Il Capitello di Sant’Antonio collocato al Sojo Alto, è uno dei due dedicati a questo santo lungo
È detto Capitélo del Sojo Alto, dei Bonati o de Nanéto, a seconda dei riferiementi, ma sono corretti tutti e tre. Il primo infatti ne identifica la collocazione topografica sul Sojo Alto, praticamente il capolinea della strada della Singéla. Il secondo si riferisce ai proprietari del lotto boschivo a cui è adiacente, la famiglia Bonato; il terzo al suo artefice: Giovanni Sella Munaro, detto appunto Nanéto.
Nell’autunno del 1929, Nanéto Munaro stava rientrando in paese con il suo barosso carico di legname, quando il mulo scivolò e precipitò nel burrone sottostante spinto dal pesante carico.
Nanéto uscì miracolosamente illeso da quell’incidente e fece voto di costruire sul luogo un capitello a Sant’Antonio, patrono dei cavalàri, per grazia ricevuta, unitamente all’impegno di dare il nome del Santo di Padova al primo figlio che gli fosse nato.
L’ex-voto, consiste in un piccolo tabernacolo costruito in malta di cemento e assicurato alla roccia, recante al suo interno una statuetta in gesso di Sant’Antonio a figura intera con in braccio Gesù Bambino. La nicchia è protetta da una rete metallica a maglia sottile e l’insieme risente purtroppo del trascorrere degli anni.
Nel primo dopoguerra, svaniti i primi euforici anni della ricostruzione che portarono in paese un effimero benessere, molti dovettero inventarsi un lavoro per sopravvivere, perché nemmeno l’emigrazione, complice la crisi economica e le restrizioni politiche costituiva più un’alternativa, come invece lo era stata prima del conflitto. Molti furono gli incidenti, anche mortali, che funestarono le pericolose attività di sfruttamento della montagna e non stupisce certo che risalgano a quest’epoca quasi tutti i capitelli della Singéla.
Gianni Spagnolo Ghia 07/07/2013
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