sabato 5 novembre 2022

Chi prende il caffè con me?



Riporto un ricordo di Andrea Camilleri e un commento di Paola Toldo Slaviero al riguardo che condivido appieno. E' un argomento che è più volte motivo di discussione fra amiche.

E Voi che ne pensate?


Andrea Camilleri ci racconta: "il giorno dei morti" 


"Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.

Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo all’alba per andare alla cerca. Perché i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciò il cesto non lo rimettevano dove l’avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo per casa. Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portò dall’aldilà il mitico Meccano e per la felicità mi scoppiò qualche linea di febbre. I dolci erano quelli rituali, detti “dei morti”: marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, “rami di meli” fatti di farina e miele, “mustazzola” di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetù, carcagnette. Non mancava mai il “pupo di zucchero” che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza. A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciliddri era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: «Che ti portarono quest’anno i morti?». Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestìa, che aveva la nostra età precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso l’anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo.

Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma un’affettuosa consuetudine. Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivò macari l’albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilità di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e “stampato”, come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si può indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E così diventiamo più poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte è meditazione sulla libertà, perché chi ha appreso a morire ha disimparato a "servire."

Bei ricordi di bambino... per questo motivo le scuole chiudevano... perché la visita ai nostri morti era sacra!

Grazie alla mia regione che ha conservato questa usanza mentre quella da cui provengo ha preferito cancellare il giorno, privilegiando il carnevale che, ormai, non si festeggia più manco a Rio de Janeiro.

Andrea Camilleri



...Quando vado al cimitero mi colpisce l’età media dei visitatori: più alta della mia... e ho 54 anni! In pratica, sono sempre la più giovane dei presenti.

Io ho cominciato a “familiarizzare” presto con il cimitero: mia nonna mi incaricava di portare le dalie del suo giardino sulle tombe, di pulirle e, una volta (stavo per iniziare la quinta elementare) presi colore nero e pennello per ridipingere la croce in ferro sulla tomba dei miei bisnonni.

Oggi questo sembra improponibile ai bambini, ma anche ai giovani. La mia generazione forse sarà l’ultima ad occuparsi della manutenzione delle tombe e, a volte, mi chiedo: “chi lo farà quando non ci saremo più noi?”.

Mi rispondono che “il ricordo di chi non c’è più resta NEL CUORE”. 

Ho il forte sospetto che, in una società votata all’edonismo e al divertimento, questa risposta sia piuttosto una rimozione della realtà della morte.

Rimozione che può dare l’impressione di far vivere meglio, ma di fatto rende più fragili. 

Come ogni negazione della realtà, del resto.

Paola Toldo Slaviero




Chi è troppo indaffarato
non può svolgere bene
nessuna attività,
perché una mente
impegnata in mille cose
non può concepire
nobili pensieri.

SENECA

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