Io invece durante questo film ho PIANTO! Questo film mi ha toccata da vicino. La storia penso che ormai la conosciate tutti: c’è questo ragazzo, un ragazzino come tutti, di nome Andrea che viene deriso, umiliato, tormentato dai suoi compagni per un paio di pantaloni scoloriti e una lavatrice sbagliata. Ecco, io mi sono rivista in Andrea.
Quando ero bambina ero quasi cieca, non vedevo quasi nulla. Fui operata tre volte agli occhi. E per anni dovetti portare una benda sull’occhio. Gli altri bambini mi prendevano in giro per questo. Da ragazza poi ero quella che tutti deridevano perché non mi vestivo come tutti, non parlavo delle cose che interessavano a tutti, non pensavo come «tutti». In un’epoca di conformismo imperante, basta davvero poco per essere etichettato come strano.
E nel corso degli anni ho visto tanti insegnanti, troppi, che fanno finta di non vedere. Che girano la testa dall’altra parte. Ho visto genitori che se ne fregano e che giustificano. E vedete, è proprio questo il punto, e questo non riguarda soltanto i ragazzi: omertà e silenzio sono i veri mali del nostro paese. Tutti sapevamo come sarebbe andato a finire quel film, tutti conosciamo la storia di Andrea: questo ragazzino così pieno di vita, di sorrisi, di speranza, si toglie la vita. Il giorno dopo il suo compleanno. Ma fino alla fine speri che qualcuno o che qualcosa lo salvi. Che qualcosa cambi. Ma non è così! Perché alle volte l’odio è più forte di tutto!
Poi, prima dei titoli di coda sullo schermo compaiono le fotografie di Andrea quello vero, quello che non c'è più, travolto dall'odio dei suoi coetanei. E allora mi domando: ma cosa diavolo stiamo insegnando ai nostri ragazzi? L’ho già detto, ma lo ripeto, i ragazzi non se ne faranno nulla di una padronanza assoluta dei computer, della tecnologia, di aver memorizzato vita, morte e miracoli di un autore, se manca l’empatia. Se mancano il RISPETTO, la sensibilità, l’amore.
Non abbiamo bisogno di più sapere, ma di più amore. Perché sapere non basta. Capire non basta. Occorre amare. Camus diceva: la vera tragedia non è non essere amati, ma non amare.
G. Middei
I miei pantaloni rosa erano i dentoni.
Quelli davanti, erano in fuori, mi chiamavano castoro.
Quanto si può essere scemi da piccoli.
In realtà anche da grandi.
Questa è una storia contemporanea che dovrebbe appartenere a un passato dimenticato, ma purtroppo storie così, come quella di Andrea, capitano quotidianamente e passano sotto silenzio.
Ma qualcuna finisce peggio.
Andrea quel carico non lo ha retto, in tanti riescono, lui no, se n'è andato per sua scelta perché non ce la faceva più e fa male quando un ragazzo di quindici anni decide che è tutto troppo.
Che sono troppe le prese in giro, gli insulti, le minacce.
A volte tutto pesa e sono cose che non dovrebbero succedere ma succedono e dietro quei ragazzi ci sono genitori e chissà quanta altra gente che non ha visto o non ha fatto nulla.
Non è un'accusa, non può esserlo, è una presa di coscienza perché se un ragazzino decide che non ne può più non importa chi sia quel ragazzino, riguarda tutti noi.
Il film lo racconta mettendo lui al centro, raccontando dai suoi occhi, mostrandolo gentile e sensibile con quei pantaloni rosa frutto di un lavaggio sbagliato che accelerano qualcosa che comunque esisteva già.
Perché la sensibilità è pericolosa in un mondo che dipinge tutti come guerrieri, tutti come fortissimi, tutte eccellenze e primatisti in qualcosa.
La sensibilità non è vulnerabilità ma indubbiamente sono concetti vagamente parenti e quando si è sensibili si è nudi di fronte a chi vuole ferirci solo per il gusto di farlo.
Solo perché diversi.
Allora magari andate a vedere la storia di Andrea che cantava e passava le estati in Calabria, portateci i ragazzini e raccontate che poteva, può e potrà finire diversamente.
La storia di Andrea si conclude nel 2012 lasciando una famiglia spezzata che lo ricorda come può.
Ci sono tanti Andrea che non hanno pantaloni rosa ma hanno cicatrici profonde.
Ripartiamo da loro, non è impossibile, ce la possiamo fare.
Un Andrea alla volta.
#manuscrivecose
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