【Gianni Spagnolo © 190706】
Viviamo nell’epoca dell’informazione
diffusa. In gran parte del mondo attraverso internet si può accedere ad
un’infinità d’informazioni semplicemente con qualche ditata sullo schermo
dello smartphone. Quello che un tempo richiedeva studio, cultura, tempo e sforzo, oggi può essere disponibile immediatamente
e a tutti con un aggeggio tascabile. In tempo reale, per dirla bene.
Dunque dovremmo essere a cavallo e riuscire a
soddisfare ogni nostra curiosità senza tanto impegno o faticose mediazioni.
Evviva!
Ma è proprio così?
Innanzitutto, per soddisfare una curiosità,
bisognerebbe prima averla, la curiosità. Se non sbaglio era Rousseau che diceva
che: Si è
curiosi nella misura in cui si è istruiti. Aggiungerei che si è anche
istruiti nella misura in cui si è curiosi. Può sembrare un gioco di parole, ma
a ben pensarci le due affermazioni non formano un circolo vizioso, bensì si
completano a vicenda. La curiosità è una continua ricerca del nuovo, dello
sconosciuto, è il tentativo di acquisizione anche di un solo tassello che si
vada ad inserire nel disegno sempre incompleto della nostra conoscenza; è un
sistema per aprire e rendere più elastica la nostra mente nei confronti di
tutto ciò che ci circonda.
Oltre alla curiosità serve poi un po’ di capacità
critica, per riuscire a districarsi fra le miriadi di informazioni disponibili.
Il punto è che per aver capacità critica, oltre all’ordinaria intelligenza,
serve anche quel quid d’istruzione che permetta un ragionevole discernimento,
almeno delle fonti.
Perché le informazioni, le notizie, i dati, ecc.
cui possiamo attingere sono un’infinità e provenienti ormai dalle sorgenti più
disparate e incredibili, dove la quantità soverchia la qualità e grano e
zizzania sono spesso indistinguibili. Anche perché, nella società liquida e
soggettiva nella quale siamo immersi, ogni discrimine è diventato opinabile e
ogni idea o tendenza, anche la più balzana, riesce a trovare comunque un suo pubblico ed esserne quindi avvalorata. L'autorevolezza e l'attendibilità delle fonti diventa infatti essa stessa controversa nella misura in cui qualità come: studio, preparazione, analisi, ponderatezza e verifica sono considerate inutili orpelli, in quanto alla mercé, appunto, dell'opinione.
Possiamo dunque costruirci la nostra visione
personalizzata, selezionando le informazioni che più ci aggradano, assecondano
i nostri gusti, le nostre sensibilità, quando non i nostri vizi e difetti. Non
è tuttavia detto che questo sia sempre un bene e non ci porti invece ad un
pericoloso distacco dalla realtà.
Da sempre, si sa, chi gestisce le informazioni
comanda.
Era così quando queste erano centellinate e
accessibili a pochi e lo è pure ai giorni nostri, dove siamo bombardati da
informazioni di ogni tipo e valenza. Ne potremmo forse guadagnare in libertà
nella misura in cui riusciamo a discernerle ed usarle adeguatamente: ma qui
torniamo al punto di partenza.
Gli strumenti di diffusione delle informazioni
sono ormai in mano a poche grandi società dotate di ingenti mezzi finanziari e
distribuzione planetaria. Il loro potere di controllo e condizionamento è
potenzialmente tale da rendere forse illusoria anche la politica democratica.
Ormai stiamo per essere monitorati e classificati in tutti i nostri ambiti d’azione e
l’intelligenza artificiale sta sviluppando mezzi di elaborazione che ci rendono
potenzialmente inermi ad ogni prevaricazione. Spesso con il nostro indolente
consenso, è bene dirlo. Tacito o palese che sia, noi siamo sempre ben disposti
a barattare la nostra privacy per accedere all’app del momento o ad
un servizio effimero che magari nemmeno ci serve.
Quanto a leggere le avvertenze o i disclaimer
poi, che per legge ci sono, essendo questi normalmente formulati in più di tre righe, li saltiamo con disinvolta sicumera cliccando svelti su "accetta".
Anche senza essere analfabeti funzionali o di ritorno, ormai non riusciamo più
a concentrarci su testi articolati. Chissà se il Garante della Privacy, questa figura così moderna e impalpabile, improbabile foglia di fico della nostra residua libertà, ha considerato questo aspetto.
Credo sia la prima volta che l’umanità si trova
in una situazione così vulnerabile e manipolabile e non so quali anticorpi
possa o sappia sviluppare. Sempre ammesso che abbia voglia di svilupparli, gli anticorpi.
Per generare un anticorpo bisogna infatti che l'organismo riconosca l'elemento potenzialmente pericoloso e non lo consideri invece un innocuo e appetibile bisogno. Ecco che siamo sempre punto e a capo!
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