Si chiamava Grazia Deledda. A nove anni i genitori le dicono che è tempo di lasciare la scuola. Semplice, «perché sei una femmina». Grazia però non si lascia mettere i piedi in testa. Continua a studiare da sola. «Cuore, bisogna avere, null’altro» dirà anni dopo. Perché non siamo fatte per subire, ma per brillare. E poi finalmente qualcuno la nota: pubblicano un suo racconto!
Grazia è felicissima, ma tutti gridano allo scandalo. I vicini di casa, il parroco, la sua famiglia! Le donne devono badare alla casa, ecco cosa le viene detto. Allora fugge a Roma, ma non cambia nulla. Gli intellettuali romani la disprezzano, i critici non la prendono sul serio. Era una donna. E senza istruzione per giunta! Un giorno incontra un uomo gentile e un po’ strano, così dicono gli altri, di nome Palmiro.
«Tu sarai amato il giorno in cui potrai mostrare la tua debolezza, senza che l'altro se ne serva per affermare la sua forza.» Palmiro non soltanto è contento di avere una moglie scrittrice ma lascia il lavoro per fargli da agente. Diventano gli zimbelli della città. Una donna scrittrice e un uomo che si mette al suo sevizio! Si è mai vista una cosa più assurda? Ma Grazia non si lascia intimidire. Continua a scrivere di donne che lottano e non si arrendono, di uomini che amano troppo o troppo poco, di chi insegue la luna e di chi con la luna ci parla davvero. Perché le cose più importanti della vita non hanno bisogno di parole. «Si dicono in silenzio invece».
Le sue storie fanno il giro del mondo. E poi arriva il tanto agognato riconoscimento. È il 1926. Grazia Deledda, prima e unica donna italiana nella storia, vince il premio Nobel per la letteratura. Una donnina sarda con neanche la quinta elementare. Mentre sale sul palco, è mano nella mano con il marito, l’uomo che ha creduto in lei e le è rimasto accanto a dispetto di tutto e di tutti. Perché amare è questo: restare abbracciati durante la tempesta. E a te Grazia voglio dire grazie: per avermi mostrato che noi donne possiamo e dobbiamo splendere. Sempre.
G. Middei
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