaciare tra loro per non perdere troppo spazio. Finito che ebbe di riporli li coprì nuovamente con la carta oleata, non si sa
mai se per caso avesse incominciato a piovere e si fossero bagnati avrebbero
fatto la ruggine. Mise la valigia sopra la tavola, attaccò una corda per
trascinarla e dopo un po’ si avviò verso la stazione, sollevando dietro a lui
una polvere bianchissima da sembrare borotalco, tale era l’aridità di quei
luoghi.
Arrivò alla stazione quasi sfinito, ma soddisfatto del
lavoro fatto. Andò alla biglietteria e comprò il biglietto, si sedette su una
panca di sasso e attese l’arrivo del treno nel pomeriggio. Caricò la valigia
con l’aiuto di un viaggiatore il quale rimase incuriosito sul suo contenuto
visto il peso. Angelo quando fu in carrozza, spiegò al suo aiutante per filo e
per segno quello che aveva escogitato per non pagare quella tassa richiestagli
alla frontiera. L’uomo rimase sbalordito e con gesti e qualche parola fece capire ad Angelo che a lui questa idea
non gli sarebbe di sicuro venuta.
Arrivò a destinazione nel nuovo stato e nuovo paese, cercò
un alloggio modesto, si rifocillò e il mattino seguente dopo essersi riposato,
si cercò un posto tranquillo lì vicino e iniziò a rimontare la motoréla. Non
passò tanto tempo che al primo colpo della pedalina la motoréla ricominciò a
sbuffare e scoppiettare, tornata a nuova vita. Tutto soddisfatto, Angelo le
montò in groppa e si diresse in centro al piccolo paese per ricominciare la
ricerca di un nuovo lavoro, in un nuovo paese del quale non conosceva niente
nemmeno la lingua.
La motoréla, come la chiamava lui, la usò finché fece
l’ultimo scoppiettio, poi la tenne per ricordo finché rimase in quel paese che
gli aveva dato l’opportunità di lavorare e spedire dei soldi a casa per mandare
sostegno alla famiglia.
Nico Sartori
Mio caro Nico è un racconto pieno di sentimento, espresso molto bene, pieno di speranza per i nostri giovami....mai mollare sembra dire se c'è l'ha fatta Angelo possono farcela anche loro.......il bisogno aguzza l'ingegno e la determinazione permette di andare avanti anche quando sembra impossibile. Bravissimo Nico!!!!!!!Floriana
RispondiEliminaSembra esserci nell'uomo, come nell'uccello, un bisogno di migrazione, una vitale necessità di sentirsi altrove. D'altra parte è così dolce restare. Forse che la natura va all'estero? In un mondo d'arrivisti poi, sarebbe buona regola non partire.
RispondiEliminaMagari la motoreta serve anche per fuggire, lasciarsi alle spalle il passato, dimenticare per provare a ricominciare una vita nuova, spesso portandosi dietro i tarli ed i fardelli del vissuto.
Eco che riva Sua Sapienza, pì ermetico che mai. No sarà mia cominti da fare d'istà su un blogo ah? Te ghe d'aver anca ti qualche problema col pinguin o fursi sarà l'amplifon che interferise con l'atività cerebrale. Aproposito quando vintu a catarme? Al casoto i xe in costante apnea e pargnente interativi, dal maule massa politica e autoreferensiali e po', n'atimo de legeressa, no? I par tuti invelenà. E pensare quante che te ghin'avarisi ti da contare, ma te si massa veterodemok par esporte. Chive se pesa piri e ghe voria na s-ciantina de cren, ma bion che te me giuti ti anca con le foto parché mi no so mia tute le vostre storie complicate.
EliminaVedi che candalostrica che sei? Perchè non fai i complimenti a Nico per il bel racconto invece di sputare sentenze ad alzo zero? fai anche tu un po' d'autocritica, non mi pare che ti stia esprimendo al meglio delle tue corde, o la senilità ti ha tarpato le ali per farti svolazzare come na pepola? Sai bene che se vengo a cattarti t'incargo di parole, quindi devi prima dimostrarmi un minimo di ravvedimento. Sursum corde!
EliminaSponcio, vardete el Mario Costa che conta barzelete in Poselaro, de istà e senssa pinguin.
EliminaPi legeressa de quela cosa vutu, solo l'Astego fin a Valpegara che l'impiena i prai ?
Storia molto bella e piena di speranza come dice la Cara Floriana, bravo Nico.
RispondiEliminaMa è una storia vera o è di tua invenzione?
Oggi sono venuto ai Lucca per trovarti, ma tu sei sempre in giro.
A presto gino
Bhè caro Gino, questa è proprio una storia vera, ch emi ha raccontato quando ero piccolo mio zio Angelo Baston papà di Franco Baston.
EliminaDevi venire a trovarmi quando ci sono, no quando non ci sono, oppure sei venuto a trovare la tua coscritta???
Ciao ci vediamo con un buon bichiere di "Pic S. Loup"