giovedì 19 ottobre 2023

Mòcoli (3) I canpanèi

[Gianni Spagnolo © 23I1]

Uno dei compiti del mòcolo nel vecchio rito, era di suonare i campanelli. Questa incombenza rappresentava il primo grado della carriera mocolosa e andava svolta con assoluta precisione, inizialmente sotto la supervisione del mòcolo più anziano. 

Il suono dei campanelli doveva combaciare esattamente con le fasi della celebrazione e attirava l’attenzione dell’assemblea sul momento cruciale della messa. Qualche malpensante potrebbe pensare che servisse a dar la sveglia ai fedeli appisolati, specialmente per quella mattutina, fata pena dopo ver monto. In realtà aveva un suo perché quando la messa era ancora in latino. Allora le parole del sacerdote alla consacrazione erano pronunciate sottovoce. I fedeli non riuscivano bene a capire a quale punto si fosse giunti, anche perché il celebrante dava la schiena all’assemblea, perciò il campanello era un richiamo ad inginocchiarsi e raccogliersi all’epiclesi e poi alzare lo sguardo e a contemplare le Sante Specie. 

Dopo la proclamazione del Sanctus si davano tre colpi di avvertimento, imprimendo una rotazione decisa alla crociera che portava i quattro campanelli. Allora ecco che il brusio della preghiera della gente cessava e tutti, inginocchiatisi, guardavano il prete che all’altare, inchinato sull’ostia e sul calice, pronunciava a voce bassissima le parole della consacrazione. Tutti sapevano, in obbedienza a quella  disciplina dell’arcano cui un tempo s'era avvezzi, che quello era il momento culminante della messa, un momento che infondeva timore: era il “Santissimo”, bisognava assolutamente tacere e raccogliersi in adorazione. Era il silenzio canonico.

Va detto che, durante la messa nel vecchio rito, appunto perché celebrata in latino e non partecipata dal popolo,  la gente era abituata a fare le proprie devozioni, parallelamente allo svolgimento della liturgia. Era uso recitare sottovoce preghiere individuali o biascicare il rosario; così come presenziare per puro “precetto”, senza coinvolgimento. Particolarmente gli uomini meno devoti, il cui compito istituzionale era di sostenere con la schiena il muro di fondo della chiesa, affinché non cadesse sui fedeli. L’arpisolo non era perciò infrequente, così come la ciàcola sommessa, la distrazione e altre divagazioni.

Ecco allora che il suono dei campanelli serviva a richiamare all’ordine: tutto il popolo faceva sìto e tacava tuto on snaejaménto co le carèghe par indenociàrse.  Gli sguardi erano calamitati sulla schiena inclinata del prete, in attesa che apparissero sopra il suo capo, levati in alto dalle sue mani, l’ostia e poi il calice. Anche qui il campanello ritmava i movimenti del prete che si inginocchiava dopo le elevazioni. Uno squillo continuo del campanello, sempre fatto girare con consumata arte, indicava la fine della consacrazione. Aver visto l’ostia e il calice per molti era l’elemento decisivo nella messa, la massima comunione possibile con il Signore. Pochi infatti accedevano alla comunione con la particola. Era di precetto comunicarsi almeno una volta all’anno, c’era da osservare il digiuno eucaristico dalla mezzanotte, la confessione preventiva, l'infermo incombente per i sacrileghi, ecc. 

A parte le suore e qualche pia donna, nessuno si sentiva di fare la comunione quotidianamente. Va anche detto che questa non si faceva durante la messa: solo il prete si comunicava, poi la messa finiva. Dopo essere rientrato in sacrestia e aver deposto la pianeta, il prete in alba e stola tornava al tabernacolo dell’altare, lo apriva e distribuiva l'ostia consacrata ai fedeli inginocchiati alla balaustra; quindi riponeva la pisside nel tabernacolo.

Ecco dunque che il mòcolo addetto allo scampanìo aveva un compito di assoluto rispetto e fiducia; se si fosse confuso sui tempi canonici avrebbe creato scompiglio nei fedeli e canonica riprovazione. A discapito del silenzio e del raccoglimento, congiuravano però le sedie che si trasformavano in inginocchiatoio. Erano i relitti del tempo in cui quelle assurde seggiole a pantografo erano a pagamento e costituivano l’obolo per il mantenimento del sagrestano. La loro trasformazione era accompagnata da striduli e sinistri scricchiolii che disturbavano il raccoglimento e talvolta pissigavano anche qualche déo. Allora era invalsa, specie per i fedeli più anziani, la pratica della “mezza inginocchiata”, ossia piegare un solo ginocchio, mettendo la sedia in posizione intermedia.




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