Che le calende e la luna e le nuvole, poco alla volta avrebbero smesso di indicarci il tempo di domani.
Che ci sarebbero state improvvise bufere, alluvioni e grandine, dieci volte più forti.
Che la campagna e la montagna avrebbero cambiato faccia.
Che alcune specie sarebbero scomparse, e sarebbero apparsi nuovi animali e piante, e sarebbero arrivati parassiti da lontano.
Che le api gli stavano dicendo che erano molto preoccupate.
Che in fondo al pozzo l’acqua si sarebbe avvelenata e riempita di fantasmi.
Che sarebbe stato sempre più difficile scegliere il giorno della vendemmia e del raccolto.
Che stavamo rovinando la nostra terra, l’orto, il bosco e tutto il mondo.
Che un giorno dal fiume prosciugato sarebbe uscito un enorme pesce siluro e avrebbe mangiato prima le pecore, poi le mucche, poi noi.
Tutto questo me l’hanno predetto nell’anno 1957.
Non è stato un grande scienziato, né uno stregone prometeico, né un meteorologo, né un libro apocalittico, né un ambientalista.
Me lo disse il contadino Celso, quasi analfabeta e mezzo cieco, che sapeva parlare con le piante e annusare il mondo e trovava l’acqua con una bacchetta di nocciolo. E urlava ogni notte contro le motoseghe.
Sessant’anni dopo, gli chiedo scusa, perché tutti lo chiamavamo Celso il matto.
Stefano Benni-web
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